Sapere e sapori di una volta: la cottura “cù pignéteidde”

Quel semplice pentolino d’argilla è diventato per noi molfettesi il simbolo della riscoperta del piacere della buona, sana e genuina cucina di una volta. Da un racconto di Angelo Boccanegra

“U’ pignéteidde”, letteralmente: piccola pignatta. In vernacolo molfettese è declinato al maschile.

Quanti di noi hanno mangiato i legumi e non solo cotti “ind o pignéteidde”? Beh, tanti della mia generazione, sicuramente, tanti come me che non riescono ancora a rinunciare alla semplicità,  genuinità e, perché no, alla bontà dei cibi cotti come si faceva una volta. 

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“U’ pignéteidde” è – parlo al presente perché si vendono ancora pentole e stoviglie artigianali in terracottaun grosso boccale di creta che si utilizza, non più con la frequenza del passato però, per la cottura di molti cibi, ma soprattutto dei legumi. Questo pentolino d’argilla, più di ogni altra pentola in terracotta fatta a mano, sa per noi molfettesi di storia, passato e riscoperta della cucina tradizionale.

Oggi sappiamo che i benefici della cottura con pentole in terracotta sono molteplici ed è possibile cuocervi qualunque tipo di pietanza. Le pentole in terracotta sono perfette per una cucina sana. Sappiamo inoltre che la terracotta è anche capace di conservare il calore e disperderlo molto lentamente. Ecco perché le pentole d’argilla sono ideali per le cotture lunghe! In passato tutte queste cose non le sapevamo. Avere in cucina, pronto per l’uso programmato, “u’ pignéteidde”, non era certo una scelta, ma una mera necessità per la cottura di determinati cibi. La presenza di quel pentolino, tra le tante pentole d’argilla di varia grandezza, era scontata nelle cucine di una volta. Oggi è una scelta. 

“A mezzàdaie paste e fasàule ind’a alla pignéte”. Che delizia!

In passato, soprattutto in inverno, si approfittava del fuoco acceso del camino che oltre a riscaldare l’ambiente, portava a termine la cottura di questo boccale di creta posto vicino alla fiamma o alle braci ardenti. In tanti però lo portavano per la cottura in uno dei numerosi forni a legna situati in vari punti della città a quei tempi. Oggi ve ne sono ancora di attivi a Molfetta (per fortuna) e non è raro vedere ancora qualcuno portare al forno il tipico boccale di coccio per la cottura dei legumi come si faceva una volta.

Raramente “u’ pignéteidde” (piccola pignatta)  si adoperava per la cottura della carne, non perché inadatto per esempio alla cottura di un buon spezzatino, ma solo perché in quei tempi la carne era un piatto ricco e non tutti se lo potevano permettere. Veniva adoperato soprattutto per la cottura dei legumi che era la carne dei poveri.

Accanto a questo pentolino di coccio, dall’inconfondibile forma, si poneva spesso nel camino un pentolino, sempre di coccio, pieno d’acqua che scaldandosi serviva per allungare il brodo di cottura dei legumi che andava via via consumandosi.

Una volta cotti i fagioli, i ceci o le lenticchie, si condiva con un filo d’olio d’oliva, il più delle volte di produzione propria o ricevuto come pagamento di qualche lavoro svolto a domicilio e del pane raffermo fatto abbrustolire con il tepore del camino.

Gesti semplici e genuini, profumi e atmosfere indimenticabili, gusti e sapori di un tempo andato,  purtroppo. 

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