Molfetta ricorda: quando si andava a lavare la lana in campagna

Anche questa era in passato un’occasione per trascorrere gioiosamente diversi giorni fra fatiche e grandi mangiate, gradevolmente accompagnate dagli inesauribili ed epici racconti dei nostri nonni. Da un racconto di Angelo Boccanegra

Il lavaggio della lana in passato.

In passato, durante i mesi estivi, approfittando delle lunghe giornate di caldo, era consuetudine procedere al lavaggio della lana che sarebbe servita ai futuri sposi per le imbottiture di materassi, cuscini e pesanti trapunte invernali. Era questa anche l’occasione per riunire intere famiglie, partecipavano davvero tutti, dai più grandi ai più piccoli.

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Inutile forse aggiungere che le famiglie di una volta erano talmente numerose che capitava quasi ogni anno di dover lavare la lana per qualcuno, anche perché era abitudine consolidata quella di rinnovare ciclicamente materassi e cuscini con la lana lavata.

In un clima quasi di festa, la lana veniva lavata in casa, “inde o scheveìrte” (atrio interno dei bassi) oppure alla “passàtédde” (pianerottolo, per chi abitava al primo o secondo piano dei vecchi stabili). Poi veniva portata sui tetti per asciugarla. Molto più frequentemente, però, per una questione di spazi, ma anche per profittare dell’occasione propizia per fare grandi mangiate con i parenti, questa operazione veniva svolta “faore” (“fuori” sarebbe letteralmente, in una campagna vicina “fuori porta”, in pratica). E non era affatto difficile, in passato, avere questa possibilità, all’interno del vasto parentado. Tanti erano infatti quelli, anche all’interno dello stesso nucleo familiare, che possedevano “nù lòuche” (terreno), magari “cù pàgghiare” (“pagliara”, antica costruzione in pietra molto diffusa nell’agro molfettese, utilizzata a quei tempi per mettere al sicuro gli attrezzi agricoli e spesso dotata di un pozzo d’acqua piovana).

Anche questa, era in passato, un’occasione per trascorrere gioiosamente diversi giorni fra fatiche e grandi mangiate, gradevolmente accompagnate dagli inesauribili racconti dei nostri nonni. La lana lavata, fatta asciugare al sole, doveva poi essere sfioccata, così da renderla più morbida e soffice. Il lavoro era fatto a mano e spesso era un divertente passatempo per noi bambini.

Questa lana era utilizzata per imbottire cuscini, materassi e “u cheltreidde” (simile ad un enorme piumone, ma molto più pesante, utilizzato in passato a mo’ di coperta matrimoniale in inverno). In passato era ancora d’uso, prima del matrimonio, a casa della sposa, “enghiaje u metàrazze e u cheltreidde” (foderare il materasso e la corposa trapunta invernale) con la lana sfioccata. Il primo sei mesi prima della data stabilita per la celebrazione delle nozze, il secondo alcune settimane prima del matrimonio, con invitati al seguito. Le fase ultima della lavorazione “dù cheltreidde era infatti l’occasione per organizzare una festa, con lanci di cioccolate e confetti. Noi bambini non aspettavamo altro per fiondarci a raccogliere le leccornie e non potevano mancare le spintarelle e le piccole litigate: chi arrivava prima, evidentemente, “aveva la meglio” sugli altri. L’abbondanza, in qui tempi, di qualsiasi cosa, in ogni circostanza, festosa oppure no, era sempre un miraggio.

Insomma, si celebrava una vera e propria festa, la cosiddetta féste dù cheltreìdde, durante la quale questa pesante trapunta veniva riempita di lana sfioccata e bambagia. Prima di essere cucita da mani sapienti ed esperte, all’interno si inserivano santini, figurine sacre senza croci che avevano la funzione – secondo il credo popolare del tempo – di proteggere i futuri sposi dai malanni e, diciamolo, dalla malasorte che tutti temevano e la cui esistenza nessuno metteva in dubbio. Stessa cosa avveniva nelle ultime fasi di imbottitura del materasso. Una volta non si acquistavano da alcun negozio, erano esclusivamente imbottiti di lana e venivano “fatti in casa” con l’ausilio di signore dalle mani esperte.

Ricordi, memorie di un passato che è utile non disperdere. 

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