Sapori e profumi di altri tempi: la “chenzérve”

Oggi è diventato un prodotto di lusso, proprio per la sua lunga preparazione che richiede impegno e amore. In passato era anche una sorta di rito che andava in scena d’estate sulle terrazze delle case molfettesi. Da un racconto di Angelo Boccanegra

Nei tempi andati, le nostre nonne erano abili nella preparazione della “chenzérve”

Ricordi dei bei tempi andati. Ricordi di colori, profumi e sapori del passato. Ricordi delle cose buone, semplici e genuine di una volta. Ricordi della regina delle conserve di una volta fatte in casa. Si preparava in estate ma si gustava in inverno … Il suo colore e il suo profumo, rispecchia la vita semplice e genuina di un tempo. La tradizione si perde nella notte dei tempi. Sto parlando della mitica “chenzérve”, che racchiude tutto il sapore dei pomodori appena raccolti, perfetta per riportare in tavola, durante l’inverno, il sole, il profumo e i colori della stagione estiva.

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La preparazione della “chenzérve” era quasi un rito irrinunciabile per tutte le massaie di una volta. Innanzitutto si sbollentavano i pomodori nelle “caldaie di rame”. Si trasferivano poi in altri contenitori coperti di panni per eliminare l’acqua e poi, ancora quasi bollenti, venivano passati a quattro mani su un apposito setaccio rettangolare, prima dell’avvento della macchinetta a manovella, la stessa utilizzata per fare “la sàalz” (la salsa).

Questo denso e cremoso “passato” veniva poi distribuito su grossi tavoli di legno (materiale che assorbe l’acqua) e vi si cospargeva una manciata di sale sopra. Durante il giorno questi tavoli con il “passato” venivano esposti al sole. Al calar del sole venivano rientrati e ricacciati fuori il mattino seguente. Quando il concentrato era asciutto e aveva raggiunto una consistenza cremosa, si trasferiva in grossi barattoli di vetro ricoperti di un filo di olio per evitare il sopraggiungere della muffa. Questo era un lavoro prettamente femminile: gli uomini collaboravano all’accensione del fuoco o si prodigavano in mansioni minori. I bambini invece erano addetti a sorvegliare i tavoli affinché non si avvicinassero mosche e insetti vari durante il giorno.

Oggi la procedura, per chi ama ancora questo prodotto davvero genuino, consiste nel far bollire i pomodori interi per una decina di minuti prima di passarli e lasciar raffreddare la salsa così ottenuta. Una volta fredda, basta versare la salsa in un grosso piatto “spénne” (piano) e aggiungere un po’ di sale prima di esporre il prodotto al sole fino alla sua solidificazione. La predisposizione del prodotto in “boccàcce” (barattoli di vetro) con un filo di olio completa l’operazione come in passato.

La preparazione del sugo del giorno per la pasta avveniva in questo modo: si soffriggeva la cipolla, si aggiungeva un cucchiaio di concentrato di pomodoro che poi veniva amalgamato con la salsa normale. Ovviamente la pasta era rigorosamente fatta in casa: quella essiccata rappresentava un lusso. Oggi, invece, è esattamente il contrario.

Oggi è diventato un prodotto di lusso, proprio per la sua lunga preparazione che richiede impegno e amore. In passato era una sorta di rito che andava in scena d’estate sulle terrazze delle case. Tra gli ingredienti indispensabili, infatti, c’è il sole: la mattina le terrine di creta che contenevano la ‘conserva’ rosso fuoco venivano esposte ben protette da una zanzariera. La sera venivano messe al riparo, per preservare il preparato dall’umido. Un gesto fatto ogni giorno seguendo il ritmo dell’alba e del tramonto. Per settimane, si curava la “conserva”, si girava con un cucchiaio di legno mentre si pregava che tutta quella ‘fatica’ non fosse vana! In questa foto degli anni ’50 si vede una bambina intenta nel compito di girare con un cucchiaio di legno la “distesa di conserva”. I bambini erano però soprattutto gli “addetti alla sorveglianza”: dovevano evitare che si avvicinassero mosche e insetti vari durante il giorno.
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