Molfetta marinara: la “buzzetta”. Quando era “generosa” si divideva …

Ricordi di quel magico fazzoletto pieno di buon pesce fresco. E non era sempre lo stesso “ciambotto”. Ricordi di quelle zuppe di pesce sempre diverse e gustosissime. Da un racconto di Angelo Boccanegra. Foto di Dario Lazzaro Palombella

L’oro di Molfetta. Ph. Dario Lazzaro Palombella

La pesca ha da sempre accompagnato la vita dei molfettesi. Il settore ha da sempre avuto un’importanza vitale per la città. Tanti sono, da sempre, anche quelli che con piccole barchette, si dedicano alla pesca come hobby del tempo libero. I pesci tipici del nostro mare sono: pesce azzurro (alice, sgombro e sugherello o lacerto), sarago, gambero rosso, merluzzo, orata, seppia, polpo, calamaro, cefalo o muggine, rana pescatrice, totano, triglia, San Pietro, cicala o canocchia, scorfano, bavosa, gallinella, grongo, latterino, salpa, tracina o parasacco, palombo o penna, cappellano o busbana conosciuto anche come merluzzetto (in vernacolo: “nuzze stubete”).

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I molfettesi sono anche dei grandi consumatori di frutti di mare come: cozze nere, cozze pelose, vongole, noci, ricci, tartufi di mare, cannolicchi, murici, mussoli di mare ecc. Altre specialità molfettesi che vengono consumate esclusivamente a crudo sono: “merosche” (pesciolini poco più che avannotti), “pulpe a teneriedde” (piccoli polpi che vengono battuti affinché diventino morbidi per poterli mangiare crudi).

Il mito di Molfetta marinara si è costruito nei secoli grazie ad impavidi avventurieri, che sin dal Medioevo hanno orientato le loro prue su approdi lontani costruendo solidi rapporti commerciali con i popoli del Mediterraneo, tramandando i segreti di una vita di sacrifici e pericoli che richiede prontezza di spirito, esperienza e coraggio. Alla pesca partecipava un equipaggio di una quindicina di uomini: “u sopaviende” (capitano) che indicava la rotta, “u sottaviende” (secondo comandante), “u chembesiere” (custode delle provviste), il timoniere e il mozzo che aveva fra l’altro il compito di svegliare i marinai dalle rispettive abitazioni. I marinai ricevevano al rientro in porto dopo la battuta di pesca “la buzzette”, pesce di seconda e terza scelta; la domenica, dopo il rammendo delle reti e la pulizia delle barche, percepivano “la chelonne”, una somma in denaro (la paga settimanale in pratica).

Ancora oggi vengono utilizzate la barchetta a remi (gozzo) e “la lembare” (lampara), che a poppa ha una grossa lampada che ha la funzione di attirare il pesce azzurro nella rete durate le battute di pesca serale. La paranza era una barca di piccolo cabotaggio in passato utilizzata per la pesca a strascico. Aveva un albero con vela latina dipinta a colori vivaci (di forma triangolare), la prua gonfia e rientrante, la poppa leggermente inclinata verso l’esterno, lo scafo riccamente decorato. Queste barche tiravano la rete in coppia, da cui il nome di paranza, cioè di barche che procedevano al paro. Dal 1872 furono denominate bilancelle. Usata fino all’avvento dei motori, intorno agli anni ’30, pescavano perlopiù tutti di tipo di pesce azzurro, triglie, merluzzi, calamari, palombi, cefali.

Porto di Molfetta, peschereccio. Ph. Dario Lazzaro Palombella

Grazie alla “buzzetta”, in passato, si alimentavano in molti. Al rientro dalla battuta di pesca, dopo aver scelto il pesce “prelibato”, quello in pratica che doveva essere venduto, i pescatori si dividevano il pesce rimasto, ritenuto di seconda e terza scelta.

La “buzzetta” non era altro che un fazzoletto molto grande dove al centro veniva posizionato il pescato e legato unendo i quattro “pizzi”, a modo di fagotto. Questo ricco fazzoletto veniva portato dal figlio del marinaio o dal marinaio stesso, alle proprie famiglie che provvedevano al loro fabbisogno giornaliero. Alle volte, quando la “buzzetta” era “generosa”, si divideva col vicinato, oppure si vendeva nel quartiere per racimolare qualche lira. Inutile dire che per quei tempi era davvero una fortuna avere il cibo assicurato, del buon pesce fresco per cucinare delle zuppe che alimentavano intere famiglie.

Oggi sappiamo che alcuni pesci ritenuti in passato di seconda o terza scelta (quelli che andavano ad “irrobustire” la buzzetta), hanno valori proteici elevati. Un approvvigionamento di buon pesce fresco, vitale in tempi in cui mettere assieme il pranzo con la cena non era affatto semplice per tantissime famiglie. E non era poi sempre il solito “ciambotto”, la solita zuppa di mare, nata dall’esigenza dei pescatori di cucinare a casa il pesce “invendibile” perché troppo piccolo o di poco valore, accompagnandolo con pane vecchio per riempire la pancia a costo zero (che per quei tempie era importante).

Il termine è ancora vivo nella memoria dei molfettesi e viene ancora usato. Non è raro sentire ancora la tipica frase: “te si fatte la buzzette?”. Queste “buzzette” oggi sono fatte spesso con il meglio del pescato giornaliero e le zuppe di pesce sono diventate un piatto unico, sontuoso. C’è chi ama, ancora oggi però, riassaporare una buona zuppa come quelle di una volta, con quel pesce ritenuto di seconda o terza scelta, per risentire nuovamente gli odori e riassaporare i sapori del buon tempo andato, fatto di cose buone, genuine, semplici ma anche povere, nel significato più nobile del termine.

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