Si svolse a Molfetta uno degli ultimi processi per stregoneria d’Europa

La vicenda di una donna, Rosa de Pantaleo, protagonista di uno degli ultimi processi per stregoneria d’Europa che si svolse a Molfetta, nella seconda metà del XVII secolo. Accusata ingiustamente di praticare la magia nera e per questo condannata

La caccia alle streghe, al contrario di quanto spesso si affermi, è stato un fenomeno che si è sviluppato soprattutto durante l’Umanesimo e il Rinascimento. È bene specificare che un primo inizio si verificò a fine Medioevo, quando si diffuse l’idea che dietro le streghe ci fosse il diavolo, ma ha avuto il suo apice proprio nell’epoca rinascimentale

La stregoneria è un fenomeno che ha origini pagane: dapprima si credette che le streghe volassero di notte e compissero sortilegi contro le persone. Successivamente, con la diffusione della credenze nel demonio, si cominciò ad accusare le streghe di essere sue adoratrici.

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Alcuni episodi di caccia alle streghe sono già testimoniate nell’Alto Medioevo: le vittime delle persecuzioni erano uomini e donne accusati di modificare con la magia il tempo atmosferico in modo da danneggiare i raccolti e il bestiame. A tal Riguardo Gregorio VII ( 1076-80) scrisse al re danese Harald, invitandolo a far cessare l’odio contro le donne accusate di modificare il clima.

Il più antico documento europeo che parla di stregoneria è il “Canon episcopi”, scritto nel IX secolo durante il regno franco di Ludovico II. Si tratta di una breve istruzione rivolta ai vescovi su come trattare la credenza popolare delle adepte di Diana che secondo il mito sarebbero state capaci di volare per raggiungere di notte la riunione in cui adorare la dea della caccia. Nel documento si mantiene un certo distacco nei confronti del fenomeno, e  le streghe vengono descritte come vittime di un’illusione del demonio che fa credere loro di essere capaci di volare.

Fra il 1227 ed il 1235 fu instaurata l’Inquisizione contro le “streghe” e contro gli “eretici” con una serie di decreti papali. Nel 1252 Papa Innocenzo IV autorizzò l’uso della tortura per estorcere “confessioni” di stregoneria da parte delle donne sospettate. Successivamente, Alessandro IV diede all’Inquisizione ogni potere di torturare ed uccidere, in caso di stregoneria coinvolgente l’eresia.

Il 5 dicembre 1484, Papa Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, già vescovo della diocesi di Molfetta, emanò la bolla pontificia “Summis desiderantes affectibus” con la quale diede ai frati domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger pieni poteri in alcune regioni della Germania per svolgere incontrastati la loro opera di inquisitori contro il delitto di stregoneria. Essi pubblicarono nel 1487 il “Malleus Maleficarum” (letteralmente “Il martello delle malefiche”, cioè “delle streghe”), un trattato in latino, una sorta di “Manuale del perfetto inquisitore”.

Innocenzo VIII, nato Giovanni Battista Cybo (Genova, 1432 – Roma, 25 luglio 1492), è stato il 213º papa della Chiesa cattolica dal 1484 alla morte. Dal 1473 al 1484 è stato vescovo della dicocesi di Molfetta per volontà di Papa Sisto IV. Divenne una figura popolare a Molfetta, poiché per tutta la durata della nomina, risiedette stabilmente nella diocesi e tra la gente.

Si è ritenuto talvolta erroneamente che il Malleus Maleficarum discendesse dall’espressa volontà papale. In realtà il più famoso manuale antistregoneria è posteriore di tre anni alla bolla pontificia, che è totalmente avulsa dal trattato: gli autori utilizzarono la bolla per imporre una visione fino a quel momento molto personale della stregoneria e del modo per contrastarla. La stessa Approbatio si è rivelata un falso, smascherato in tempi recenti.

Molte eminenti personalità coeve alla pubblicazione del Malleus Maleficarum, anche in seno al cattolicesimo, dubitavano dell’esistenza delle streghe, considerando tali credenze delle mere superstizioni; ve ne erano però altrettante, che invece credevano nei poteri soprannaturali di maghi, streghe e stregoni, poteri donati dal diavolo. A riprova di ciò nel Malleus Maleficarum i due frati domenicani rimproverano aspramente tutti coloro, soprattutto religiosi, che minimizzano le credenze popolari reputandole superstizioni, mettendo a tacere il dissenso fin dalla prima proposizione:  “Haeresis est maxima opera maleficarum non credere”, recita il Malleus Maleficarum, ossia “La massima delle eresie è quella di non credere nella stregoneria”. Per gli autori in buona sostanza affermare l’esistenza degli stregoni è così cattolico al punto che affermare ostinatamente l’opposto è eretico.

Il Malleus Maleficarum però non fu mai adottato ufficialmente dalla Chiesa cattolica, ma non fu neppure mai inserito nell’indice dei libri proibiti, come, ad esempio, il Manuale dell’inquisitore di Eliseo Masini, o la successiva Démonomanie des Sorciers di Jean Bodin, che al Malleus Maleficarum, per molti aspetti si rifaceva. Riscosse i consensi della quasi totalità degli inquisitori e di autorevoli ecclesiastici, nonché di giudici dei tribunali statali sive secolari, tanto che ne vennero pubblicate trentaquattro edizioni e oltre trentacinquemila copie impresse anche in edizione tascabile. La sua immediata e durevole popolarità contribuì a scalzare l’autorevolezza di un precedente testo di riferimento per i casi di stregoneria, l’antico Canon episcopi, datato secoli prima, che comunque non risultava rilevante ai fini della caccia alle streghe.

Nel Malleus Maleficorum i frati domenicani elencavano dettagliatamente quello che combinavano le streghe: «uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l’uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi ed altri animali domestici; fanno soffrire, soffocare e morire le vigne, piantagioni di frutta, prati, pascoli, biada, grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne; e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne di concepire…».

La caccia alle streghe non è dilagata nel Medioevo contrariamente a quel che generalmente si è portati a ritenere. Questa idea ha iniziato a diffondersi solo attraverso gli scrittori romantici dell’Ottocento come Jacob Grimm e Jules Michelet. Infatti, fino agli inizi del XV secolo ebbe carattere episodico. Nel Medioevo ci furono effettivamente condanne di streghe, ma si trattò sostanzialmente di casi isolati. I tribunali ecclesiastici insieme a quelli secolari, erano invece impegnati a perseguire le eresie come quella dei catari o dei valdesi.

La sua diffusione esponenziale parte dal ‘400 con il diffondersi della credenza del patto stretto dalle streghe con il diavolo. Il sabba, l’incontro notturno in cui le streghe bestemmiavano, insultavano gli oggetti sacri e avevano rapporti sessuali con il demonio è la manifestazione di questo patto scellerato. In questo modo la caccia alle streghe assume completa copertura legale da parte della Chiesa. E sono i Demonologi e gli inquisitori provenienti per lo più dall’ordine dominicano a rendere credibile ciò che prima appariva frutto della superstizione popolare, e a trasformare la stregoneria in uno dei principali crimini contro la Chiesa e la cristianità.

Molfetta 1586, Biblioteca Angelica, Roma

Alcune personalità famose caddero vittime dell’Inquisizione. La più nota è senza dubbio Giovanna d’Arco, la pastorella che assunse il comando dell’esercito, salvò la Francia dall’invasione nemica e rimise in trono il legittimo sovrano. Fu però accusata di stregoneria ed eresia perché indossava i pantaloni e cavalcava come un uomo e fu quindi bruciata viva. Ora però è canonizzata.

La caccia alle streghe fu un fenomeno che si sviluppò sopratutto nell’Età moderna, quindi, non nel Medioevo e in Italia fu nel ducato di Savoia che si ebbe il primitivo sviluppo delle persecuzioni. Il primo documento italiano che tratta del fenomeno è il “Consilia seu responsa ad causas criminales recens edita”, del giurista Bartolo da Sassoferrato (prima metà XIV secolo): nel testo sulla cui originalità dubitano parte degli studiosi, il giurista considera le streghe delle eretiche che hanno rifiutato Cristo ma si respinge l’idea che esse compiano dei malefici. Secondo Bartolo le streghe possono evitare il rogo solo con il pentimento.

Nel Trecento il processo penale contro le streghe non è ancora definito e coloro che compiono magie vengono considerati semplicemente come eretici anche se ci sono inquisitori, come l’aragonese Nicholas Eymerich, che nel “Directorium Inquisitorum” del 1376, pur non parlando di stregoneria, dedicano particolare attenzione agli autori di sortilegi.

La sovrapposizione di eresia, magia e credenza nelle streghe comincia a registrarsi nei processi che cominciano a tenersi più numerosi in Piemonte e in Savoia tra XIV e XV secolo. Nel trattato demonologico “Formicarius” scritto da Johann Nider tra il 1435 e 1437 anche se non viene fatto esplicito riferimento alla stregoneria, il fenomeno descritto le somiglia molto: riprendendo i rapporti dell’inquisitore Pietro da Berna, si fa riferimento a una setta malefica composta da sole donne che si radunavano per incontrare il demonio che si impegnavano ad adorare, rinnegando il Cristo. Una donna della setta fatta prigioniera, aveva confessato anche di sottrarre alle loro madri i bambini ancora in fasce per poi divorarli, bevendone il sangue.

Heinrich Kramer, noto anche come Institoris, a dato un contributo importante alla costruzione teorica del reato di stregoneria. Entrato giovanissimo nell’ordine dominicano, Kramer si distinse per lo zelo nel perseguire gli eretici valdesi, ussiti e gli ebrei, diventando inquisitore generale per la Germania. Poiché le stesse autorità laiche e ecclesiastiche locali nutrivano parecchie riserve sull’efferatezza dei suoi metodi di indagine, Kramer si recò a chiedere appoggiò dal papa Innocenzo VIII, che glielo concesse con la bolla “Summis desiderantes affectibus”, in cui si dichiaravano eretiche tutte le streghe e si nominava Institoris delegato papale in Germania. Proprio Kramer insieme al collega Jacop Sprenger scrissero nel 1487 il Malleus Malleficarum, un vero manuale per gli inquisitori su come arginare l’eresia e contrastare l’opera del demonio, che ebbe notevole diffusione e destinato a dare avvio a una vasta pubblicistica su questi argomenti. In Italia si ricorse frequentemente, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, al “De catholicis institutionibus liber”di Diego de Simancas (1569, II ed.), un manuale di demonologia e procedura inquisitoriale meno rigoroso del “Malleus Malefìcarum”, e alla fine del secolo i giudici di fede ebbero a disposizione anche un documento “moderato” quale fu la “Instructio pro formandis processibus in causis strigum et maleficorum”, una direttiva per le cause di stregoneria che la Congregazione del Sant’Uffizio diffuse anche in forma stampata dal 1657.

G.B. Pacichelli, Molfetta nel 1703.

Nonostante però le numerose vittime della fanatica intolleranza di Kramer, la persecuzione su vasta scala doveva ancora iniziare. Solo dopo la riforma, a partire dagli anni ’60 del XVI secolo che si ebbe la caccia alle streghe vera e propria. Le persecuzioni si diffusero in tutto il continente europeo.

Alcuni studiosi hanno messo in relazione con il peggioramento del clima la contestuale propagazione di questa isteria in contesti molto diversi tra loro: dopo il caldo del medioevo si ebbe una “piccola era glaciale” che incise negativamente sulla qualità della vita in una società legata a un’economia di sussistenza con conseguente perdita di raccolti; le streghe divenivano l’ideale capro espiatorio cui imputare le avversità meteorologiche. I reati per riti magici andarono a soppiantare quelli per eresia e a venire condannate erano sopratutto le donne sessualmente più esperte come levatrici, esperte di erboristeria, le cui conoscenze instauravano negli uomini timori e sospetti.

Nel cantone di Berna vennero bruciate 970 persone fra il 1581 e il 1620; in Lorena, la regione francese, l’incidenza di persecuzioni fu più alta e fra il 1552 e il 1624 si ebbero 3000 processi e 2700 condanne. Dopo il 1600 mentre nell’Europa centrale la caccia alle streghe cominciava a declinare, si incrementò nell’Europa centrale con una punta tra il 1626 e il 1630 in corrispondenza di una nuova ondata di gelo e della carestia prodotta dalla guerra dei Trent’anni: in Germania da parte della Lega cattolica vennero bruciate sul rogo 3500 streghe e i principali promotori della persecuzione furono i tre principi elettori ecclesiastici dell’impero, assieme ai vescovi di Franconia, Augusta, Strasburgo, Breslau e dall’abate di Fulda. Ma nel violento scontro confessionale anche luterani e calvinisti si resero protagonisti di un migliaio di condanne. Non è un caso che nelle regioni dell’impero dove la secolarizzazione era più avanzata (Palatinato, Boemia, Sassonia, Baviera) le persecuzioni furono assai meno intense.

Anche nelle grandi città (Parigi, Londra, Napoli, Francoforte, Milano) la fanatica repressione contro le streghe fu contenuta. Dopo aver raggiunto l’apice attorno alla metà del XVII, l’intensità della caccia alle streghe cominciò a declinare: una maggiore stabilità politica degli Stati e nella società, il venir meno delle epidemie di lebbra e di peste hanno probabilmente contribuito al mutamento dell’atteggiamento delle popolazioni verso la stregoneria. Dopo il 1700 i processi contro le streghe verranno celebrati in ristrette aree d’Europa, e tra la fine del secolo e l’inizio dell’ottocento il reato verrà abolito in tutto il Continente.

E proprio nella seconda metà del Seicento, una donna molfettese, Rosa di Pantaleo, fu accusata di essere una strega. Molfetta ai tempi era una città povera, superstiziosa, e la vicenda di Rosa è parte integrante di questo mondo.

Proprio nella seconda metà del Seicento, una donna molfettese, Rosa di Pantaleo, fu accusata di essere una strega.

Molfetta a quei tempi era una città radicalmente diversa da quella di oggi. Dobbiamo pensare ad un piccolo borgo completamente buio durante la notte, con vie strette e tortuose, praticamente deserte già dopo il tramonto, soprattutto in inverno, quando le persone si rintanavano con gli animali domestici in case che spesso erano solo dei piccoli oscuri tuguri, illuminati quando serviva solo da qualche candela, senza finestre, senza acqua corrente e servizi igienici, dove in poco spazio dormiva tutta la numerosa famiglia. Un piccolo borgo cinto da alte mura con pochi varchi di accesso, le porte, che si chiudevano al tramonto non consentendo a nessuno il transito fino all’alba del giorno dopo. La città era piccola, la stragrande maggioranza della popolazione era povera e superstiziosa. La vicenda di Rosa di Pantaleo si inserisce in questo fosco mondo.

Rosa rimane vedova intorno al 1640 e per guadagnarsi da vivere fa la prostituta. Si risposa, e dal suo secondo matrimonio nascono tre figli; le cose sembrano finalmente andare per il meglio, ma ad un certo punto anche il secondo marito muore. Oltre a dover fronteggiare una situazione familiare difficile, la donna accusa spesso malesseri fisici, ragion per cui Rosa ricorre con frequenza, per alleviare ai suoi mali, alla pratica del “piombo fuso”, una magia bianca tollerata dalla chiesa (nel recinto della stregoneria rientrava infatti anche la medicina popolare, che mescolava scienza empirica e magia).

Iniziano però a giungere le prime accuse contro Rosa da parte del vicinato per motivi futili, ma, nonostante la diffida del Vescovo, Rosa, se pure con titubanza, si presta a curare una vicina di casa. La pratica non ottiene risultati sperati, e le dichiarazioni accusatorie della vicina, insieme a quelle dei suoi parenti acquisiti che mal la sopportano, portano gli inquisitori ad intentare un processo contro di lei nel 1671. La donna allora confessa di fare uso di magia bianca a fin di bene, come guarire dai malanni, facilitare i matrimoni o riportare la pace nelle famiglie. Poi nel 1672, sotto tortura, Rosa inizia a confessare cose che non ha fatto: di aver rinnegato il battesimo, Cristo e la Madonna, di trasformarsi in gatto, di aver praticato infanticidio e di essersi unta con il sangue del bambino nella notte del Sabba, di aver venduto l’anima al diavolo. Dopo quattro anni, a Rosa viene dato un avvocato d’ufficio, che crede alla sua innocenza, ma non riesce a salvarla dalla inevitabile condanna. La sentenza viene emessa il 22 Dicembre 1675, e la donna viene condannata all’ergastolo.

LE STORIE DI MOLFETTA TRA MARE E MAGIA. REPUBBLICA TV 11/05/2017

Le due Rose, lo scienziato e i pellegrini: le storie di Molfetta tra mare e magia.Sulla banchina Seminario San Domenico: il mare davanti e il centro storico alle spalle. Il duomo romanico con le due torri subito identifica Molfetta. Con l'aiuto della nostra guida, Gianluca Sciannameo, la si percorre dalla parte delle storie, a partire da quella di Rosa de Pantaleo, protagonista di uno degli ultimi processi per stregoneria d'Europa, nella seconda metà del Seicento. Ma c'è anche un'altra donna che vola, Rosa Picca, che si lancia del tetto della sua casa pur di non cedere a un soldato francese durante il sacco della città del 1529. Eroismo, stregoneria, ma anche scienza nella casa-museo di Giuseppe Saverio Poli, medico naturalista tra Settecento e Ottocento. Molfetta, oltre che mare, è cammino: qui arrivavano i 'pellegrini di Cristo' verso la Terrasanta. Ricoverati nell'Ospedale dei Crociati, talora vi terminavano il percorso terreno diventando direttamente martiri (Antonella Gaeta)

Publiée par Molfetta Discute sur Jeudi 21 décembre 2017

Molfetta, il Duomo Vecchio in una foto storica del 1875, quando ancora sembrava una fortezza su una penisola rocciosa protesa nel mare. Forse una delle foto più vecchie del Duomo di San Corrado.

Viene detenuta nel carcere dell’Episcopio da dove tenta più volte la fuga. La prigione, di Rosa di Pantaleo (1616-1676), quando fu condannata al carcere a vita, in un processo svolto nella Chiesa Vecchia di Molfetta (si veda la foto), con aggiunta di nerbate e fustigate, era posta accanto alla Galera, che proteggeva la Chiesa dal Mare di Maestrale e di Tramontana, cioè nell’edifico posto a fianco, e in particolare la sua cella, era proprio a picco sul mare.

Il mare lo riesce a vedere bene dalla finestra della sua prigione, perché l’acqua un tempo arrivava fin sotto l’antico Episcopio. Da questa prigione, si getta Rosa per provare la sua prima fuga. Grazie ad un aiuto esterno, si costruì delle corde, e tentò di calarsi in mare, ma la fune si ruppe, e cadde in acqua, dunque fu subito recuperata e ripresa dalle guardie.

Tenta di nuovo di scappare, e prova a calarsi all’interno del Duomo stesso in cui c’era una finestrella che si affacciava nella chiesa, oggi murata. Realizza una corda con le lenzuola della sua cella, ma le lenzuola sono già di per sé logore e consumate, per cui la corda si rompe e Rosa cade rovinosamente a terra. Questa volta non cadde in mare, ma rovinosamente, a terra, ferendosi gravemente. La mattina dopo, il Chierico, Giuseppe Cappelluto, sagrestano della Cattedrale vecchia, la ritrova all’interno della chiesa con il braccio rotto e dolorante per le lesioni riportate. Viene subito soccorsa e portata di nuovo nella sua cella. Gli inquisitori ed il Vescovo la pregano ancora di abiurare, senza successo. Dopo poco tempo trascorso in agonia, il 27 aprile del 1676 Rosa viene trovata morta nella sua cella.

Strega, Rosa non lo era, ma confessò di esserlo in uno degli ultimi processi di stregoneria in Europa, consumatosi proprio a Molfetta tra il 1671 e il 1675, a un passo dal razionalismo, dietro l’angolo dei Lumi. Strega che, dopo la condanna alla prigione perpetua, prese il coraggio della disperazione e mai abiurò, pur di non darla vinta ai suoi persecutori. Se per loro era strega, non l’avrebbe più rinnegato e per questo dopo la sua morte, fu sepolta in terra sconsacrata.

Fonti:

– Andrea Del Col, “L’Inquisizione in Italia” .
– Angelo Ficco “Trasgressione e criminalità in Terra di Bari:Molfetta e Terlizzi tra Sei e Settecento”.
– Brian P. Levack, “La caccia alle streghe in Europa”.
– Keith Thomas, “Problemi sociali, conflitti individuali e stregoneria”.
– “Tra mare e magie” di Antonella Gaeta, in “La Repubblica” (11 maggio 2017).
– “Donne, tradizioni e antichi saperi, alla Consulta femminile di Molfetta il ruolo della donna nel passato” di Marianna Palma in “Quindici” (21 marzo 2016).
– “Le “streghe” a Molfetta: la storia di Rosa di Pantaleo” di Mirella Cives in “Molfettaviva” (31 ottobre 2018).
– “Storie e Leggende a Molfetta Vecchia” di Michele Valente. Anno pubblicazione: 2019.

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