La Chiesa di Molfetta si interroga sui fatti del 31 dicembre

Anche i sacerdoti e i laici della Chiesa di Molfetta hanno sentito «il dovere e il bisogno di dire una parola franca ed evangelica in merito agli atti vandalici accaduti nella notte di Capodanno in Piazza Vittorio Emanuele, nella città di Molfetta».

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Il dibattito sui “fatti di Capodanno”, quando in piazza Vittorio Emanuele II si sono viste scene da guerriglia urbana, immortalate in un video divenuto poi virale sui social, non si è mai interrotto. E’ giusto che se parli ancora, secondo noi, è giusto che in tanti si interroghino su questi fenomeni.

Il dibattito che si è innescato in città, si è incentrato anche su quello che è stato fatto o non è stato fatto per quella piazza ma anche per tutto il quartiere, dalle varie amministrazioni comunali succedutesi alla guida della città negli ultimi decenni. Destinataria delle critiche maggiori è stata, inevitabilmente, l’attuale amministrazione. E’ normale che l’amministrazione alla guida della città sia destinataria delle critiche maggiori quando “accade qualcosa” a livello comunale. E “qualcosa” è effettivamente accaduto a Capodanno. L’arrivo del 2024 è stato festeggiato in quella piazza da un gruppo di giovani facendo esplodere dei petardi all’interno e all’esterno dell’abitacolo di un’automobile già ribaltata dagli stessi. Un gesto immortalato dai telefonini in un video diventato virale sui social e trasmesso poi dai telegiornali nazionali.

Anche i sacerdoti e i laici della Chiesa di Molfetta hanno sentito «il dovere e il bisogno di dire una parola franca ed evangelica in merito agli atti vandalici accaduti nella notte di Capodanno in Piazza Vittorio Emanuele, nella città di Molfetta». In questa “lettera aperta” già pubblicata sul sito della Diocesi di Molfetta – Ruvo- Giovinazzo e Terlizzi i sacerdoti e laici si interrogano e invitano a riflettere sull’emergenza educativa, un problema serio non ancora affrontato seriamente dalle istituzioni con la dovuta attenzione ed urgenza.

«Come Chiesa sentiamo l’urgenza di parlare in maniera libera e aperta, con verità e autonomia, spinti da quel senso di emergenza educativa che da sempre anima il nostro approccio ai giovani. 

Proprio alla scadenza mensile di un evento che ha lasciato costernata l’intera Città, gridiamo a tutti che la vita di questi ragazzi ci sta a cuore, così come anche il fatto che il crescente disagio generato da questi atti ci pone grandi domande.

Come fratelli che camminano insieme ad altri fratelli avvertiamo l’esigenza di riflettere ad alta voce: al di là del naturale sconcerto che condividiamo con tutti i cittadini e gli uomini di buona volontà, non vogliamo fermarci alla facile e ormai unanime condanna e al dolore. 

Ci chiediamo invece cosa abbia fatto in modo che dei giovani, che hanno frequentato gli ambienti educativi civili e ecclesiali (scuola, sport, oratori, catechesi), abbiano confuso la gioia della festa con una incontenibile forza distruttiva, la legittima allegria con la tracimante mancanza di rispetto di beni, luoghi e persone, la giusta goliardia con il gelo della violenza.
Ci chiediamo che cosa abbia in comune l’amicizia con la connivenza di relazioni che hanno come scopo l’esaltazione dell’aggressività. Ma soprattutto ci chiediamo come dei giovani possano non saper leggere nel proprio cuore il bisogno di condivisione di bene che ogni convivenza umana e ogni sana relazione portano con sé. 

Cosa è mancato nella trasmissione del bene da parte della nostra Chiesa locale, delle nostre famiglie, delle agenzie educative laiche e cristiane che questi ragazzi hanno frequentato?
Ci chiediamo poi se l’aver dato seguito alle necessarie procedure detentive per i maggiorenni della gang sia sufficiente per trasmettere quel necessario cambiamento di mentalità e di approccio alla vita come scelta del bene comune.
Un grande educatore cattolico, che festeggiamo proprio alla scadenza mensile di questo spiacevole evento, S. Giovanni Bosco, ricordava l’importanza e l’efficacia sociale e personale del sistema educativo della prevenzione.

Non dobbiamo e non vogliamo perciò lasciarci rubare la speranza: come portatori del Vangelo e come città che ha visto per le proprie strade l’azione indimenticata e indimenticabile del venerabile don Tonino Bello, sappiamo che il cuore di ogni uomo è aperto al bene.
Dichiariamo perciò la nostra disponibilità al dialogo con le istituzioni, con la scuola e con le famiglie stesse di questi ragazzi, alle quali facciamo giungere la nostra vicinanza, così come con tutte le famiglie, perché si stabilisca, qualora si fosse persa, quella necessaria rete che genera, come spesso si dice, una vera e propria alleanza educativa.

Questo nostro grido, sollevato al cospetto della Città, vuole essere una rinuncia chiara a posizioni accusatorie verso chicchessia e invitare chiunque sia entrato in questo facile gioco a tirarsene fuori. La caccia alle colpe di qualcuno o di “alcuni”, rispetto “ad altri” non aiuta nessuno e spinge al facile atteggiamento della deresponsabilizzazione.
La responsabilità dell’intera comunità ci obbliga ad una collaborazione.

Il nostro desiderio è che questo atteggiamento instauri stili di vita più umani, per rendere i nostri quartieri vivibili e ci aiuti tutti a rinunciare a navigare ciascuno nel piccolo cabotaggio del suo porticciolo, ma, facendo rete, a remare tutti nella stessa direzione, quella del bene comune.»

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