Il Flatiron Building molfettese e le maschere apotropaiche

Un edificio davvero singolare, per la sua forma, ma anche per qualcosa di davvero molto particolare. Foto di Nicolò Azzollini

Molfetta, Largo Domenico Picca. Ph. Nicolò Azzollini

A Molfetta, in Largo Domenico Picca, c’é un edificio che ricorda, per la sua forma davvero singolare, il Fuller Building di New York.  Nulla di paragonabile, però, con il famoso edificio newyorchese, ma solo per le proporzioni, non per la forma davvero strana, simile all’edificio di Manhattan, il Flatiron Building. L’edificio americano al suo completamento nel 1902, era uno dei più alti edifici di New York.

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I newyorchesi furono subito attratti dall’edificio tanto da scommettere quanto a lungo sarebbe riuscito a resistere non solo per le forti raffiche di vento che soffiano dove sorge ma anche per la sua stranezza architettonica. La punta dell’edificio è infatti larga solamente 2 metri e si estende per 86,9 metri in altezza, divisi su ventidue piani.

Il nome Flatiron fu coniato proprio dai cittadini della Grande Mela a causa della singolare forma del palazzo che ricorda molto quella di un ferro da stiro (in inglese “flatiron”).

Il Flatiron Building restò l’edificio più alto di New York City fino alla costruzione del Park Row Building. L’area circostante l’edificio prende da esso il nome di Flatiron District.

Il “Flatiron” molfettese, seppur minuscolo, se paragonato alla grande mole dell’edificio newyorkese, ha però un asso nella manica: le maschere apotropaiche.

E non è tutto. I “mascheroni”, così volgarmente chiamati, del “Flatiron” molfettese, frutto dell’estro e della maestria degli scalpellini locali del tempo, sono anche mostruosamente belli. Diversi l’uno dall’altro, pur con le evidenti tonalità ambrate della pietra segnata dal tempo, evidenziano un estro artistico quasi contemporaneo.

Al di là dello stile bizzarro, i “mascheroni” non sono però una rarità soprattutto nel nucleo più antico del centro storico dove ancora oggi ci sono molti edifici impreziositi da questi particolarissimi frutti dell’ingegno scultoreo delle maestranze locali di un tempo. Ma a cosa servivano in realtà queste facce mostruose? Perché in passato venivano scolpite praticamente ovunque, nei centri storici, ma anche sulle facciate in pietra delle masserie di campagna?

I “mascheroni” del “Flatiron” molfettese prima del restauro. Ph. Nicolò Azzollini.
I “mascheroni” del “Flatiron” molfettese dopo il restauro. Ph. Nicolò Azzollini.

“FACCE DI PIETRA”

Molfetta, centro storico. Maschera apotropaica. Ph. Nicolò Azzollini

Le maschere apotropaiche, utilizzate e conosciute ad ogni latitudine, sono uno dei rari retaggi pagani che sopravvivono ancora oggi, all’interno dei nostri contesti urbani moderni. Nel nostro territorio sono presenti ovunque, nelle antiche torri o masserie di campagna, nel centro storico e nei palazzi più o meno centrali della città.

In quasi tutta la cultura mediterranea e mediorientale, partendo dai tempi più antichi si è utilizzata una figura scolpita da porre all’ingresso di edifici sacri, dimore, palazzi nobiliari ed anche fuori dalle mura delle città che facesse “la guardia” e allontanasse la negatività sotto forma di spiriti maligni o di energie potenzialmente invasive. La figura poteva essere combinata, ovvero metà umana e metà animale, oppure avere solo un volto scolpito in pietra o nel marmo e ricordava un viso mostruoso che doveva servire da “spauracchio”.

Ma perché queste figure sono dette apotropaiche? L’aggettivo apotropaico (dal greco αποτρέπειν, apotrépein = “allontanare”) viene solitamente attribuito ad un oggetto atto a scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni. Questi “guardiani” delle nostre antiche dimore, che l’arte e la bellezza hanno reinventato e modellato con stili sempre diversi, sono imparentati con le Gorgoni greco romane che dai templi proteggevano le entrate, con le loro boccacce spalancate e le lingue penzoloni.

Queste figure mostruose servivano per proteggere l’edificio e quindi i suoi abitanti dalle influenze negative, e a Molfetta, almeno fino ai primi decenni del Novecento, sono state largamente impiegate nelle decorazioni e nelle fantasie architettoniche degli edifici. Per riuscire ad allontanare la malasorte le maschere dovevano essere “abbastanza” mostruose, in grado di spaventare gli spiriti maligni e tenerli distanti dall’abitazione.

L’aspetto orripilante di queste maschere in pietra doveva essere in grado di spaventare gli spiriti del male e di provocarne la fuga, almeno secondo le credenze del tempo; credenze non del tutto scomparse, però, anzi ciò che per noi italiani è ancora oggi lo scongiuro contro la iella, o il temere malocchio e invidia, non sono altro che gli echi di questo tipo di credenze e di cui in fondo siamo ancora oggi tutti un po’ vittime.

La funzione di queste maschere, di queste facce, di queste figure mostruose quindi, era tutt’altro che decorativa benché, spesso, frutto di grande abilità scultorea.

Uno dei grandi tesori di New York City e una vera stranezza architettonica: il Flatiron Building
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