Meraviglie di Molfetta: la Cappella Passari in San Bernardino

In pietra bianca leccese, detta “pietra di seta” per la sua grande duttilità e fragilità, recentemente restaurata, ha una struttura prospettica di grande impatto

E’ una delle “meraviglie di Molfetta”, sicuramente da visitare. Stiamo parlando della Cappella Passari, edificata all’interno della Chiesa di San Bernardino da Siena.

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Non si hanno notizie antecedenti al 1645, anno in cui Francesco Passari, colto nobiluomo molfettese, la fece erigere e decorare in memoria del padre Lattanzio, commissionando al maestro locale Giovanni Crisostomo de Mariano lo scenografico altare in tenera pietra di Carovigno, che «rappresenta nella Terra di Bari il più importante e forse più riuscito tentativo di sostituire i grandi dossali lignei intagliati e decorati con altrettanti in pietra tenera più solidi e durevoli» (A. Castellano, «Un artefice di altari leccesi in Terra di Bari: Giovanni Crisostomo de Mariano di Molfetta», p. 32).

La parte inferiore presenta una sua omogeneità e coerenza (opera di una mano esperta), mentre la parte alta dell’altare è stata oggetto di un montaggio sui generis, con il recupero di materiale già esistente relativo alla simbologia barocca e classico-rinascimentale pugliese (es. putti, angeli e figure alate, rami di uva, mascheroni, grifoni, conchiglie, scheletri, leoni e intrecci vegetali).

La sua costruzione in memoria di Lattanzio Passari è testimoniata dalla lapide che, al suo posto, ancora si conserva nella stessa cappella.

Sul fondo dell’imponente macchina, attraverso le progressioni prospettiche delle colonne, tra San Diego e San Isidoro, sono collocati i dipinti de “La Fuga in Egitto” e de “La Madonna del Cucito” di Francesco Cozza.

L’originale de “La Madonna del Cucito”, di cui oggi si vede solo una copia del pittore Nino Ronca, è stato trafugato da ignoti nella notte tra il 5 e il 6 agosto 1970 ed è nell’elenco dei capolavori italiani “rubati”. Eseguito intorno al 1645, anno dell’altare, il dipinto e stato variamente attribuito, senza la scorta di un sostegno critico o documentario a Tiziano, al Sassoferrato, ad un bolognese per la sua impronta correggesca ed addirittura a Leonardo.

Spetta alla Longhi Lopresti l’attribuzione a Francesco Cozza, confortata dai raffronti con le analoghe versioni della chiesa dell’Ospedale di Santo Spirito a Roma e quella della collezione Voss di Berlino. Già restaurata nel 1864, l’opera fu sottoposta ad un nuovo intervento presso l’Istituto Centrale del Restauro di Roma al suo rientro da Castel del Monte, dove fu conservata con altre opere, durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1938 fu esposta a Napoli alla Mostra della Pittura Napoletana dei secc. XVII-XVIII-XIX e ripresentata alla Mostra dell’Arte in Puglia dal Tardo antico al Rococò (Bari, 1964).

Molfetta, Chiesa di San Bernardino da Siena. “La Fuga in Egitto” di Francesco Cozza. Ph. Nicolò Azzollini

“La Fuga in Egitto”, restaurata presso l’Istituto Centrale di Roma (1955), è stata, nel tempo, assegnata al Correggio, a Tiziano, a Jacopo Bassano, inoltre ad un non meglio identificato veneto provinciale. Restituita dalla Longhi Lopresti a Francesco Cozza per l’accostamento ai modi bolognesi dell’artista e per le strette affinità qualitative della Madonna del Cucito (dell’opera se ne conserva una analoga versione nella piccola chiesa di S. Marco in Palazzo Venezia a Roma).

Nel maggio 2012 sono stati conclusi i lavori di restauro della cappella (avviati nell’ottobre 2009 dall’impresa Nori Meo- Evoli di Monopoli, su richiesta della Sovrintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Bari), a causa delle precarie condizioni del muro di appoggio dell’altare e dello stato di conservazione dello stesso, annerito dal tempo e dalla polvere. Le vecchie strutture lignee sono state sostituite da architravi in acciaio inox, cui sono stati ancorati i blocchi scolpiti, precedentemente rimossi e consolidati.

Secondo quanto affermato dalla dott.ssa Meo Evoli durante la conferenza di presentazione, «l’altare, sin dal primo approccio, si è presentato come un oggetto fuori dalla normala materia stessa dell’altare è stata causa di molti dubbi. È stato sorprendente capire che nonostante il candore e la lavorazione si trattava di un altare in pietra e non in gesso». Analisi approfondite hanno inoltre dimostrato che materiali recuperati da chiese demolite in quel periodo a Molfetta o nei dintorni costituiscono la materia dell’altare, il cui stile è ancora oggi oggetto di studio.

Fonte web: Parrocchia San Bernardino – Molfetta

Molfetta, Cappella Passari in San Bernardino
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