Non richiede una preparazione troppo complicata. Semplice, pratico, economico e gustoso, questo piatto tipico della tradizione contadina molfettese riesce a soddisfare un po’ tutti i palati
Molfetta, “cime di mezzo tempo”. Foto di Nicola Valente
“Cínghele e cénghele” è il modo arcaico di chiamare un tipico piatto della cucina molfettese: “cìaime e stràscenete” (letteralmente, dal vernacolo: “cime e strascinati”).
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“Chéss’è la ménestre, o scéittete dalla fénestre” (letteralmente, dal vernacolo: “questa è la minestra, o buttati dalla finestra”), è il detto che si declamava spesso in passato a quei bambini che non amavano molto questo piatto tipico della tradizione contadina molfettese. E infatti, molti hanno iniziato ad apprezzarlo in età adulta e chissà perché, visto che oltre ad essere molto buono ha molte qualità nutrizionali, un po’ come tutte le pietanze d’una volta che oggi si stanno riscoprendo in toto. Il mangiare buono e sano d’una volta.
La preparazione: a metà cottura del tipico cavolfiore molfettese, già lavato e tagliato in piccole cimette, immettere “le stràscenete” (le orecchiette), salarli e appena appena sgocciolati dall’acqua, condirli con olio evo, l’olio extravergine di oliva ottenuto con la sola spremitura delle olive sane con procedimento meccanico in rispetto della tradizione antica.
“La cima” è una verdura tipicamente invernale. A Molfetta, si coltivano ancora due particolari tipologie di questo cavolfiore: la “cìaime de meizze teimbe” e la “cìaime de corve”. La “cima di mezzo tempo” è la prima ad essere raccolta, a cominciare da fine gennaio fino a febbraio, mentre la “cìaime de corve” è più tardiva e la sua raccolta comincia a marzo. Generalmente la “cìaime de corve” viene raccolta nel periodo di quaresima, motivo per il quale viene utilizzata per realizzare il tradizionale calzone ripieno che si consuma durante la scampagnata di metà quaresima.
