“La zàite scennéute”, la fuga d’amore di una volta a Molfetta

L’amore prima di Internet, quando gli innamorati scappavano di casa almeno per una notte per riuscire comunque a sposarsi, superando i veti familiari. Da un racconto di Angelo Boccanegra

“I fidanzati” – Cartolina d’epoca

Vi ho già descritto come avvenivano i fidanzamenti in passato, almeno fino agli anni Sessanta, ma ho ancora tanto altro da dirvi.

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Vi ho già parlato di come i fidanzamenti di un tempo avvenissero attraverso le cosiddette ambasciatee delle restrizioni che i fidanzati dovevano subire, attenendosi scrupolosamente a rigide regole comportamentali che oggi ci sembrano anacronistiche, dopo il fidanzamento ufficiale concertato dai rispettivi nuclei famigliari.

Inutile negarlo, il fidanzamento in passato era una procedura davvero molto complessa per non dire asfissiante. In questi fidanzamenti, spiace dirlo, ma è la dura verità, contava più del parere dei due giovani, che forse provavano già un’attrazione reciproca, prima dell’incontro ufficiale sotto lo sguardo attento e vigile dei parenti, quello dei rispettivi genitori. Anzi, quest’ultimo era vincolante. Un no secco del padre o della madre al fidanzamento era quasi insuperabile a quei tempi. Ovviamente si può immaginare in che stato d’animo il ragazzo e la ragazza, già innamorati, vivevano questo delicatissimo e complicatissimo passaggio. A quei tempi, non era semplice “aggirare” quello che a tutti gli effetti era vissuto come un ostacolo spesso  insuperabile.

I fidanzamenti, a quei tempi, dovevano avvenire solo rispettando le consuetudini radicate, erano imposti ai ragazzi modelli comportamentali ferrei, la gerarchia che vedeva al vertice il padre padrone e la madre inflessibile, non poteva essere in alcun modo messa in discussione. La volontà dei giovani non contava. Non era ammessa trasgressione alcuna alle regole rigide del tempo, agli asfissianti controlli e, a volte, piccoli “sgami” (trasgressioni insignificanti per noi oggi con la nostra mentalità moderna ed evoluta), causavano punizioni molto severe.

L’amore era spesso negato, represso, ostacolato… ma esisteva eccome anche a quei tempi. Fino a mezzo secolo fa di certo le donne non avevano la libertà d’oggi, la loro uscita di casa era, di solito, per seguire le funzioni religiose. Le processioni, numerosissime in passato, come pure le feste religiose di quartiere, erano un’occasione ghiottissima perlomeno per un fugace “incontro di sguardi” tra i giovani del tempo. Durante le feste patronali, le ragazze uscivano per la classica passeggiata, ma erano tenute sempre sotto stretto controllo. I giovanotti non potevano affiancarsi a loro e quelli che ammiravano qualche fanciulla per far capire le proprie intenzioni, con qualche sguardo, spesso usavano bambini o bambine per mandare qualche messaggio o dono. La scintilla scoccava anche quando il giovanotto dopo aver trascorso lunghe ore sotto la finestra della fanciulla, la osservava mentre era intenta a stendere i panni, innaffiare il basilico ecc. Così nascevano spesso gli amori, una volta, con semplici sguardi. Per andare oltre, però, le cose si complicavano maledettamente. Era necessaria l’ambasciata che non sempre aveva esito positivo …

Accadeva il più delle volte che i genitori non consideravano il ragazzo idoneo per la propria figlia per motivi che potevano essere i più disparati, della serie: “non proviene da una buona famiglia”, “è nù sfadgàt” (letteralmente: “sfaticato”); “non ti renderà ricca e felice”; “non è educato” (secondo i rigidi canoni educativi del tempo); “ha una cattiva fama”, “ti tratterà male” ecc… Tutte queste motivazioni, erano spesso solo pretesti, perché, magari, il “zito” non piaceva alla nonna, alla zia, ad una delle innumerevoli “commare” – che in passato proliferavano e notoriamente sapevano “tutto di tutti” – o perché circolavano maldicenze sul ragazzo e sulla sua famiglia, spesso infondate. A quei tempi, “il passaparola”, magari di una cosa completamente falsa, poteva essere a dir poco devastante per un ragazzo, per una ragazza o per un intero nucleo famigliare. Quando la ragazza innamorata mal sopportava queste critiche, faceva di tutto per fare cambiate idea ai propri genitori. Scoppiavano così litigi, pianti e, bisogna dirlo, a volte la ragazza beccava sonore “mazzate”. Non solo, la ragazza spesso passava giornate intere chiusa in casa, quasi imprigionata, vittima di uno strettissimo regime di impegni domestici finalizzati spesso a non darle il tempo di pensare, a precluderle qualsiasi formi di autonomia.

Molfetta, la Villa Comunale in una cartolina degli anni ’60. Leggi anche, su Molfetta Discute Magazine: “Un tuffo nei ricordi: “l’ambasciata”, come ci si fidanzava in passato

Al cuore, però, non si comanda, e quando al cuore a quei tempi si accompagnava anche un forte volontà, i giovani avevano solo una possibilità per obbligare le rispettive famiglie ad accettare inevitabilmente il fidanzamento ufficiale: la fuga d’amore.

Quando il fidanzamento era avversato da una delle due famiglie, l’unica soluzione possibile in quegli anni, per due giovani innamorati, era di mettere i genitori davanti al fatto compiuto: una notte passata insieme fuori di casa. L’evento, una volta divenuto di dominio pubblico, esigeva il matrimonio riparatore, genitori volenti o nolenti. Si diceva a quel tempo, in questi casi: “la zàite s’ na’ scennéute.

“La zàite scennéute” era la ragazza che per amore scappava attuando “la scesa” dalle scale di casa, la fuga dall’ovile almeno per una notte. Apro adesso una breve parentesi in merito all’utilizzo di questa strana metafora, dato che si parla di scale e di “scesa”. Un tempo, quando una mamma di Molfetta doveva raccontare al vicinato (era quasi un obbligo a quei tempi quello di dover “rendicontare” al vicinato tutto quello che accadeva in casa) con una punta di orgoglio che la propria figlioletta era diventata “signorina”, cioè aveva avuto la prima mestruazione, diceva della propria figlioletta: “ha cadàute scala scala”, letteralmente: “è rotolata per le scale”.

Ecco perché si parla di “scesa” per la fuga d’amore, o per la semplice notte trascorsa insieme, magari senza “consumare” alcunché, in termini amorosi, con il futuro fidanzato. Bastava insomma che i due fossero lontani dalle rispettive abitazioni almeno una notte. Quando avveniva ciò, quando i due scappavano da qualche parte, giusto per trascorrere almeno una notte insieme, lontani da casa, il fidanzamento era comunque ritenuto “consumato” e non poteva essere più negato, per cui andava subito ufficializzato e le nozze andavano celebrate presto, anzi prestissimo, per paura che la sposa arrivasse all’altare visibilmente in stato interessante. Nella maggior parte dei casi, in realtà, i due fuggitivi forse non si sfioravano neppure, in quella fatidica notte, perché spesso venivano ospitati da qualche parente o conoscente compiacente.

Il giorno successivo alla fuga, generalmente, i due fuggitivi, con calma, ritornavano di solito a casa di lei, piangenti e chiedendo il perdono che gli veniva quasi sempre concesso, dopo gli inevitabili improperi e a volte qualche ceffone. Le nozze venivano organizzate in tempi rapidi, celebrate in chiesa la mattina sul presto e la sposa indossava un abito meno pomposo e senza velo. Spesso si evitava anche il ricevimento ed il corredo era meno completo. Insomma, a volte si risparmiavano anche un po’ di soldini dell’epoca.

Cose incredibili di quei tempi, almeno per noi oggi. Naturalmente ho escluso quei casi di ragazze non consenzienti, che venivano rapite e stuprate, e quindi costrette a sposarsi con il loro violentatore che solo così poteva estinguere (non in carcere purtroppo) la pena relativa al reato commesso. Casi avvenuti anche a Molfetta, in passato. Dal 1968 tante cose sono cambiate, la società si è evoluta in meglio ma, l’art. 544 del Codice Penale è stato abrogato solo nel 1981. Una cosa assurda, vero?

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