La vera storia del nobile Corrado di Welfen, figlio del duca di Baviera

Studio approfondito sulle vicende del nobilis puer Conradus, figlio di Enrico il Nero, duca di Baviera, della nobile famiglia tedesca dei Welfen e di Wulfilde di Sassonia. Di Luigi Michele de Palma

Albero genealogico della casata Welfen.

La letteratura agiografica riguardante san Corrado (1105?-1126?) narra delle vicende di un rampollo della nobile famiglia tedesca dei Welfen, figlio di Enrico il Nero, duca di Baviera, e di Wulfilde di Sassonia, il quale, dopo aver abbandonato gli studi ecclesiastici sotto l’egida dell’arcivescovo di Colonia, si pose alla sequela dell’abate Arnoldo e diventò monaco cistercense di Morimond (1). Nonostante l’opposizione di Bernardo di Clairvaux, Arnoldo aveva progettato un viaggio in Terra Santa con lo scopo di fondare un nuovo monastero, ma l’iniziativa svanì in breve tempo (1124-1125) (2). Il gruppo dei monaci seguaci di Arnoldo si dissolse, mentre l’abate si ritirò nelle Fiandre, dove morì di lì a poco.

Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!

Nelle sue lettere Bernardo accenna al nobilis puer Conradus  come facente parte del gruppo coinvolto nello scandalo suscitato da Arnoldo abate di Morimond (3). Corrado era un personaggio minore, noto tuttavia per il suo alto lignaggio e per il clamore suscitato a Colonia dalla decisione di farsi monaco cistercense e seguire Arnoldo nel suo progetto di lasciare Morimond, insieme ad altri monaci, per recarsi in Terra Santa e fondare un monastero. Duplice fu il motivo che – secondo s. Bernardo – aveva alimentato lo scandalo: per un verso la determinazione di Corrado nell’abbandonare l’entourage dell’arcivescovo di Colonia, cugino di suo padre, per un altro verso, la sua aggregazione ad un gruppo di monaci poco fedeli all’osservanza del voto di stabilitas, fissata dalla regola cistercense, e attratti dal fascino dei Luoghi Santi insieme all’esperienza del pellegrinaggio.

Malgrado l’esito della vicenda, soltanto di Corrado si ha la notizia che intraprese il pellegrinaggio d’oltremare. L’autore dell’Historia Welforum (1170 ca.) – una storia anonima redatta ad uso e consumo dei famigliari di Corrado, i Welfen – fu il primo a coniare un medaglione biografico di Corrado (4). Egli tesse le lodi di questo figlio di Enrico il Nero e di Wulfilde di Sassonia, ammirato dai contemporanei per le nobili ascendenze, il non comune ingegno, gli alti ideali coltivati, che lo spinsero a rinunciare ad una brillante carriera ecclesiastica per abbracciare la vocazione monastica a Clairvaux, per il successivo pellegrinaggio e la vita eremitica condotta in Terra Santa alla scuola di un maestro di vita ascetica. Al suo ritorno, la morte lo colse in Bari, dove fu sepolto con onore da quanti lo conobbero.

Messi a confronto, i due ritratti appaiono contrapposti, se non contraddittori, ma concordi almeno nell’attestare la giovane età di Corrado, una caratteristica che si riscontra nella più antica testimonianza iconografica a lui riferita, contenuta nell’albero genealogico della Historia Welforum (5). Vi è ancora un aspetto comune alle due fonti: entrambe tacciono a proposito della fama di santità di Corrado. Sebbene l’Historia Welforum ponga all’incirca nello stesso anno (1126) la morte dei genitori e il decesso di Corrado, essa non allude a nessun’altra espressione di venerazione nei riguardi del giovane monaco, se non l’onorata sepoltura ricevuta lontano dalla sua patria. Tuttavia, considerato il breve lasso di tempo intercorso fra le vicende di Arnoldo e dei monaci di Morimond e la morte del Santo, è difficile che Corrado sia riuscito a raggiungere la Terra Santa. Più realistica sembra essere l’ipotesi che egli sia morto in Puglia, durante il tragitto verso Gerusalemme, senza raggiungere la meta.

Busto ligneo custodito nel Duomo Vecchio di Molfetta. Il santo, in discordanza con la morte in età giovanile, viene rappresentato quasi sempre come un vecchio monaco. E’, evidentemente, un falso storico.

In Puglia il ritratto di Corrado ha assunto l’aureola di santità, grazie alla fama acquisita intorno alla sua sepoltura che indusse la Chiesa di Molfetta – già nel XIV secolo – a sancirne la canonizzazione attraverso la traslazione delle reliquie. L’avvenimento è fissato nel calendario del messale manoscritto trecentesco della cattedrale di Molfetta al 9 febbraio, giorno della translatio, mentre non c’è menzione del dies natalis, cioè il ricordo del decesso del Santo, rimasto sconosciuto (6).

Così com’è avvenuto per le fonti biografiche, anche in relazione alla santità riconosciuta in Corrado si deve constatare la mancanza di uniformità nella tipologia attestata dalle fonti storiche e liturgiche. La prima attestazione di santità attribuita a Corrado si rinviene nel formulario liturgico contenuto nel messale manoscritto della cattedrale di Molfetta. L’eucologia della messa propria e le letture prescelte perla liturgia della Parola presentano Corrado nella veste di un confessore della fede, martire della vita ascetica. La forma anacoretica costituisce la tipicità della sua santità canonizzata dalla liturgia. Questa caratteristica concorda con un tratto dell’effigie di Corrado impressa nella Historia Welforum, la quale menziona l’esperienza ascetica da lui vissuta in Terra Santa, ma non è detto che le due fonti facciano riferimento alla medesima esperienza. Così pure un’altra concordanza fra l’Historia Welforum, le lettere di s. Bernardo e il formulario del messale – lontani tra loro almeno centocinquant’anni – è il riferimento alla gioventù di Corrado, cui allude la prima lettura della messa, tratta dal libro della Sapienza (4,7-16), laddove la morte prematura del giusto non è considerata una pena inflitta da Dio, bensì un premio concesso dal Signore a chi ha meritato di entrare nella sua gloria.

Tuttavia, sebbene queste concordanze siano evidenti, non esiste nessuna connessione o dipendenza tra le fonti citate e neppure una, sia pur minima, conoscenza reciproca. Pertanto si deve rilevare quanto la memoria della giovane età di Corrado abbia percorso il medioevo attraverso canali indipendenti e differenti, rimanendo identica e incorrotta.

Non segue, invece, il medesimo tragitto né si conserva integra la tradizione relativa alla santità di Corrado. Essa, infatti, è canonizzata già nel Trecento sotto la forma ascetico-anacoretica, ma non è certo che sia stata l’esemplarità di questa forma di santità all’origine della fama di santità riconosciuta in Corrado, tanto in vita quanto dopo la sua morte, cioè circa due secoli prima della presunta canonizzazione. Quest’ultima, probabilmente, è intervenuta per consacrare con il crisma dell’autorità ecclesiastica e rivestire dell’eleganza liturgica il trafugamento (translatio) delle reliquie del Santo.

Corrado sarebbe stato un esempio concreto di quel fenomeno chiamato «eremitismo irregolare» operante nei secoli XI-XII nell’intera penisola italiana, che interessa direttamente la storia del monachesimo (7). In esso si condensano le storie vivaci e dense di vicende spesso curiose, aventi per protagonisti tanti monaci, in buona parte cenobiti avviati all’esperienza anacoretica in circostanze imprevedibili, qualche volta analoghe, di frequente differenti. Sono uomini e realtà che, così come avviene nel contesto storico e geografico dell’Italia meridionale, rivelano una forte commistione, di cui è segnata l’esperienza di molti, fra elementi propri della tradizione monastica occidentale e retaggi persistenti del monachesimo orientale.

Tuttavia, la santità individuale di Corrado appare connotata da un elemento appartenente alla sua biografia, su cui, però le fonti liturgiche tacciono: egli è stato pellegrino in Terra Santa (8). E agli occhi dei suoi contemporanei il pellegrino che lasciava ogni bene, qualunque legame affettivo e qualsiasi prospettiva umana per votarsi alla sequela di Cristo, incarnava il Figlio dell’uomo che non aveva dove posare il capo (Mt 8,20; Lc 9,58). Questa forza evocatrice dell’esperienza ascetica del pellegrinaggio consentiva di identificare il pellegrino con un alter Christus, quindi un santo. Perciò non era rara l’attribuzione dell’aureola di santità a quanti perdevano la vita nell’imitare Cristo lungo le vie di pellegrinaggio, cariche di pericoli, di insidie e di tentazioni. Essi erano testimoni eloquenti della sequela Christi. Molti furono canonizzati sotto la pressione popolare e l’autorità ecclesiastica – talvolta con facilità – accondiscese alla volontà dei fedeli di vedere innalzato alla gloria degli altari chi aveva in tal modo acquisito fama di santità.

Un avvenimento di questo genere non è estraneo alla storia diocesana di Molfetta. Nel XII secolo, infatti, si registra di fatto la canonizzazione di alcuni santi locali rimasti anonimi come tanti altri. Un caso abbastanza comune, secondo Vauchez, nell’area mediterranea e che tendeva ad esaltare agli onori degli altari i numerosi pellegrini che popolavano le vie di comunicazione allora frequentemente percorse: «L’andar vagando per Dio costituiva per dei laici un fattore di santificazione pressoché in-dispensabile ed ebbe un ruolo molto importante nella vita di santi, quali romiti e i (o le) penitenti» (9). Lo storico della santità medievale distingue due tipi di pellegrini santi. Nel primo si collocano gli abituali visitatori dei principali santuari cristiani e in particolare della Terra Santa (in Italia chiamati «palmerii» o «palmieri», un soprannome divenuto spesso un cognome), il cui ricordo aveva impressionato fortemente specialmente i loro concittadini. «La seconda categoria, più folta, fu costituita da stranieri morti durante i loro viaggi. Se il caso del pellegrino assassinato resta un’eccezione, quello del viator inglese, tedesco o della Linguadoca venuto a morire di malattia o di sfinimento in una qualche borgata italiana fu invece frequentissimo. Un alone di mistero circondava personaggi del genere e questo consentì che su un solo fatto incontestabile – quello della loro morte mentre erano in viaggio – si innestassero storie di ogni genere e tradizioni più o meno favolistiche » (10). Emblematica è la diffusione del culto di s. Pellegrino e di s. Rocco.

Molfetta operò una canonizzazione di santi pellegrini, sconosciuti e rimasti anonimi, riservando ad essi un culto prettamente locale che nel corso dei secoli ha subito trasformazioni di notevole entità, fino a scomparire del tutto nel suo significato originario per essere soppiantato dal culto mariano (11). Nel 1162, infatti, lungo la via che, parallela alla costa, congiungeva Molfetta a Bisceglie e si dirigeva verso il Gargano (dov’è il santuario di S. Michele a Monte Sacro), il vescovo di Ruvo Urso, in assenza del vescovo di Molfetta Riccardus (1155-1162), esule fuori del regno, per mandato del re Guglielmo il Malo circoscrisse e benedisse l’area di proprietà vescovile posta «foras in loco carnare ubi corpora peregrinorum martirum Christi requiescunt». Qui, dov’era il cimitero cittadino ad sanctos, extra muros, sarebbe stata edificata una cappella funeraria dedicata «ad honorem gloriose virginis Marie et sanctorum martirum», una piccola cappella funeraria accanto alla quale venne eretto successivamente un ospedale, divenuta poi la residenza estiva dei vescovi e rimasta fino ad oggi il principale santuario mariano cittadino, meta continua di devoti pellegrinaggi.

In senso generico molte analogie potrebbero rilevarsi con la canonizzazione di Corrado, ma la sua vicenda ha taluni tratti peculiari che la differenziano nettamente dalla precedente. Infatti, sia per i santi pellegrini sia per Corrado non è possibile stabilire con certezza l’epoca in cui si è proceduto alla loro canonizzazione. Per entrambi i casi si ha dinanzi l’esempio concreto di un culto locale ufficializzatosi sotto la pressione popolare nel medesimo contesto cittadino, ma attuatosi in circostanze diverse. Anche Corrado può ritenersi un pellegrino straniero morto lontano dalla sua patria, tuttavia egli non è rimasto nell’anonimato, anzi la memoria di lui si è perpetuata saldamente ed è stata registrata, dopo alcuni anni, da una fonte narrativa, l’Historia Welforum, alquanto lontana dal luogo della sua morte e comunque ben informata sulla sorte del giovane monaco. La stessa fama, questa volta di santità, deve essersi presto diffusa intorno al luogo del decesso (dall’Historia Welforum indicato in Bari), dove si sarebbe continuato a coltivare la memoria del santo monaco e pellegrino. Ciò nonostante non è ancora possibile stabilire il tempo in cui si sia proceduto ad una formale canonizzazione. Certo la fama di santità deve essersi propagata tanto da raggiungere la vicina città costiera di Molfetta. E, fra l’altro, doveva essere ben noto il luogo in cui i resti mortali di Corrado erano stati deposti, poiché neanche la tradizione agiografica fa cenno a segni meravigliosi o a sogni rivelatori che avrebbero aiutato ad individuare il sito della sepoltura.

Resta comunque un interrogativo: perché la liturgia della chiesa di Molfetta ha venerato Corrado riconoscendo la santità della sua vita di eremita, e non ha accennato all’esperienza di pellegrino? Forse perché la comunità ecclesiale molfettese si è inserita nella pregressa devozione al Santo in un epoca in cui di lui s’era spento il ricordo di pellegrino, ma era viva la memoria della sua vita o almeno della sua morte presso un eremo. Essa era sufficiente a giustificare la venerazione di Corrado e a definire la sua santità.

Quando le reliquie di Corrado furono trasportate nell’antica cattedrale di Molfetta, essa era priva delle reliquie di un santo, così come la città non possedeva ancora un proprio patrono. Solo allora il vescovo deve aver proceduto all’atto solenne della canonizzazione, non facendo altro che benedire e tributare il debito onore ad un atto già compiuto, forse il furto delle reliquie, per nulla giudicato scandaloso, favorito, anzi,e spesso incentivato o suggerito dalle autorità ecclesiastiche (si pensi a Bari e alle reliquie di s. Nicola) (12). Con l’atto formale della canonizzazione, avvenuta attraverso la translatio, l’inserimento nel calendario e la stesura del proprium missae, il culto di s. Corrado, confessore ed eremita, fu introdotto nella liturgia della Chiesa di Molfetta e venne fissato come ricorrenza al 9 febbraio di ogni anno. Da allora la devozione del popolo molfettese verso il suo santo cittadino ha potuto esprimersi nelle forme e con gli strumenti più disparati.

Il ritratto di santità di Corrado si presenta, pertanto, alquanto composito e nella sua tipologia comprende caratteri e sfumature corrispondenti ad alcuni dei criteri e dei modelli che consentivano agli uomini del medioevo di individuare i santi. Corrado era un giovane, nobile, monaco, pellegrino ed eremita, morto prematuramente lontano dalla sua patria, alla sequela di Cristo. Tutto ciò era più che sufficiente per riconoscere in lui la santità ed eleggerlo patrono di un popolo, di una Chiesa e di una città.

Gli sviluppi agiografici

Il conciso profilo biografico tracciato dall’Historia Welforum ebbe eco nella cronaca di Burchard, preposito di Ursberg (XIII sec.) (13), mentre le notizie da essa riferite confluirono negli studi di Angelo Manrique(14) e di Philippe Seguin († 1599) (15) e in altre opere redatte durante il XVII secolo in seno agli Ordini cistercense e benedettino (16). Tuttavia fu il gesuita Antonio Damiani, rettore del collegio della Compagnia di Gesù in Molfetta, a coniugare quanto riportato dagli autori precedenti con il patrono della città sulla costa adriatica (17). La venerazione di Corrado nella città pugliese era attestata dalla prima metà del XIV secolo, ciononostante Damiani volle soffermarsi approfonditamente a diradare ogni dubbio sulla storicità di Corrado, soprattutto per evitare di confonderlo con altri santi omonimi, Corrado di Zähringen (1177 o 1180-1227), monaco cistercense, e Corrado da Piacenza (1290-1351), patrono di Noto.

A sua volta, Damiani fu il capostipite della letteratura agiografica corradiana fiorita nei secoli successivi in ambito locale, avendo fissato i poli dell’orbita entro cui si mossero gli autori successivi che scrissero di Corrado (18). Fra questi spicca per novità di conoscenze il contributo dell’erudito arciprete Giuseppe Maria Giovene (1753-1837), il quale dapprima aveva esaminato le testimonianze liturgiche medievali del culto del Santo, e poi raccolse e analizzò le fonti e gli studi da cui furono tratte le notizie biografiche necessarie da allegare alla documentazione presentata dal vescovo di Molfetta Filippo Giudice Caracciolo per ottenere dalla Santa Sede la canonizzazione equipollente del patrono (giunta nel 1834) (19). Giovene, per primo, riconobbe in quel Corrado nobilis puer, di cui aveva parlato s. Bernardo, il patrono venerato a Molfetta e pubblicò una nuova biografia, che nel corso dell’Ottocento ebbe alcuni divulgatori, fra cui Vito Fornari (20).

Dalla fine dell’Ottocento agli anni ’60 del XX secolo, in ambito locale si protrasse una polemica incentrata principalmente sulla storicità del Santo. Il nobile molfettese Gaetano de Luca negò la fondatezza storica sia della biografia sia del culto di s. Corrado (21), ma le ragioni della sua critica apparvero deboli e pretestuose a Francesco Pasquale Catacchio, il quale, nel 1902, pubblicò un opuscolo con cui contestava le tesi arbitrarie di de Luca e sosteneva la sua critica tramite la compulsazione della documentazione disponibile (22). L’acume critico di Catacchio tornò a mostrarsi alcuni decenni dopo, a seguito della pubblicazione degli studi di Francesco Samarelli, dedicati a s. Corrado (23). Questa volta, però, le osservazioni di Catacchio miravano a correggere talune approssimazioni di Samarelli e soprattutto alcune sue letture, alquanto fantasiose, della vita e del culto del patrono (24).

Nel frattempo, al di fuori del contesto locale, la biografia di s. Corrado era tornata a suscitare l’interesse in seno alla famiglia cistercense, ma anche in questo caso le letture delle vicende corradiane non erano del tutto concordi. Nel 1914 Adolf Dietrich, monaco cistercense, pubblicò un suo scritto dedicato al Santo, ma il tenore della sua disamina era di carattere panegiristico (25). Essa non conteneva nessuna novità rispetto a quanto si conosceva e molto spesso le notizie riferite creavano confusione, invece di offrire maggiore chiarezza su alcune questioni rimaste aperte. Di tutt’altro livello, invece, furono i contributi del trappista statunitense Conrad Greenia (1929-1994), apparsi a cominciare del 1969 (26). Con acribia egli focalizzò alcuni punti controversi della biografia del Santo e soprattutto avvalorò l’ipotesi della giovane età di Corrado (20-25anni) al momento della morte. Nello stesso tempo egli contestava la fondatezza di alcuni dati biografici indicati nei testi agiografici, formulando dure critiche soprattutto nei confronti di Dietrich (27). Greenia, insomma, ha dato un impulso notevole al progresso degli studi corradiani, anche se le sue ricerche si sono interrotte a causa della sopraggiunta malattia e del suo decesso.

Sull’onda lunga degli studi di Greenia, infatti, durante il primo decennio del XXI secolo sono stati pubblicati alcuni studi inerenti alle reliquie del Santo e alla sua iconografia. In particolare si deve accennare ai risultati dell’esame compiuto sulle reliquie in concomitanza con la ricognizione svolta nel 2007 (28). L’indagine medica ha accertato che le reliquie ossee custodite nella cattedrale di Molfetta appartengono ad un soggetto maschile e di età compresa fra i 20-25 anni. Inoltre, nella basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo è stato riscoperto un affresco del XIV secolo raffigurante l’immagine di un giovane santo cavaliere, in cui gli studiosi hanno riconosciuto Corrado, sebbene venga rappresentato in atteggiamenti e con abiti del tutto difformi dalla tradizionale iconografia (29). Se l’ipotesi attributiva fosse comprovata da altri elementi, l’immagine attesterebbe la diffusione del culto del Santo fuori dei confini molfettesi e nello spazio d’influenza politica della sua famiglia. Infine, un’ulteriore attenzione – anch’essa esterna alla compagine molfettese – è stata riservata al luogo ritenuto tradizionalmente come l’originario sepolcro di s. Corrado, il santuario di Santa Maria della grotta nei pressi di Modugno.

Fig. 1 – Il santuario di S. Maria ad criptam a Modugno (1910). Al di sopra delle tre arcate sul ciglio della lama, dietro il parapetto, si intravede l’ingresso della grotta.

Sulla strada che collega Modugno con Bari, a 3 km dal centro abitato in direzione di Carbonara, sorge il santuario di Santa Maria della grotta, tuttora aperto al culto e custodito dai Padri Rogazionisti (30). Esso è posto sul ciglio della lama Lamasitana, lungo la quale defluivano le acque torrentizie provenienti dalla Murgia. Aldo Luisi ha fatto notare come « L’area sulla quale il santuario insiste, sull’antica Via Traiana, presenta ancora oggi i resti di insediamenti rupestri e di ipogei, testimoniati da immagini affrescate che documentano l’antica civiltà del monachesimo orientale » (31). Fra questi vanno ricordati il Casale di Balsignano (X sec.), gli ipogei di Santa Caterina, delle masserie Milella e Alberotanza, nonché di torre Tresca (32). Il complesso di Santa Maria della grotta si sviluppa su due livelli. Il più basso, a ridosso della lama, è composto da una serie di anfratti che costituiscono l’insediamento rupestre, mentre il livello superiore comprende edifici risalenti al XIX secolo, i quali compongono la villa sovrastante, accostata da una torre campanaria.

La grotta principale rappresenta il cuore del santuario mariano. In essa sono evidenti tracce di culto di epoca medievale e vi si venera una scultura lapidea raffigurante il Cristo morto deposto sulle ginocchia della Vergine Maria. Sebbene il santuario sia aperto tutto l’anno, i Modugnesi si recano in pellegrinaggio alla grotta nel giorno della « pasquetta » – il che è una riprova dell’antichità del pellegrinaggio – e occupano lo spazio circostante, specialmente il letto della lama, per la tradizionale scampagnata. Il luogo sacro, inoltre, viene raggiunto dai pellegrini molfettesi, singolarmente o in gruppo, perché resta tradizionalmente legato alla devozione del patrono s. Corrado (33).

Damiani, infatti, recepì nella sua biografia del Santo (1670) la « tradizione che corre in quelle contrade costantissima », secondo cui Corrado, ritornato dalla Terra Santa, morì « in questa grotta posta nel territorio di Modugno della Diocesi di Bari a cui è vicina » (34). La notizia correggeva e specificava l’informazione desunta dall’Historia Welforum e riportata nei menologi cistercense e benedettino, secondo cui Corrado era morto a Bari. Giovene, invece, amplificò quanto Damiani aveva riferito e creò il racconto agiografico della traslazione a Molfetta del corpo del Santo. L’arciprete molfettese aveva dato inizio alle sue indagini sul santo patrono prendendo in esame i testi liturgici del « proprio » della messa di s. Corrado, la cui memoria era fissata nel messale trecentesco della cattedrale di Molfetta al 9 febbraio, in die translationis (35). Nell’orazio-ne di colletta il Santo viene appellato confessor eremique cultor, perciò Giovene, messa mano alla biografia di Corrado, spiegò il senso della venerazione del santo eremita, affermando che Corrado, giunto dalla Terra Santa, venne dapprima ospitato a Molfetta presso lo xenodochio-santuario di Santa Maria dei Martiri (36). Rimessosi in salute, il nobile pellegrino tedesco, per restare fedele alla sua condizione di monaco, volle trasferirsi a Modugno, prendendo a sua dimora una grotta posta nell’agro circostante. I Molfettesi – continua Giovene – raggiungevano quotidianamente lo speco modugnese per offrire cibo al venerato anacoreta, finché un giorno si accorsero che il pasto non era stato consumato (37). Scoprirono, dunque, la morte dell’eremita e per impedire che altri si appropriassero dal suo corpo, lo traslarono in città e lo seppellirono nell’antica cattedrale.

Dal racconto di Giovene affiorano alcune incongruenze. Egli, a torto, conferma il giorno del transito del Santo al 17 marzo, così come aveva fatto arbitrariamente Damiani, ma posticipa l’anno della morte al 1154 o 1155 – invece del 1126, preferito dal Damiani perché indicato nell’Historia Welforum – per giustificare la presunta età matura di Corrado. Entrambi gli autori, inoltre, sostengono che la traslazione del corpo di Corrado nella cattedrale di Molfetta sia stata compiuta dai Molfettesi subito dopo il suo decesso (17 marzo), malgrado la fissazione della translatio nel calendario del messale trecentesco al 9 febbraio (38). Se così fosse, il trasporto in città delle reliquie di Corrado sarebbe stato effettuato a distanza di quasi un anno dalla morte e non immediatamente, così come vogliono Damiani e Giovene. Infine, il santo pellegrino, reduce dalla Terra Santa, non poté essere ospitato nello xenodochio di Santa Maria dei Martiri, perché esso venne costruito dopo la fondazione del santuario, avvenuta nel 1162, quando egli era già morto. Fra gli scrittori successivi, divulgatori delle notizie desunte dalle biografie di Damiani e di Giovene, Nicola Trentadue fornì una versione diversa della fine di Corrado e della traslazione dei suoi resti mortali (39). Dopo la sosta in Molfetta, il Santo si ritirò nella badia di Santa Maria « ad Griptam » di Modugno, retta dai cistercensi fino al 1303. Qui egli morì nell’aprile del 1155, ma il suo corpo venne trafugato dai Molfettesi dopo il 1303, quando il sito era in abbandono e la badia era stata soppressa. Per Gaetano de Luca, invece, il luogo della morte e della sepoltura di Corrado fu Santa Maria dei Martiri (40). « Dopo tempo – continua de Luca – la fama dei suoi miracoli, che quivi oprava, tanto si sparse che la chiesa l’annoverò fra i beati ed i molfettesi a loro patrono » e perciò fu decisa la traslazione delle reliquie nella cattedrale di Molfetta (41).

Il racconto di Trentadue venne ripreso da Francesco Samarelli, il quale, però, ampliò ulteriormente la narrazione della vita e del soggiorno pugliese di Corrado. Questi sarebbe sbarcato sulle coste dell’Adriatico per visitare il santuario garganico di s. Michele e avrebbe trovato ospitalità presso i benedettini di Monte Sacro. Di qui, invece di tornare a Clairvaux, intraprese il viaggio verso « l’umile Badia dei cistercensi, ubicata nelle vicinanze di Modugno » (42). Fece sosta nel monastero di San Giacomo di Molfetta nonché nell’ospedale di Santa Maria dei Martiri, e in città fondò una chiesa dedicata a Santa Maria, la quale, in memoria del nobile fondatore tedesco, venne appellata Sancta Maria de domno Principe (43). Corrado, infine, giunse nella badia di Modugno e quivi morì il 17 marzo 1155 (44). Nel 1303, dopo la soppressione della comunità monastica, i Molfettesi traslarono il corpo del Santo nella cattedrale della loro città.

L’infondatezza del racconto di Samarelli venne posta in evidenza dalla critica di Catacchio: non esistono testimonianze del passaggio di s. Corrado né per Molfetta né per altre contrade della Puglia, e neppure della prolungata permanenza del Santo presso il monastero di Modugno, che, fra l’altro, non fu mai cistercense (45). Secondo Catacchio, inoltre, non ci sono prove che avvalorino la traslazione delle reliquie dopo il 1303, un’opinione successivamente condivisa anche da Greenia, il quale ha ritenuto che il trasferimento a Molfetta dei resti del Santo sia avvenuta « nei primi anni del XIII secolo » (46). Egli, comunque, accettava il dato della tradizione agiografica circa la sepoltura di Corrado nello speco di Modugno e attendeva ulteriori conferme dalle testimonianze raccolte a seguito dei lavori di restauro del santuario di Santa Maria della grotta.

Il restauro del Santuario di Modugno

Nel 1974 il santuario di Santa Maria ad cryptam (Fig. 1) fu acquistato dai Rogazionisti del Villaggio del fanciullo di Bari e tuttora è sede di una loro comunità religiosa. Seguirono i lavori di restauro dell’insediamento rupestre che riportarono alla luce alcuni reperti a riprova– secondo il parere di Francesco Campanale e Nicola Bollino – della presenza di monaci basiliani e poi dei benedettini. I reperti archeologici dell’aprile e del maggio 1974 riportavano alla luce documenti di valore storico: – un affresco bizantino datato tra il 1260-1310 raffigurante un’icona della Vergine della Deposizione. – un secondo affresco più antico esattamente un palinsesto che rappresenta un volto, forse di Cristo di rara bellezza. – un composto, splendido pavimento musivo delimitante un preciso luogo di preghiera con orientamento ad Est. – lo speco di S. Corrado con un archetto del 1200 che chiude il luogo del Santo, segno inequivocabile della immediata devozione a lui nello stesso luogo della Vergine dell’Icona. – motivi decorativi. – una cisterna. – due tombe al centro della chiesa. – Grotta. – un impluvio. – tracce di un arco d’ingresso di c. mt. 2,80. – due graffiti nella malta del pavimento con simboli cristologici, a ridosso della cripta di S. Corrado (47).

Ciò nonostante, i dati raccolti da Campanale e Bollino non confermano la presenza dei basiliani e dei benedettini, piuttosto attestano che la grotta svolgeva la funzione di luogo di culto, collegato ad altri ambienti rupestri, era decorata da immagini sacre e in essa vi erano spazi riservati alle sepolture (48). Prima dei restauri, dall’ingresso ad est, posto sul ciglio della lama, si accedeva all’interno della grotta, le cui pareti rocciose, a sud e ad ovest, erano state in parte occultate da due muri, su cui si addossavano due altari in pietra (XVIII sec.) (49). Nel muro dell’altare prospiciente l’ingresso era incastonata una scultura lapidea, il Cristo morto deposto sulle ginocchia della Vergine Maria (50), da cui il santuario aveva assunto l’appellativo di Santa Maria ad cryptam. Dalla parete del secondo alta-re pendeva una tela incorniciata, raffigurante s. Corrado in preghiera dinanzi all’altare centrale della grotta e sulla parete opposta un’altra tela, variante del medesimo soggetto (51). I paliotti dei due altari erano decorati con ovali lapidei riproducenti le immagini del gruppo statuario dell’altare maggiore e l’effigie di s. Corrado.

Fig. 2 – Interno del santuario di S. Maria ad cryptam in un disegno (ante 1836)

Altre informazioni si desumono dal confronto fra un disegno dell’interno della grotta (Fig. 2) – appartenuto all’arciprete Giovene e realizzato probabilmente in concomitanza delle sue ricerche sul Santo (ante 1836) (52) – e due fotografie risalenti al 1910 (53). Sul disegno ottocentesco, guardando a sinistra dell’altare centrale, non compare l’accesso fotografato nel 1910 e chiuso da un cancello. Attraverso di esso si accedeva all’area della grotta retrostante il muro dell’altare. All’epoca dei restauri (1974) questo spazio era occupato da un cumulo innumerevole di ossa umane (54). Sull’altra immagine fotografica sono evidenti, ai lati dell’altare laterale, due aperture del muro, di differenti dimensioni, attraverso cui si intravvedono le pareti rocciose retrostanti. Sul disegno lo squarcio più piccolo, alla destra dell’altare (segnato con la lettera C), viene indicato come « Ingresso della grotta dove faceva orazione S. Corrado ». Il restauro del 1974 ha eliminato i muri e gli altari, portando a vista le pareti rocciose e il fondo della grotta (Fig. 3).

I medesimi lavori, inoltre, hanno reso visibili gli affreschi delle pareti, precedentemente occultati da vari strati di calce. Si tratta di frammenti e di palinsesti che comunque rendono l’idea della particolare sacralità del luogo. Sulla parete di sinistra appare ciò che resta di un affresco più grande, raffigurante il compianto sul Cristo morto (55), mentre sulla parete opposta si scorgono frammenti palinsesti, da cui affiora il volto di un santo, incorniciato dalla barba folta, d’aspetto giovanile, ma non identificabile (un anacoreta, un profeta?) (56). Sull’angolo destro della parete di fondo della grotta è affiorata la parte superiore di un palinsesto. Lo strato più alto dell’affresco mostra un volto maschile, per metà sfigurato dalla caduta dell’intonaco, con il capo inclinato sulla destra e circondato da un nimbo crucesignato, caricato da lettere greche. Gli occhi sono aperti e ciò che resta del viso mostra i segni della sofferenza. Negli angoli superiori della cornice dipinta spiccano le sagome del sole e della luna.

Aldo Lisi ha riconosciuto in quest’ultima immagine il volto di s. Corrado, « col capo rivolto verso [la figura] della Madonna col Bambino » e ha concluso che « ciò confermerebbe il precedente culto mariano nella grotta e la presenza dello stesso Corrado » (57), ma non è possibile condividere tali identificazioni, innanzitutto perché fra le immagini presenti nella grotta non compare una Madonna col Bambino e poi perché il nimbo crucesignato retrostante il volto dell’affresco è un chiaro contrassegno di un’immagine cristologica. Per altro, l’espressione del viso, l’inclinazione del capo e l’accostamento degli astri maggiori fanno supporre che si tratti di un’Imago pietatis, cioè del Cristo calato nel sepolcro con il busto eretto, i segni della passione sul corpo e gli occhi socchiusi, preludio della risurrezione (58).

Le due immagini medievali superstiti, cioè il compianto sul Cristomorto e l’Imago pietatis alludono alla passione, alla morte, alla sepoltura e alla risurrezione del Figlio di Dio, cui fa eco la scultura lapidea, di età moderna, della Pietà, dove compare la figura di Maria (59). L’insieme delle immagini attesta l’uso funerario della grotta, confermato dalla presenza di due tombe sul pavimento, in prossimità dell’altare centrale, e l’utilizzo degli anfratti rocciosi come ossari. […] Forse il monastero modugnese comprendente il santuario micaelico-mariano in grotta, dopo la scomparsa del cenobio benedettino, diventò un eremo e venne custodito da anacoreti. L’epoca della sua ipotetica trasformazione (XIV sec.) coinciderebbe con la testimonianza liturgica del messale trecentesco in cui è fissata la memoria della translatio di s. Corrado. Ammesso che le reliquie del Santo siano state traslate dalla grotta di Modugno quando essa era diventata un eremo, si può supporre che la fama di eremita sia derivata a Corrado dal luogo della sua sepoltura e abbia giustificato l’appellativo di eremi cultor attribuitogli dalla liturgia. Prima dell’età moderna, infatti, le testimonianze locali non conoscono l’Historia Welforum e perciò non fanno riferimento né al pellegrinaggio in Terra Santa né al soggiorno di Corrado al servizio di un eremita, mentre l’unico riferimento « biografico » potrebbe essere stato il santuario in grotta di Modugno. Il vuoto documentario intercorso fra l’Historia Welforum (1170 ca.) e il messale trecentesco, nonché il coniugio delle loro testimonianze, compiuto da Damiani nella seconda metà del XVII secolo, lasciano aperta l’indagine sull’identità del Patrono di Molfetta.

Fonti: Luigi Michele de Palma “Il sepolcro di S. Corrado il Guelfo: un antico santuario micaelico?” in HAGIOLOGICA, Studi per Réginal Grégoire, Bibliotheca Montisfani, 31 (2012), Tomo II, Fabriano, Monastero San Silvestro Abate, 2012.

(1) Per la biografia e il culto riservato al Santo si veda la voce curata da B. BEDINI, Corrado, monaco di Chiaravalle, in Bibliotheca Sanctorum, 4, Roma 1964, coll. 200-201. Mi permetto inoltre di rinviare a L. M. DE PALMA, San Corrado il Guelfo. Indaginestorico-agiografica, Molfetta 1996. (2) Sulla storia dell’abbazia e sulla vicenda dell’abate Arnoldo si vedano: Abbé DUBOIS, Histoire de l’abbaye de Morimond quatrième fille de Cîteaux, Dijon 1897; L. GRILL, Der hl. Bernhard von Clairvaux und Morimond, die Mutterabtei der österreichischen Cister-cienserklöster, in Festschrift zum 800 – Jahrgedächtnis des Todes Bernhard von Clairvaux, Wien – München 1953, pp. 70-72; ID., Morimond, soeur jumelle de Clairvaux, in Bernardde Clairvaux, Paris 1953, pp. 125-136; W. WILLIAMS, Arnold of Morimond, in « Collec-tanea Ordinis Cistercensium Reformatorum », 7 (1940), pp. 149-155. Arnoldo, studente a Colonia e poi monaco a Cîteaux, venne posto a capo del monastero di Morimond da s. Stefano Harding, abate generale dei cistercensi, nello stesso tempo in cui s. Bernardo aveva assunto la direzione dell’abbazia di Clairvaux. Volendo quasi emulare il santo abate, Arnoldo si dedicò freneticamente alla predicazione, all’attività vocazionale e alla fondazione di nuovi monasteri. Trascorsi circa dieci anni, durante i quali non furono pochi i problemi e le difficoltà sorte nella direzione del monastero, egli intraprese l’iniziativa di recarsi in Terra Santa per fondare un monastero cistercense, senza dimettersi, però, dall’ufficio abbaziale, né ottenere il beneplacito da parte dell’abate generale, facendosi forte, piuttosto, di un consenso – alquanto dubbio – ottenuto dal papa. Il viaggio ebbe inizio tra la fine di novembre e i primi di dicembre del 1124.

Per le note fino alla n. 59 e gli ulteriori approfondimenti sull’originario sepolcro di s. Corrado e sulla possibile origine micaelica del santuario di s. Maria ad cryptam vedi il testo completo: “Il sepolcro di S. Corrado il Guelfo: un antico santuario micaelico?” 
/ 5
Grazie per aver votato!

Sharing is caring!