Gesù Cristo, “Yehoshua” in aramaico, descritto da un contemporaneo. Molti storici presumono che lo scritto sia un falso medievale ma crediamo che la descrizione su Gesù non si discosti molto dalla realtà
La “Lettera di Publio Lentulo” (pubblicata come Epistula Lentuli ad Romanos de Christo Jesu) è un apocrifo del Nuovo Testamento scritto probabilmente in greco ma pervenutoci in latino e verosimilmente in epoca medievale. Il documento, nella stesura a noi nota, è certamente compilazione di un umanista quattrocentesco, che si rifà a sua volta a Niceforo Callisto e, probabilmente, al cosiddetto Testimonium Flavianum.
Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!Pare che questo documento sia stato riportato per la prima volta da alcuni documenti tedeschi della fine del XV secolo, secondo la Catholic Encyclopedia il passaggio è riportato per la prima volta da Ludolph de Carthusian nella Vita di Cristo (Colonia, 1474) e nella Introduzione alle opere di S. Anselmo (Norimberga, 1491). Probabilmente esso è di origine medioevale, sebbene si sia anche pensato che possa risalire al IV secolo, al tempo delle persecuzioni di Diocleziano.
Diciamolo subito: la lettera di Publio Lentulo è un falso clamoroso! E ciò si evince dallo studio delle problematiche relative alle testimonianze di Giuseppe Flavio, Tacito, Svetonio, Plinio, ma anche dallo studio della storia dei primi cristiani e dei rapporti tra romani, ebrei e cristiani. La lettera pretende di essere il resoconto su Gesù Cristo da parte di Publio Lentulo, spacciato per governatore della Giudea prima di Pilato, spedito addirittura all’Imperatore Tiberio a Roma. Ma di questo personaggio non abbiamo traccia alcuna in nessuno scritto. E’ molto probabile, quindi, che questo personaggio storico, sulla base delle nostre conoscenze, non sia mai esistito. Sappiamo invece che fu il praefectus Valerio Grato a governare la Giudea prima di Ponzio Pilato. Oltretutto collocando l’inizio dell’attività pubblica di Gesù sotto questo fantomatico e inesistente governatore, l’autore della lettera contraddice anche il Vangelo di Luca secondo cui la predicazione di Gesù iniziò quando Pilato era già in carica (cfr. Luca 3:1-2).
Il tono della pseudo lettera è esageratamente benevolo nei confronti dei cristiani, l’autore si spinge addirittura a descrivere fisicamente Gesù come “il più bell’uomo che si possa immaginare”: è impossibile che simili parole siano mai state scritte da un governatore romano in Palestina. La data che appare a chiusura della lettera, poi, non ha alcun senso, l’indizione era un metodo di computare il tempo introdotto dopo Costantino (IV sec. d.C.) e richiedeva anche la specificazione di un anno che non compare nella lettera. Infine la firma del governatore è molto sospetta, si sarebbe dovuto trovare praefectus o al più, ma con minore probabilità, procurator. Tuttavia il dialogo del presunto governatore Lentulo con l’imperatore Tiberio desta interesse perché, secondo l’Apologetico di Tertulliano (150-220), lo stesso imperatore avrebbe proposto al Senato romano di riconoscere Gesù come Dio. La proposta fu respinta il che, secondo l’autore, costituì la base giuridica per le successive persecuzioni dei cristiani.La descrizione fisica contenuta nella lettera corrisponde alla tradizionale iconografia di Gesù: statura media, con barba e capelli lunghi. La lettera aggiunge che il volto di Gesù sarebbe stato di particolare bellezza e i suoi capelli del colore “della nocciola matura”.
I moderni studi attestano oggi che questa lettera è probabilmente un falso medievale, sicuramente non precedente al IV secolo d.C., in quanto gli storiografi sono pressochè tutti d’accordo nell’affermare che Publio Lentulo non sia mai esistito, e concordano inoltre nel fatto che un Romano non si sarebbe mai dilungato in una descrizione così “di parte” nei confronti di un uomo considerato un aggregatore di folle e quindi un potenziale nemico di Roma, soprattutto in una regione come la Giudea, difficilmente tenuta a bada dal conquistatore. Pur tuttavia una frangia del cattolicesimo accetta la lettera di Publio Lentulo come ineccepibilmente vera, e prendono come icona la descrizione del volto del Cristo fatta dal Governatore Romano.
Certo è che non pochi sono gli interrogativi che rimangono senza risposta, se si considera che l’uomo minuziosamente descritto da Publio Lentulo sia indiscutibilmente l’uomo che fuoriesce dalla ricostruzione in 3D dell’impressione della Sindone, e che la prima notizia storica che si ha della Sindone è del 1350 circa. E il volto del Cristo è lo stesso del Mandylion di Edessa, il fazzoletto che recava impresso il suo volto, adorato da migliaia e migliaia di fedeli sin dal 544 d.C. e poi misteriosamente scomparso nel 1204 per il sacco di Costantinopoli ad opera dei Crociati. Ed è lo stesso volto della Veronica, il fazzoletto con il quale tale donna asciugò il volto di Gesù sulla via del Calvario su cui si impresse il volto di Cristo, conservato a Roma fino al 1600 e menzionato da Dante e Petrarca.
Alla luce di tutto ciò risulta facile accettare il sottilissimo confine tra realtà o falso storico della lettera di Publio Lentulo. Una certezza è invece il fatto che questa trascrizione dei primi del ‘700, differisce in vari particolari dalla traduzione “ufficiale” dal latino o dal greco della copia più antica, che nessuno ha mai visto, e che pare essere conservata negli Archivi Segreti Vaticani, e l’unica pubblicazione di cui siamo riusciti a trovare traccia risale al 1855. Tutt’oggi varie correnti di pensiero esprimono opinioni sulla veridicità della lettera, e la ricerca di prove certe unisce fazioni opposte quali i ferventi cattolici, gli storici, gli studiosi della Sindone e gli esoteristi.
Dopo tutti i dubbi espressi, sull’autenticità di questa lettera, è arrivato il momento di leggerla. In essa è descritto un uomo di incomparabile bellezza e maestà, lo stesso impresso nella Sacra Sindone. Immagine, del resto, sempre rappresentata nella iconografia ufficiale. E questa è una certezza.