L’incredibile realismo del San Pietro di Giulio Cozzoli

Figurò per la prima volta in processione il Sabato Santo del 1948 ma la critica dei molfettesi non fu benevola. Il tempo, però, ha fatto giustizia. Foto di Maria Cappelluti

Particolare di San Pietro, opera è dello scultore locale Giulio Cozzoli, un maestro della sacra tridimensionalità. Ph. Maria Cappelluti

Il Sabato Santo del 1948, figurò per la prima volta in processione la statua di San Pietro realizzata dallo scultore molfettese Giulio Cozzoli, la stessa che attualmente vediamo sfilare in processione il Sabato Santo di ogni anno. Precedentemente a quella data, sfilava in processione dal 1842 una vecchia statua di San Pietro ricavata da una precedente statua di San Giuseppe, particolarmente cara ed amata dai molfettesi. Forse anche per questo motivo, quando nel 1948 sfilò per la prima volta la statua plasmata da Giulio Cozzoli, ci fu una certa delusione e non mancarono numerose polemiche che solo dopo diversi anni si placarono.

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Le altre statue che vengono portate in processione tutte insieme il Sabato Santo, costituendo quella che popolarmente a Molfetta viene chiamata la “Processione della Pietà”, sono state realizzate nell’arco del cinquantennio che va dal 1906 al 1956, rispondendo all’esigenza da una parte di rinnovare le vecchie statue processionali (che ad esclusione della prima Maddalena e del San Giovanni di Francesco Verzella, erano di scarso valore artistico e ormai deteriorate dal tempo) e di armonizzarle, dall’altra di rispondere al grande desiderio di Giulio Cozzoli di realizzare una serie di statue che in maniera completa rappresentassero per le vie di Molfetta, durante il Sabato Santo, il dramma della Passione di Gesù Cristo.

La Pietà portata in processione dal 1908 invece risale alla prima metà del Settecento. Il volto della Vergine, di autore ignoto, fu in parte ritoccato dallo scultore, rendendo l’espressione più triste e addolorata mentre il  Cristo morto, sul grembo della Madre, è opera del Cozzoli, che sostituì il precedente.

Impressionante. Quelle rughe, quello sguardo, quella mano sul volto… Quel volto sembra davvero quello di un uomo incredibilmente sorpreso, quasi atterrito dall’avverarsi della predizione del Suo Maestro. Ph. Maria Cappelluti

La statua di San Pietro, secondo noi è la più bella e, nel contempo, la più impressionante per il suo incredibile realismo, con lo sguardo vero, che sembra dover acquisire vita e parola da un momento all’altro; con movenze tutt’altro che statuarie, con una mano sull’orecchio, quasi a non voler ascoltare il terzo canto del gallo, dopo il suo rinnegamento di essere un seguace di Gesù; con un’espressione smarrita e sbalordita, come colui che mai avrebbe immaginato il realizzarsi della predizione del Suo Maestro; con la barba incolta, che incominciava a diventar canuta, e con il piede posato su un gradino del pretorio del procuratore romano Pilato.

Il gallo posto ai piedi della statua di San Pietro. Ph. Maria Cappelluti

Esiste da sempre un rapporto conflittuale tra immagine e realtà. Si tratta di un conflitto che risale invero all’antico dibattito sull’iconismo, inaugurato già da Platone attraverso le pagine della Repubblica e del Cratilo. Nel San Pietro, il Cozzoli supera definitivamente il conflitto tra immagine e realtà, plasmando un vecchio di incredibile realismo, con il corpo che sembra abbia appena compiuto un gesto e ne stia per compierne un altro; perturbando la realtà statuaria nell’intento di inseguire il suo delirio: rianimare l’inimmaginabile, concedere alla sua creazione una vita seconda. Per suprema virtù illusoria, afferra il personaggio in presa diretta, lo anima fino al punto da farlo apparire vivo, creando un’illusione di realtà, una realtà altra ricostruita, rappresentata, spasmodicamente inseguita e poi modellata. Quel vecchio non è una finzione che reinventa la realtà, ma è la realtà, sembra animato da un palpito anomalo che non appartiene alla materia utilizzata per crearlo. Lo scultore considerò inoltre l’azione dell’apostolo non disgiunta da quella del gallo ai suoi piedi, anch’esso di impressionante realismo, meraviglioso anche per la colorazione variopinta del suo piumaggio.

La statua fu portata in processione per la prima volta nel 1948, ma la popolazione non l’accettò benevolmente, anzi la critica in merito, fatte salve le eccezioni, fu molto severa. Nulla di più sbagliato. Il tempo, che è sempre il miglior giudice, ha reso giustizia allo scultore che ha non ha plasmato una semplice statua, ma un uomo anziano di duemila anni fa che vive ancora!

Molfetta, particolare del simulacro di San Pietro plasmato da Giulio Cozzoli. Ph. Maria Cappelluti

Concludiamo con questo bel racconto sulla prima processione del San Pietro di Giulio Cozzoli tratto dal libro “Diario per la Confraternita della Morte” scritto da Orazio Panunzio.

27 marzo 1948 Sabato Santo. Ecco il gran tempo è arrivato. La nuova immagine di San Pietro è in processione ma con diffidenza viene accolta dai fedeli mentre invece i critici sono unanimi che è la più bella ed espressiva dei simulacri fatti dal Cozzoli.

Anche questa notte come le altre il tempo non è stato clemente per questo anche questa notte viene divisa in due la processione. San Pietro e la Veronica vengono riparate nella chiesa delle Monacelle nella quale appena entrate le sorelle chiudono la porta ma lasciano i portatori nel loro interno, mentre mano mano le altre statue trovano riparo negli anditi condominiali. Ecco che da un palazzo patronale scende una donna con una fila di taralli che porta al forno, questa accattiva l’attenzione di tutti.

Giulio Cozzoli quest’anno non si è visto nell’asciugare la nuova immagine di san Pietro. Quella ragazza va, facendo lo slalom tra statue, confratelli ed altro va verso il forno di Gorizia dove lascia il tutto dicendogli che sarebbe passato da poco il suo tutore a pagare.

Passata la pioggia intanto, la processione riprende e come avveniva per i precedenti anni anche quest’anno riprende da dove è terminata per andare verso via Roma dove c’era quella locanda con la T maiuscola, ma alla richiesta dei confratelli ai bambini su dove stesse la statua e se il gallo avesse cantato, questi risposero che non avrebbe cantato più.

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