C’era una volta a Molfetta il dolce dei fidanzamenti: “u peizze”

Quando le famiglie approvavano la futura unione in matrimonio dei loro figli e la famiglia della fidanzata organizzava la festa di fidanzamento in casa per lo scambio degli anelli. Da un racconto di Angelo Boccanegra

“U’ peizze” il dolce che veniva offerto agli invitati durante le feste di fidanzamento di una volta. Pasticceria “Ignazio Petruzzella”, Molfetta via Baccarini. Ph. Angelo Boccanegra

Vi ho già raccontato di come il fidanzamento in passato fosse sempre ufficiale e di come i matrimoni fossero quasi tutti combinati. Una volta l’amore tra i giovani fioriva presto ed era alimentato solo da qualche sguardo furtivo, perché era inconcepibile che maschi e femmine si frequentassero e stringessero amicizia prima del fidanzamento. Una fanciulla che fosse stata sorpresa a parlare con un giovane, era considerata poco seria e rischiava di rimanere “zitella” a vita.

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In passato le giovani potevano uscire di casa solo nei giorni di festa, accompagnate però sempre da una persona anziana di famiglia. Per un giovane l’unico modo di manifestare il suo amore era quello di aspettare ore e forse giorni interi che la ragazza si affacciasse dal balcone o uscisse anche per qualche minuto dalla porta di casa, quando questa si trovava a piano terra. E non era affatto una cosa semplice, perché la fanciulla, per paura dei genitori, difficilmente si affacciava ad esprimere il proprio gradimento.

Quando però qualcosa accadeva, come lo scambio di un piccolo cenno, oppure l’accenno di un sorriso, allora il giovanotto metteva in moto quel complesso meccanismo, quel sistema minuziosamente prestabilito dalle consuetudini, ben noto a tutti e riassumibile con un termine ben preciso: l’ambasciàte (letteralmente, dal vernacolo: “l’ambasciata”). “L’ambasciatrice” (questa era una missione perlopiù esercitata da donne) era colei che si recava a casa della famiglia della ragazza prescelta per sondare la disponibilità all’incontro tra i possibili futuri due fidanzati alla presenza, ovviamente, delle rispettive numerose famiglie. Se i genitori di lei acconsentivano a questo primo incontro, tutt’altro che solitario, tra il ragazzo e la ragazza, solo allora iniziava un complesso rituale che sfociava nella festa di fidanzamento. La famiglia della fidanzata organizzava una “festa in casa” per lo scambio degli anelli che avveniva in forma ufficiale tra gli invitati: parenti e amici delle due parti.

La festa di fidanzamento si svolgeva di sera, si invitavano i parenti più intimi, si mangiava e si conversava sino a tarda sera, e culminava con lo scambio degli anelli e dei regali per la fidanzata. Si svolgeva in casa della ragazza che, per l’occasione, offriva agli invitati, in un clima festoso, confetti, cioccolate, il famoso “quartino” molfettese, (un gelato fatto di un concentrato golosissimo di stracciatella, nocciola, cioccolato e pan di spagna) e il “rosolio”, il vulcanico liquore fatto in casa che, una volta bevuto, dava proprio l’impressione di aver ingerito un po’ di lava ardente.

Leggi anche, su Molfetta Discute Magazine: «Un tuffo nei ricordi: “l’ambasciata”, come ci si fidanzava in passato». Da un racconto di Angelo Boccanegra. Cartolina: Molfetta, villa comunale anni ’60.

In queste feste di fidanzamento la tradizione imponeva che la mamma della futura sposa offrisse agli invitati un dolce particolare che veniva chiamato “u’ peizze”. Era pezzo di torta di forma rettangolare, abbastanza corposo, fatto di strati di pan di spagna imbevuta (manco a dirlo) di potente rosolio e di robusta crema pasticcera, ben glassato in superficie, arricchito da una bella ciliegia candita al centro. È inutile aggiungere che noi ragazzi con i pantaloncini corti non aspettavamo altro, anche se l’effetto del rosolio di quel dolce iniziava quasi subito a dare i sui primi effetti.

Chi non aveva la possibilità di preparare quel gustosissimo (e robustissimo) dolce in casa, ne ordinava in numero tale da soddisfare tutti gli invitati, ad una pasticceria che li preparava a richiesta, la “Pasticceria Duca”, che si trovava in via Sant’Angelo, prima del trasferimento a Corso Umberto.

Era quello un dolce dal gusto inconfondibile, con l’odore del rosolio fatto in casa, lo stesso magico odore delle cose buone di una volta, semplici e genuine. Anche quando i dolci non erano fatti in casa, quelle poche pasticcerie che esistevano a Molfetta utilizzavano tutte latte appena munto, uova freschissime di giornata, ingredienti davvero artigianali e, come si direbbe oggi, a chilometro zero.

Queste feste di fidanzamento fatte in casa dovevano rimanere nella memoria per molto tempo e in effetti, io le ricordo ancora. Ringrazio pubblicamente la Pasticceria “Ignazio Petruzzella” in via Baccarini, per aver realizzato con estrema attenzione e rigoroso rispetto degli ingredienti tradizionali, questo mitico dolce impresso nei ricordi della mia infanzia e, soprattutto, per avermi dato la possibilità di riassaporare quel dolce gusto dei bei tempi andati.

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