L’Ustica del mare: la tragedia del Francesco Padre, i silenzi che “parlano”

Sono trascorsi quasi trent’anni da quella tragedia che urla ancora giustizia. Una ferita che non si rimargina. Una tragedia che ha segnato le famiglie delle vittime, i lavoratori del mare e la città intera. Nessun colpevole per la morte di cinque uomini innocenti e del loro “amico di bordo” a quattro zampe. Una pagina buia della storia italiana.

Le ultime immagini dal relitto del “Francesco Padre” colato a picco a 20 miglia dalla costa montenegrina nel novembre del 1994, dicono che la barca è stata attaccata a colpi di mitragliatrice. Chi ha sparato? Una domanda che da quasi trent’anni attende ancora una risposta…
Nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 1994 il peschereccio Francesco padre, partito dal porto di Molfetta non fece più ritorno nelle acque della marineria del nord barese. Un «tragico errore», oppure «una rappresaglia», o infine una mina accidentalmente finita nelle reti, causarono l’affondamento del peschereccio. Ad oggi, la verità, non è stata ancora scritta. Una tragedia che resta ancora avvolta nel mistero.

Il 4 novembre 1994, una manciata di minuti dopo la mezzanotte, il motopeschereccio Francesco Padre esplode al largo delle coste del Montenegro. Quella notte perdono la vita Giovanni PansiniSaverio GadaletaLuigi De GiglioFrancesco ZazaMario De Nicolo, capitano / armatore e Leone, il cane di bordo. Quella tragedia, che ha segnato le famiglie delle vittime, i lavoratori del mare e la città intera, urla ancora giustizia. Per quelle morti innocenti, nessuno è stato condannato.

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Le forze Nato non hanno mai risposto alle rogatorie internazionali non consentendo, nei fatti, di procedere con le indagini. Uno dei misteri d’Italia che tre inchieste giudiziarie non sono riuscite a risolvere. Cinque morti che ancora chiedono giustizia, dal fondo del mare: nessuno è andato a recuperare quelle vittime, uccise prima da un ordigno bellico e poi dal silenzio e dall’assenza dello Stato italiano. Una tragedia come quella della stazione di Bologna, di Ustica e tante altre che hanno irrimediabilmente trafitto la storia italiana.

Erano uomini di mare, una vita passata a combattere le onde. Ma negli anni delle guerre jugoslave, l’Adriatico non era un posto sicuro e forse si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Resta il fatto, perché tale è, un fatto, che le forze Nato non hanno mai risposto alle rogatorie internazionali non consentendo di poter arrivare alla verità, quella verità, però, che è già scritta dentro di noi.

Poco dopo la mezzanotte di quel 4 novembre del 1994, un bagliore squarciò il buio della notte in alto mare. Solo uno dei cinque corpi fu recuperato a bordo di una tavola: gli altri, da quasi trent’anni, giacciono in fondo al mare. Per loro, per i parenti, per una città che vive di mare e di storie di pescatori, per onore della verità, oggi, va pretesa giustizia. Le varie inchieste susseguitesi negli anni non sono state sufficienti a rendere giustizia ai cinque marittimi molfettesi che si trovavano a bordo dell’imbarcazione. Gli ultimi accertamenti eseguiti dalla magistratura inquirente scartarono l’ipotesi che il natante trasportasse illegalmente armi, lasciando conseguentemente aperti diversi scenari: quello più realistico riconducibile ad un tragico errore delle forze Nato all’epoca impegnate a fronteggiare la guerra civile nell’ex Jugoslavia; un tentativo di intimidazione a scopo estorsivo della criminalità della zona; la deflagrazione di un ordigno bellico incappato accidentalmente nelle reti.

Occorre però ricordare che il recupero di alcuni residui del relitto, evidenziò sulla fiancata dell’imbarcazione, un foro compatibile con un proiettile denominato “PIT” (perforante-incendiario-tracciante) di chiara matrice militare. Inoltre, documenti Nato ormai desegretati, escluderebbero la presenza in quell’area, quella notte, di unità navali montenegrine. Tuttavia la totale assenza di risposte alle rogatorie internazionali e la scarsa collaborazione dei Paesi coinvolti (Stati Uniti, Serbia e Montenegro), aveva impedito, nei fatti, di fare piena luce sulle dinamiche dell’accaduto. Ma quei silenzi “parlano”…

Nonostante siano trascorsi quasi trent’anni dalla tragedia, ribattezzata non a caso “l’Ustica del mare”, per i familiari delle vittime, oltre al silenzio assordante delle istituzioni, resta purtroppo anche il grande rimpianto di non aver potuto seppellire degnamente i corpi dei loro cari.

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