L’origine della tradizione del pane di Sant’Antonio da Padova

Forse non tutti conoscono la storia che diede origine alla straordinaria tradizione di carità del Pane di Sant’Antonio. Foto di Maria Cappelluti

Molfetta, Sant’Antonio in processione. Ph. Maria Cappelluti. Assai popolare a Molfetta è la festa in onore di S. Antonio, che ricorre il 13 giugno di ogni anno. La statua viene portata in processione dai confratelli chiamati in vernacolo “le biénche”, perché il loro vestiario (camice, cappuccio, mozzetta e cingolo con fiocco) è tutto bianco. Sulla mozzetta portano una piastra in metallo riproducente il Santo. Questa festa era annoverata tra “le feste grandi” e costituiva un richiamo di gente anche dai paesi limitrofi per lo splendore delle luminarie, per la partecipazione di rinomate bande musicali, e per i fragorosi fuochi pirotecnici che concludevano i festeggiamenti.

Papa Pio XI amava esclamare: “Il mondo è pieno dei miracoli che si ottengono per intercessione di Sant’Antonio”. E anche per la tradizionale distribuzione del cosiddetto “Pane di Sant’Antonio”, tutto ebbe inizio proprio con un miracolo che vide protagonista un bambino, il piccolo Tommasino, un fanciullo di venti mesi che visse a Padova nel tempo in cui si stava costruendo la basilica dedicata al santo.

Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!

Ma lasciamo raccontare questo episodio, dalle vive parole della leggenda cosiddetta Rigaldina, scritta verso la fine del secolo XIII dal minorita Jean de Rigaud o de Rigault, che narra le vicende legate al santo di Padova:

“Un bimbo di venti mesi, di nome Tomasino, i cui genitori avevano l’abitazione vicino alla chiesa del beato Antonio, in Padova, fu lasciato incautamente da sua madre accanto ad un recipiente pieno d’acqua. Si mise a fare nell’acqua giochi infantili e forse, vedendoci riflessa la sua immagine e volendo inseguirla, precipitò nel recipiente testa all’ingiù e piedi in alto. Siccome era piccino e non poteva sbrogliarsi, ben presto vi rimase affogato. Trascorso breve tempo, la madre ebbe sbrigate le sue faccende, e vedendo da lontano i piedi del bimbo emergere da quel recipiente, si precipitò urlando forte con voce di pianto e trasse fuori il piccino. Lo trovò tutto rigido e freddo, perché era morto annegato. A tale spettacolo gemendo di angoscia, mise sossopra tutto il vicinato con i suoi lamenti ad alta voce. Molte persone accorsero sul posto, e tra queste alcuni frati minori insieme con operai, che a quel tempo lavoravano a certe riparazioni nella chiesa del beato Antonio. Quando ebbero veduto che il bambino era sicuramente morto, partecipando alla sofferenza e alle lacrime della madre, essi si ritirarono come feriti dalla spada del dispiacere. La madre tuttavia sebbene l’angoscia le straziasse il cuore, prese a riflettere sugli stupendi miracoli del beato Antonio, e ne invocò l’aiuto onde facesse rivivere il figlio morto. Aggiunse anche un voto: che darebbe ai poveri la quantità di grano corrispondente al peso del bimbo, se il beato Antonio lo avesse risuscitato. Dal tramonto fino alla mezzanotte il piccolo giacque morto, la madre continuando senza sosta ad invocare il soccorso del beato Antonio e replicando assiduamente il voto, allorché, – cosa mirabile a dirsi! – il bimbo morto riebbe vita e piena salute”.

A Molfetta, nella chiesetta di Sant’Andrea, nel centro storico, è venerata la statua lignea seicentesca del Santo, di autore ignoto, scolpita sotto il priorato di Gian Alfonso Calò. Ph. Maria Cappelluti

Il testo della leggenda, non poteva che essere riportato integralmente. Troppo affascinante, troppo colmo di devozione per il santo, e di informazioni “curiose”, per farne un riassunto. Grazie a queste parole della “Leggenda Rigaldina” – che assieme a “Vita prima” o “Assidua”, opera di un anonimo francescano del 1232, scritta in concomitanza con la canonizzazione di Antonio, riusciamo a intravedere uno spaccato della vita del santo che rimane, bisogna dirlo, a distanza di secoli, ancora “originale”, visto che la figura di Antonio di Padova, seppur venerata da milioni di fedeli, non è ancora del tutto nota, nei particolari.

Sicuramente la devozione popolare attinge all’iconografia tradizionale del santo, ma è interessante non poco cercare di comprendere “cosa”, quali fatti, hanno prodotto tale immaginario. “Antonio e il pane” è proprio uno di questi. Ogni 13 giugno, infatti, sia nel Santuario di Padova che vede coinvolti migliaia di fedeli partecipanti alle celebrazioni che si susseguono in ogni orario, sia in ogni chiesa che reca il nome del santo portoghese, viene distribuito il famoso “pane di Sant’Antonio”.

La tradizione di questa usanza, come abbiamo visto, ha origine da uno dei tanti miracoli di Sant’Antonio, che vede protagonisti il piccolo Tommasino e sua madre. Da questo episodio, prende vita il “pondus pueri”, una preghiera con la quale i genitori in cambio di protezione per i propri figli, promettevano a sant’Antonio tanto pane quanto fosse il loro peso.

Sant’Antonio da Padova rientra tra i santi più amati e venerati nel mondo. Nasce in Portogallo, a Lisbona, il 15 agosto del 1195 da una famiglia di origini nobili. Non appena adolescente, decide di entrare nel monastero agostiniano di São Vicente, fuori le mura di Lisbona, per vivere l’ideale evangelico senza compromessi.

Sant’Antonio, prima francescano poi missionario, fu un instancabile viaggiatore. Visitò molte terre desolate e disperate dalla fame del tempo e dopo aver percorso la Francia e l’Italia in viaggi apostolici estenuanti, Antonio si ritira a Camposampiero, località situata nei pressi di Padova. Qui il Conte Tiso ha l’opportunità di assistere a un miracolo, cioè il Bambino Gesù accolto tra le braccia del frate. Accortosi che la vita lo sta ormai abbandonando, Antonio chiede a Tiso di essere portato a Padova. Assistito dai francescani, Sant’Antonio da Padova muore all’età di trentasei anni, sussurrando le parole “Vedo il mio Signore”. E’ il 13 giugno del 1231. Meno di un anno dopo, Papa Gregorio IX lo nominerà santo.

Molfetta, Chiesa di Sant’Andrea. Sant’Antonio da Padova. Ph. Maria Cappelluti. Anticamente il culto di Sant’Antonio si svolgeva nell’antico Duomo. Infatti, il notaio Matteo de Cocuzzellis fondò la cappellania, con l’obbligo che tre sacerdoti celebrassero giornalmente la Santa Messa all’altare di Sant’Antonio. Nel diritto della Chiesa la cappellania può definirsi un ente ecclesiastico sorto per volontà di un fedele con i beni da lui forniti allo scopo di adempiere a un fine di culto che egli ha indicato (il più frequente è la celebrazione di messe). La festa di Sant’Antonio ra annoverata tra “le feste grandi” a Molfetta, costituiva un richiamo di gente anche dai paesi limitrofi per lo splendore delle luminarie, per la partecipazione di rinomate bande musicali, e per i fragorosi fuochi pirotecnici che concludevano i festeggiamenti.

Sant’Antonio da buon predicatore parlava con la gente, ne condivideva l’esistenza umile e tormentata, impegnandosi a diffondere la conversione alla religione cristiana propugnando sempre valori di pace. Attendeva alle confessioni, si confrontava personalmente o in pubblico con i sostenitori di eresie. Sant’Antonio ha avuto una particolare predilezione per i bambini. Tra i miracoli da lui compiuti, quand’era in vita, più di uno riguarda proprio loro. Per questo è invalsa la tradizione di porre i piccoli, fin dalla nascita, sotto la protezione del Santo. A questa usanza fa seguito quella di far indossare ai bambini l’abitino francescano per ringraziare il Santo della protezione ricevuta e farla conoscere agli altri.

Non mancano i miracoli, dalla predica ai pesci alla mula rimasta a digiuno per tre giorni che si inginocchia di fronte all’Ostensorio, favorendo la conversione del suo padrone precedentemente ateo.

Tra preghiere, penitenze, mortificazioni e sacrifici, Antonio ha modo di incontrare, tra l’altro, il dittatore Ezzelino da Romano a Verona. Egli diventa il primo dei Frati Minori a insegnare, su manifesta volontà di Francesco, teologia all’Università di Bologna. Tredici è il numero ricorrente in Sant’Antonio infatti quando si dice la Tredicina con questo termine si intendono innanzitutto i tredici giorni di preparazione alla festa di sant’Antonio che ha luogo il 13 giugno.

La Tredicina si ripete ancora oggi nella Basilica e in altri santuari antoniani o chiese francescane, come pure privatamente in tante famiglie. Ma con lo stesso termine si intende anche una preghiera articolata in tredici punti e tredici sono anche i miracoli che si dice possa compiere Sant’Antonio in una sola giornata.

Numerose associazioni nel mondo sono nate e operano nel nome di Sant’Antonio, portando la sua presenza soprattutto caritativa. Da secoli, in tutto il mondo, milioni di persone si dimostrano legate a Sant’Antonio con grande amore e devozione autentica. I devoti vedono in Sant’Antonio un amico, ascoltatore e confidente. Egli è l’interlocutore dei poveri, che dialoga con chiunque abbia da condividere qualche sofferenza nel corpo o nello spirito. A Sant’Antonio viene chiesta luce per illuminare la propria esistenza, aiutare chi è smarrito, consolare chi soffre e soccorrere i bisognosi.

I devoti lo riconoscono e lo amano con il giglio (purezza e trasparenza della vita) con il Gesù Bambino (segno di amore tenero e disponibile) e il libro (parola di Dio). In alcune chiese francescane o, comunque, legate particolarmente a Sant’Antonio, il giorno della sua festa (13 giugno) si è soliti benedire dei piccoli pani, che poi vengono distribuiti ai fedeli e consumati per devozione. In alcuni paesi sono gli stessi fedeli o qualcuno di loro a prendere l’iniziativa. Tale devozione deriva certamente dall’iniziativa del “pane dei poveri” che nel passato era molto viva presso le chiese.

Sant’Antonio da Padova con il Bambin Gesù e il giglio, da sempre simbolo di virtù e purezza. Ph. Maria Cappelluti. Nel Sermone di Sant’Antonio (Domenica XV dopo Pentecoste, 12) si legge: Considera che nel giglio ci sono tre proprietà: il medicamento, il candore e il profumo. Il medicamento si trova nella sua radice, il candore e il profumo nel fiore. E queste tre proprietà raffigurano i penitenti, poveri nello spirito, che crocifiggono le membra con i loro vizi e le loro concupiscenze, che custodiscono l’umiltà nel cuore per soffocare l’impudenza della superbia, il candore della castità nel corpo e il profumo della buona fama. Essi sono detti gigli del campo, non del deserto, e non del giardino. Nel campo sono indicate due cose: la sodezza della santità e la perfezione della carità. Il campo è il mondo (cf. Mt 13,38): per il fiore, resistere nel campo è tanto difficile quanto meritorio. Fioriscono nel deserto gli eremiti, che si mettono al riparo dall’umana compagnia. Fioriscono nel giardino recintato i claustrali, che sono tutelati dalla vigilanza umana. Ma è molto più meritorio (eroico) che i penitenti riescano a fiorire nel campo, cioè nel mondo, dove tanto facilmente si distrugge la duplice grazia del fiore, vale a dire la bellezza della vita santa e il profumo della buona fama. Per questo Cristo stesso si gloria di essere un fiore di campo, quando dice nel Cantico dei Cantici: “Io sono il fiore del campo” (Ct 2,1). Così anche la beata vergine Maria, sua madre, può gloriarsi, perché nel mondo non ha perduto il fiore, pur non essendo nè reclusa né monaca, ma ritenendo più eroico fiorire nel mondo, anziché in un giardino o nel deserto. Benché esporsi a questo, dice Agostino, sia piuttosto pericoloso, riuscire a farlo è un grande risultato. Nel campo, o nella campagna, si fanno di solito i combattimenti; anche nel mondo c’è una lotta continua: lotta ingaggiata dalla carne, dal mondo stesso e dai demoni; e nella lotta è indispensabile una santità solida, che deve mantenersi imbattibile contro ogni pericolo. Chi vuole uscire in campo per combattere, misuri prima le sue forze, se è in grado di resistere in così aspra lotta. È preferibile fiorire nel giardino o nel deserto, piuttosto che marcire nel campo; è molto meglio durare lì, che soccombere qui. Inoltre, nell’essere chiamati “gigli del campo”, è indicata la perfezione della carità, in quanto i gigli sono alla portata di chiunque li voglia cogliere. “Dà a chiunque ti chiede” (Lc 6,30), dice il Signore; offri la tua buona volontà, se non hai la possibilità (la ricchezza); e se le dai entrambe, molto meglio.
/ 5
Grazie per aver votato!

Sharing is caring!