Carnevale di Molfetta, una vecchia tradizione: il “Funerale di Toma”

Era una pubblica burlesca sceneggiata che chiudeva il Carnevale molfettese, quello vero e grande di una volta, quello che non esiste più da parecchi anni, purtroppo. Da un racconto di Angelo Boccanegra

Il “Funerale di Toma”. Foto degli anni ’70

L’ultimo giorno di Carnevale, secondo una antica tradizione popolare, si svolgeva a Molfetta il cosiddetto “Funerale di Thome”, nome in vernacolo, poi italianizzato in “Toma”. Iniziata chissà quando, questa strana messinscena del funerale di un fantoccio impagliato e ben imbacuccato, un tempo si ripeteva ogni anno, l’ultima sera di Carnevale, prima dello scoccare della mezzanotte tra il Martedì Grasso e il Mercoledì delle Ceneri. prima dell’uscita della Croce dalla Chiesa del Purgatorio dopo i trentatré lenti funerei rintocchi del campanone della Cattedrale, l’annuncio del brusco inizio della Quaresima e della fine del Carnevale.

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Dall’Arco della Terra, ad una certa ora della sera del Martedì Grasso, dopo la conclusione dell’ultima sfilata di maschere e carri allegorici, usciva un corteo funebre formato da uomini travestiti da prefiche, con veli neri sul capo, una candela in una mano e nell’altra una cordicella con dei pezzi di sughero infilati, come fosse un rosario. Ogni tanto, queste “donne” urlavano: “E’ mourte Thome, cé peccate!”. Inutile aggiungere che i volti di questi uomini travestiti da donne che esternavano un dolore recitato alla carlona induceva inevitabilmente alla risata.

Era quello sgangherato corteo funebre, l’ultima mascherata del Carnevale molfettese che stava finendo. Non mancava poi il prete, in realtà un uomo travestito con abito talare preso da chissà dove che con un libro in mano aperto e con voce nasale, pregava in un modo del tutto singolare, proferendo litanie intervallate da non poche parolacce in un latino storpiato. Seguiva un carretto addobbato di fiori messi alla carlona, la caricatura evidente di un affusto di cannone, trainato a mano o da un asino, su cui era disteso il cadavere di Thome, un fantoccio di paglia con vestiti rattoppati e la testa formata da una palla di carta di giornale accartocciato nascosta da un cappello. Non potevano mancare dietro al feretro “parenti, amici e conoscenti” di Thome: la vedova con le comari e poi figli, fratelli e altri che invocavano il nome del defunto decantandone le virtù, tra strilli sguaiati e ostentati singhiozzi di dolore. Questo singolare corteo si chiudeva poi con la gente comune che alla maniera degli strilloni di una volta urlava ritmicamente: “Thome è mòurte è mòurt Thome. Il corteo concludeva il suo percorso da dove era partito, dinanzi all’arco di accesso alla città vecchia, dove il carretto veniva rovesciato e il fantoccio veniva bruciato mettendo così fine al Carnevale.

Dopo qualche ora dal rogo di Thome, infatti, allo scoccare della mezzanotte, dalla Chiesa del Purgatorio, si snodava la Processione della Croce con l’Arciconfraternita della Morte. Un rito che si celebra ancora oggi, nella città di Molfetta, a differenza del “Funerale di Toma”. La riproposizione di questa vecchia tradizione in anni più vicini a noi, senza quella pulsione popolare che animava il Carnevale molfettese di una volta, non è paragonabile al corteo “partecipato” degli anni del grande Carnevale molfettese. Anche questo, era davvero un evento tanto atteso, l’ultimo sfogo di allegria collettiva, prima dell’inizio della Quaresima.

Il Carnevale molfettese d’una volta
Foto dei carri allegorici e dei gruppi mascherati
(Cliccando su una foto abiliti la visione automatica un lightbox)

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