“U’ Mònéceidde”, la leggenda dello spiritello burlone e dispettoso

Una specie di gnomo molto basso, dagli occhietti neri intensi, barbuto e con una chioma folta e arruffata, protagonista di molti racconti del passato. Secondo la leggenda, chi riusciva a togliergli il cappello poteva arricchirsi

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Tante erano le storie che in passato si tramandavano di generazione in generazione. Una delle più famose era quella dello spiritello giocherellone e burlone, di natura benefica ma anche dispettosa, che poteva apparire all’improvviso nel cuore della notte tra gli oscuri vicoli della città vecchia, oppure in camera da letto pronto a tormentare o a portare tanta fortuna al predestinato di turno.

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Una volta, nessuno metteva in dubbio l’esistenza di questo essere che scorrazzava per le case soprattutto la notte. Ancora oggi, basta fermarsi a chiacchierare con qualche anziano, magari discorrere di quelli che erano i racconti dei tempi andati, per sentir narrare la storia “dù mònéceidde”, letteralmente “il monachello”. Da famiglia a famiglia, di generazione in generazione, la curiosa e per certi versi intrigante leggenda “dù mònéceidde” veniva raccontata con le sue varianti, frutto di esperienze vissute o forse solo immaginate, di incontri ravvicinati con questo omino molto basso, dagli occhietti neri intensi, barbuto e con una chioma folta e arruffata. Molti in passato giuravano di aver visto questo leggendario folletto aggirarsi come un’ombra tra i vicoli stretti e bui della città vecchia. Qualche volta, si raccontava, piombava anche sui letti indossando un grande cappello a falda larga.

Questo spiritello, sempre secondo alcuni racconti, era piuttosto suscettibile, per cui era opportuno tenerselo buono, infatti non risparmiava scherzetti che adorava mettere in atto anche in casa, nel cuore della notte. Amava spostare all’improvviso oggetti, farli cadere per terra nel cuore della notte, facendo svegliare tutta la famiglia all’improvviso nel pieno dell’oscurità con gran spavento. Si divertiva inoltre, raccontano i più anziani, a far sparire oggetti, a sussurrare a volte parole incomprensibili all’orecchio dei suoi prescelti mentre erano in dormiveglia, a far cascare dalle sedie la gente, a sporcare il bucato appena steso.

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Quando era molto arrabbiato, però, raccontavano i più anziani, si posava a notte fonda con prepotenza sul petto dei dormienti, facendo loro mancare il respiro. Quest’ultima esperienza, molti giuravano in passato di averla vissuta sul serio, di aver visto davvero “u mònéceidde” poggiarsi sul loro petto, oppure, addirittura, soffermarsi in prossimità del letto con il suo grande cappello. Non si doveva fissarlo negli occhietti perché in quel caso, lui avrebbe immobilizzato le vittime, rendendole passive di fronte ai suoi malefici scherzetti.

Si raccontava inoltre che la sua presenza non fosse strettamente connessa ad una casa specifica, ma alla famiglia che decideva di tormentare, per cui il trasloco in questi casi serviva a ben poco. Poteva però portare fortuna, ma come? Lo spiritello era sentimentale, mosso da una sorta di affetto e simpatia verso le sue vittime, che stuzzicava e provocava affinché le stesse potessero fare una cosa in particolare. Ma cosa? Lo spiritello era sempre pronto, in qualsiasi momento, ad esaudire piccoli desideri. Per questo, paradossalmente, la sua presenza era nel contempo temuta e auspicata.

Questo buffo e permaloso nanerottolo, secondo la leggenda, teneva in modo particolare al suo grande cappello a falda larga. Rosso, secondo alcuni racconti, nero secondo altri. E allora, bastava riuscire a sfilare dal suo capo quel grande cappello, affinché lo spiritello, pur di riaverlo, potesse esaudire i desideri, portare fortuna o addirittura sborsare fior di quattrini al coraggioso di turno che fosse riuscito nella non facile impresa.

La presenza del folletto era temuta ma nel contempo anche auspicata perché poteva portare fortuna alla famiglia, sempre dopo che il coraggioso di turno fosse riuscito nell’impresa di sfilargli il cappello. Non solo, ma secondo alcuni racconti popolari, conosceva i luoghi in cui erano nascosti vasi di coccio stracolmi di monete d’oro.

Una leggenda, insomma, bella e ancora da raccontare e tramandare, seppur condita da innumerevoli variabili, frutto di esperienze forse mai vissute ma solo immaginate. Comunque, occhio ai nanerottoli con grandi cappelli, rossi o neri che siano. Se ne incontrate uno, nel pieno della notte, sapete già come comportarvi.

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