L’anno che verrà. Come salutare l’anno vecchio e accogliere quello nuovo

Dal cibo agli abiti, dai gesti ai botti, le usanze portafortuna che dovrebbero aiutarci a catturare la buona sorte e convincerla a riservarci un occhio di riguardo per il nuovo anno. Ricordi del Capodanno di una volta. Da un racconto di Angelo Boccanegra

Il cotechino con lenticchie è uno dei piatti tipici della tradizione culinaria italiana. Il suo consumo è strettamente legato alla festività del Capodanno, merito di un valore, oltre che culinario, anche di tipo simbolico. Rappresenta l’abbondanza e viene servito come buon augurio per un nuovo anno prospero e redditizio, in particolar modo dal punto di vista economico.

L’ultimo dell’anno rappresenta per molti di noi un momento in cui si fanno delle riflessioni sui giorni vissuti durante l’anno trascorso, tra alti e bassi; si riflette sui progetti falliti o parzialmente realizzati; si tirano le somme, in buona sostanza, senza fare sconti a nessuno ma soprattutto a noi stessi, confidando in un anno migliore. Molti di noi, poi, con l’approssimarsi del 31 dicembre iniziano a stilare i famosi “buoni propositi” per l’anno che verrà.

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Da sempre, tutti desiderano che l’anno nuovo sia più felice e prospero di quello trascorso. Purtroppo non sempre il nuovo anno asseconda i nostri desideri, le nostre speranze di benessere e prosperità. Tuttavia, è bello farsi cullare dall’ottimismo che non guasta mai, soprattutto l’ultimo giorno dell’anno. Il buon umore serve, almeno a Capodanno, ma va in un certo senso “aiutato” dai riti scaramantici, della serie “non ci credo ma non si sa mai”. Simboli e riti scaramantici, “segnano” inevitabilmente il fatidico passaggio tra la fine di qualcosa e l’inizio di un nuovo percorso.

Sorridere è il primo portafortuna di quel giorno, soprattutto di quel giorno, perché l’obiettivo è sempre quello di favorire l’arrivo di un “anno buono”, sicuramente migliore di quello che s’avvia a conclusione, prospero, sereno ma anche ricco, certamente non funesto. Inutile negarlo, se è vero che “i soldi non fanno la felicità”, è anche vero che senza soldi è peggio e non si va da nessuna parte. Si dice che “la salute è più importante della ricchezza”, certo, e chi negherebbe una cosa del genere, ma è utile anche rammentare che a volte per curarsi e restare in buona salute, i soldi servono eccome!

Uno dei rituali più conosciuti (e seguiti) in assoluto è quello dell’intimo rosso perché si dice porti fortuna. Il rosso simboleggia infatti la vita, la forza, la passione e nella sua accezione positiva propizia la buona sorte. L’intimo però per portare fortuna deve essere indossato al contrario, cioè con le cuciture all’esterno, mentre a Capodanno tutti i capi indossati devono essere voltati, per far iniziare l’anno nuovo per il verso giusto. Mutande, slip e completini vari, poi, una volta finita la festa, devono essere gettati via per non essere mai più indossati. Non è tutto: la biancheria non deve essere comprata, ma occorre averla avuta in regalo.

Il melograno si mangiava e si mangia ancora l’ultimo dell’anno perché è simbolo di fertilità, abbondanza, longevità e buona sorte in virtù del suo colore rosso, dei chicchi dolci e succosi che danno energia a chi li mangia. Il vischio, simboleggiava e simboleggia ancora, la prosperità e la ricchezza. Molte tavolate di fine anno, sono per questo motivo, abbellite dal vischio. La sua funzione, come si vede, non è solo decorativa ma prevalentemente scaramantica.

Le lenticchie sulla tavola di Capodanno sono un elemento irrinunciabile come auspicio di fortuna e ricchezza per l’anno che sta per iniziare. “Chi mangia lenticchie a Capodanno conta quattrini per tutto l’anno” recita un vecchio proverbio. Anche l’uva non deve mancare dalle tavolate di fine anno perché ha sempre rappresentato l’allegoria della ricchezza e simboleggia da tempo immemorabile la salute, il benessere e la prosperità.

L’anno nuovo è salutato da un vero e proprio spettacolo fantasmagorico che ha il significato allegorico di allontanare le negatività e di propiziare tempi nuovi, forieri di buona salute e prosperità economica. In passato si credeva che i botti servissero a scacciare gli spiriti maligni, a dare il benvenuto agli spiriti benevoli del presente e del futuro. Il fuoco doveva bruciare i residui cattivi dell’anno trascorso e rischiarare il cammino dell’anno nuovo; il rumore, inoltre, doveva spaventare le forze e le energie negative allontanandole.

Un tempo poi, allo scoccare della mezzanotte, oltre a sparare botti sovente potentissimi (e pericolosissimi) si buttavano dalle finestre le cose vecchie, soprattutto vecchie pentole di coccio, piatti ecc. Al gesto si doveva accompagnare necessariamente il fragore di questi oggetti che andavano in frantumi dopo il violento urto con le chianche che lastricavano quasi tutte le strade della città. Si pensava, cosi facendo, di dare un taglio netto, quasi violento col passato nella speranza di un futuro migliore. E più l’anno vecchio era stato negativo per la famiglia, più dalle finestre e dai balconi volava di tutto di più. Per questo, dopo la mezzanotte, la città sembrava avesse subito un bombardamento. Questo rito scaramantico non è scomparso del tutto, però, come anche quello di far esplodere botti potentissimi che spesso provocano notevoli danni.

A parte i “riti canonici” di Capodanno che un po’ tutti conosciamo, ci sono poi riti specifici, o varianti dei riti più noti che molti mettono in pratica, in ogni famiglia. Tanti sono ancora i ricordi delle feste di C0apodanno del passato, tutte rigorosamente organizzate in casa perché una volta i veglioni nei migliori ristoranti non esistevano. Sin dalla mattina del 31 dicembre tutti in famiglia erano più o meno impegnati in preparativi vari. La vigilia trascorreva velocemente, fra pranzi e giochi interrotti. Dieci minuti prima dello scoccare della mezzanotte, per prepararsi al meglio all’arrivo del nuovo anno, i giochi venivano sospesi. E dopo il classico countdown, arrivava finalmente il nuovo anno con il volo programmato del tappo della prima bottiglia di spumante. Il tappo doveva necessariamente colare e cadere sulla testa di qualcuno, il designato dalla sorte come il più fortunato dell’anno nuovo, così si credeva. E subito dopo baci e abbracci nel fragore quasi assordante dei botti che un tempo sembravano non terminare mai.

Ogni anno, in questi giorni, i ricordi affiorano, quelli della mia infanzia. Li rivivo sempre con un pizzico di nostalgia. Rivedo con la mente i miei genitori, i loro occhi e quel velo di tristezza mista a felicità, quella strana malinconica allegria, innescata dall’ennesimo anno che volava via. Io, troppo giovane allora, non riuscivo a spiegarmi il perché di quella commozione. Oggi, con l’età che avanza, tutto mi è più chiaro: quelle lacrime che all’improvviso mutavano i sorrisi di quei volti, raccontavano la loro vita, l’inesorabile trascorrere del tempo.

Poi il primo dell’anno volgeva al termine, con i saluti e il rinnovarsi degli auguri, e con la speranza nel cuore di tutti di rivedersi anche alla fine dell’anno appena iniziato. Quel giorno si concludeva sempre con il più classico (a quei tempi) tra gli auspici. La frase di rito era sempre la stessa, di anno in anno: “Ci Criste ne fashe chembà” (Trad.: “Se Cristo ci fa vivere”).

Auguri a tutti, e sia per tutti voi un anno speciale. Buon 2024.

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