Tra colpo di stato e legalità: il fenomeno del golpe bianco

Nella storia, l’apparenza ha sempre avuto un ruolo più importante della realtà“, ha sostenuto Gustave Le Bon, tra i fondatori della psicologia sociale e studioso dei comportamenti delle folle

Per golpe bianco si indica un colpo di Stato svolto senza ricorso alla forza, da parte di un governo che eserciti il potere in modo anticostituzionale

Un assetto democratico, strutturato sul confronto tra forze opposte in ricerca di una risultante, implica per natura una certa complessità dei processi decisionali e tempistiche dilatate nella realizzazione pragmatica. Spaziando dalla storia antica ad oggi, classi politiche proiettate all’accentramento totalitario del potere hanno fatto ricorso, spesso a sproposito, ai temi della necessità e dell’urgenza per soppiantare legittimamente la lentezza democratica con la presunta efficienza risolutrice dell’uomo forte. Diversi sono stati gli ordinamenti che hanno concretizzato il binomio efficienza-rapidità legittimando temporanee sospensioni delle libertà politiche per via di necessità presunte. Ad esempio, in caso di crisi, l’impianto repubblicano romano prevedeva la nomina di un dictator con potere assoluto per un periodo tra i sei ed i dodici mesi. Nonostante la tutela anti-dispotica garantita dal limite temporale, è indicativo notare la tendenza ad associare alla soluzione migliore la rapidità anziché la ponderazione decisionale. Proprio la pressione sociale esercitata dagli anti-democratici sul timore di non correre abbastanza veloce è stata la spada di Damocle calata sul collo di tutte le democrazie.

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Il ruolo della propaganda

La propaganda ha avuto un ruolo di primo piano nella legittimazione di repentini cambiamenti delle istituzioni politiche che, solo per il consenso ottenuto dai cittadini, si sono distinti da veri e propri colpi di stato.

Resta da constatare la veridicità delle situazioni apocalittiche prospettate e quindi l’effettiva consapevolezza retrostante l’assenso popolare. Nel tranello, sono inciampate anche realtà dalla radicata tradizione democratica, disposte a cedere la propria sovranità in cambio di promesse di sicurezza di fronte a pericoli presunti, semplici fantasmi creati dal potere. È il caso del colpo di stato oligarchico ateniese del 411, quando fu lo stesso popolo, esasperato dai disordini e dalla violenza, a ratificare la caduta della democrazia in favore dei golpisti.

“Nella storia, l’apparenza ha sempre avuto un ruolo più importante della realtà“, ha sostenuto Gustave Le Bon, tra i fondatori della psicologia sociale e studioso dei comportamenti delle folle. Secondo questa tesi, uno scenario puramente illusorio creato dalla classe politica, che gode di un certo riconoscimento sociale, può interporsi all’analisi della realtà concreta, quella che il cittadino ha sotto i propri occhi, nella maturazione di un’opinione sugli eventi. Si consideri poi che, generalmente, i detentori del monopolio propagandistico sono altresì possessori di rilevanti incarichi pubblici ed ingenti risorse finanziarie. La possibilità di dispiegare forze reali atte a rinforzare nell’opinione pubblica una certa interpretazione dei fenomeni crea una commistione di veridicità e finzione teatrale in cui diventa complesso distinguere realtà e messa in scena.

La foto che è diventata il simbolo degli anni di piombo

La strategia della tensione

Questa teoria trova concretizzazione nelle interpretazioni storiografiche dominanti degli anni di piombo della storia d’Italia, che videro la combinazione di terrorismo nero e terrorismo di Stato dispiegati in funzione golpista per abbattere le resistenze sociali all’uso della forza politica e militare. Questo fenomeno è stato definito “strategia della tensione”, espressione che richiama l’intento voluto di destabilizzazione sociale, lungi dall’essere considerato frutto della fatalità.

Ancora oggi si assiste alla strumentalizzazione sistematica della paura ai fini del conseguimento del consenso da parte delle fasce più facilmente manipolabili della società. Il primo decennio del nuovo millennio è stato inaugurato dalla germinazione di frange politiche estreme, in grado di intercettare diffidenze da trasformare in irrazionali angosce, che puntualmente si traducono in spoliazione delle libertà democratiche e legittimazione della forza.

Il potere del pensiero

Remare contro l’espropriazione volontaria del proprio potenziale di cittadino significa rimpossessarsi della capacità critica di valutare in modo indipendente la realtà esterna, prescindendo dalle interpretazioni confezionate da qualsivoglia orientamento politico, destrutturando pezzo dopo pezzo “l’anima collettiva” della folla descritta da Le Bon, nella progressiva ricostituzione delle tante volontà coscienti che costituiscono la società in quanto somma, e non moltiplicazione, di individui pensanti, ciascuno a suo modo, in continua valutazione soggettiva di necessità ed urgenze sociali reali e non indotte.

Daniela Tedone

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