Accadde oggi: nel 44 a.C. l’assassinio di Giulio Cesare

Caio Giulio Cesare venne assassinato a seguito di una congiura promossa da Bruto e Cassio proprio alle Idi di Marzo (Idus Martie) del 44 a.C. durante la festività pagana dedicata al dio della guerra Marte

La figura del grande condottiero, Giulio Cesare, che scelse Rimini come base militare e che qui si fermò dopo aver passato il fiume Rubicone, che allora segnava il confine dello Stato romano, è rappresentato a Rimini da una statua bronzea, copia di un originale romano. La statua si trova nella piazza una volta dedicata a Giulio Cesare e già antico Foro Romano di Ariminum. Ph. Marino Piers. Giovine.

Le Idi di marzo, nel calendario romano, erano proprio il 15 marzo. Il termine idi era utilizzato per il 15º giorno dei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre, e per il 13º degli altri mesi. Le idi di marzo, inoltre, erano un giorno festivo dedicato al dio della guerra, Marte.

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Protagonista dell’ultima tormentata fase delle istituzioni repubblicane a Roma, Caio Giulio Cesare venne assassinato a seguito di una congiura proprio alle idi di marzo del 44 a.C., dopo essere stato nominato dittatore a vita. Dopo la sua morte inizierà il periodo della Roma imperiale di Ottaviano Augusto.

Quel giorno, il dictator si lasciò convincere da Decimo Bruto a presentarsi ai senatori, nonostante i presagi avversi e i tentativi di uno schiavo, del maestro Artemidoro di Cnido e dell’aruspice Spurinna di metterlo in guardia. Si racconta che prima dell’assassinio di Cesare ci furono vari segni, si udirono rumori strani nella notte, durante un sacrificio Cesare non riuscì a trovare il cuore della bestia che stava uccidendo, segno di malaugurio. La tradizione vuole che la notte prima dell’omicidio la moglie di Cesare avesse sognato di tenere fra le braccia il marito morto, lo stesso Cesare sognò di stare con Giove nel cielo, avvolto dalle nuvole.

Alle 11 Cesare uscì di casa senza scorta e percorse la Via Sacra tra due ali di folla acclamante. Arrivato nella Curia, mentre Trebonio, un congiurato, tratteneva il generale Marco Antonio con una scusa, il dictator venne circondato dai congiurati, i cesaricidi. Tullio Cimbro si gettò ai suoi piedi, come per implorarlo, tirandogli la toga: era il segnale convenuto. Publio Casca colpì Cesare con il pugnale, ferendolo: «Scelleratissimo Casca, che fai?», reagì lui, colpendolo a sua volta. Poi gli altri congiurati gli furono addosso. Quando vide brillare la lama del “suo” Marco Bruto, Cesare cadde ai piedi della statua di Pompeo, suo nemico nella guerra civile del 49 a.C., e morì colpito da 23 coltellate.

Presero parte alla congiura più di 60 persone: dai nemici a cui aveva concesso la sua clemenza, dagli amici a cui aveva concesso onori e gloria e persino da coloro che aveva nominato eredi nel suo testamento. A capo della congiura vi erano gli ex-pompeiani Caio Cassio, praetor peregrinus, e Marco Bruto, praetor urbanus. Alla congiura aderirono anche alcuni cesariani, tra cui Decimo Bruto, console designato per l’anno seguente, e Trebonio, uno dei migliori generali di Cesare destinato al consolato nel 42. Il promotore e capo della con giura fu Cassio. Marco Bruto aderì poco prima dell’assassinio, dando una parvenza di nobiltà all’azione.

I congiurati si consideravano custodi e difensori della tradizione e dell’ordinamento repubblicani e dunque, per loro cultura e formazione, erano contrari a ogni forma di potere personale, almeno nella teoria. Dunque, temendo che Cesare volesse farsi eleggere re di Roma, decisero di ucciderlo colui che a tutti gli effetti consideravano un dittatore. In verità, per molto di loro, i motivi furono meno nobili: rancore, l’invidia e delusioni per mancati riconoscimenti e compensi.

Cesare non pronunciò la famosa frase “Tu quoque, Brute, fili mi”. Lo scrittore latino Svetonio riferisce che morendo Cesare disse in greco “Kai su teknòn” (anche tu, figlio), perché quella era la lingua dell’élite romana. Ma questa versione dei fatti è poi messa in dubbio dallo stesso Svetonio, secondo il quale Cesare, in quel fatidico giorno delle idi di marzo del 44 a. C., emise solo un gemito, senza riuscire a profferire parola. La frase in greco ebbe però fortuna. I senatori fuggirono in preda al panico. I congiurati si sparpagliarono per informare il popolo. E il corpo restò nell’atrio dell’edificio per ore, prima che tre schiavi lo caricassero su una lettiga per riportarlo a casa.

Il popolo di Roma pianse per anni il grande Cesare, ucciso da ben 23 pugnalate. Di lui fu scritto: “Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore” (Th. Mommsen, Storia di Roma antica – Libro V – Cap. XI).

Gaio Giulio Cesare fu un personaggio chiave nella storia romana, proprio grazie alla sua dittatura ci fu un primo avvicinamento alla monarchia, inoltre fu un grande condottiero che guidò i suoi eserciti alla conquista della Germania, Britannia, Gallia, Grecia, Egitto e Ponto. Nel 44 a.C. Cesare nominò console Marco Antonio, questo gesto provocò rancore in Cassio che iniziò a cercare tutti i nemici che Cesare si era fatto durante la sua dittatura, con le altre persone che volevano Cesare morto iniziò ad organizzare un omicidio che si consumò il 15 marzo del 44 a.C., nel giorno delle Idi di marzo.

Giulio Cesare fu assassinato a Torre Argentina, nella parte inferiore in quella che allora era la Curia di Pompeo, nell’attuale area archeologica di largo di Torre Argentina, mentre presiedeva una riunione di senatori. Una lastra di cemento di tre metri di larghezza per due di altezza indica il punto in cui sedeva Giulio Cesare quando fu assassinato. È una lastra voluta da Ottaviano Augusto per ricordare il padre adottivo e tramandare ai posteri la condanna del suo assassinio. Secondo fonti storiche, la Curia venne chiusa in seguito all’assassinio e trasformata in un monumento alla memoria del fondatore dell’impero.

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