Dolci ricordi delle feste in casa di una volta a Molfetta

Erano l’occasione giusta per mangiare cioccolate, confetti e il gelato, il famoso “quartino”, servito rigorosamente in quell’antipaticissimo piattino d’acciaio con il cucchiaino quadrato. Da un racconto di Angelo Boccanegra

“Il pezzo”, il dolce tradizionale delle feste di fidanzamento in casa di una volta. Foto di Angelo Boccanegra

Una volta, le ricorrenze importanti come il battesimo, la prima comunione, il compleanno ecc. si festeggiavano in casa, circondati dall’affetto di tutta la famiglia e spesso anche del vicinato. Un tempo si era un’unica grande famiglia e le ricorrenze erano anche un modo per consolidare i rapporti fra innumerevoli comari, compari, zie i zii, in un clima sempre festoso e fraterno.

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Naturalmente noi ragazzi eravamo i primi ad aspettare questi momenti perché il divertimento era assicurato e poi perché si mangiavano i dolci.

In un’epoca in cui non ci si poteva permettere praticamente nulla, si aspettava con ansia l’occasione giusta per mangiare cioccolate, confetti e il gelato, il famoso “quartino” servito rigorosamente in quell’antipaticissimo piattino di acciaio con la cartina sotto e il cucchiaino quadrato. Alla fine era sempre un’impresa finire di mangiare quel gelato tanto gustoso, ma tanto complicato da consumare specie su quei piattini piani. Si rischiava spesso, nel tentativo di affondare uno degli ultimi colpi di cucchiaino, di far balzare per terra l’ultimo pezzo di gelato. E come era complicato poi con quei cucchiaini dalla stranissima forma, recuperare la parte del gelato che si era sciolta dal fondo di quegli antipatici piattini.

Dopo il quartino, poteva capitare spesso nelle feste “più ricche” – secondo i canoni del tempo, ovviamente, molto diversi da quelli di oggi – di gustare il “moretto”, altro gelato molto diffuso all’epoca, che invece veniva addentato partendo sempre dall’immancabile ciliegia candita posta al vertice. Il tutto si concludeva con il tradizionale brindisi con il rosolio fatto categoricamente in casa. A noi infanti, però, l’alcool non era concesso, ma avevamo una buona e fresca alternativa: le “gazzose“.

Non è ancora tutto. In questi arcaici buffet d’una volta, non mancavano quasi mai i vassoi stracolmi di wafer, i mitici “fru-fru”. Erano quelli i tempi in cui il dolce non era certo consumato ogni giorno per cui spesso noi ragazzini conservavamo in tasca quei buonissimi e friabili dolcetti per gustarli in un altro momento. Facevamo un po’ di scorte, in pratica, come nella celebre scena del film “Miseria e Nobiltà” quando il mitico Totò inizia a mettere gli spaghetti in tasca ballando e mangiando sul tavolo.

Così la festa trascorreva fra sorrisi e ricordi e fra le raccomandazioni di rito. Una curiosità finale: perché i wafer si chiamavano “fru-fru”? Forse la parola ricorda il rumore che si sente quando si spezzano o si mordono o forse deriva dal francese frou-frou? Chi lo sa…

Wafer, pubblicità degli anni Sessanta
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