Una città nella città. Anzi sotto. Cosa sappiamo della Molfetta sotterranea?

Molta storia molfettese è ancora presente sotto i nostri piedi. Sotto le nostre strade e antichi palazzi esiste ancora una città scomparsa che tanti ancora ignorano. Alcuni racconti tramandati ci offrono molti indizi da cui partire per riscoprire la “città sotterranea” e la sua storia

Resti del Castello Gonzaga. Foto dei primi del ‘900.

Esistono grandi sogni e forti ambizioni, tanta voglia di scoprire o forse riscoprire, ciò che è stato dimenticato o non sappiamo ancora del nostro passato. Non è facile però dal “nulla” mettere in luce ciò che con lo scorrere inesorabile del tempo è stato sepolto ed è scomparso quasi del tutto dalla memoria degli uomini, nell’assenza quasi totale di fonti storiche. Non è facile, ma sicuramente non è impossibile. Ci vuole tanta tanta pazienza nella consapevolezza che nel lavoro di ricerca storica non esiste mai del tutto un punto di arrivo certo, un traguardo ben definito, perché non si finisce mai di scoprire altre storie nella storia.

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Iniziamo col dire che l’assenza di fonti storiche sulla “Molfetta sotterranea” non è totale, ma quasi totale, perché qualcosa sappiamo già dallo storico Michele Romano che nel 1842, nel suo Saggio sulla storia di Molfetta dall’epoca dell’antica Respa sino al 1840, dichiara quanto segue: “Molfetta era una penisola munita di forte castello, di baloardi, torri con merli e bastioni. Eranvi due porte di contro al sud, l’una detta della terra, verso l’ovest, l’altra del castello verso l’est. Eranvi sotterranea comunicazione fra il castello e il baloardi verso l’est e da questo agli altri baloardi verso l’ovest ed il nord“. Non è molto, ma è già un buon inizio per la nostra ricerca.

I “baloardi”, di cui parla Romano, erano i baluardi, detti anche bastioni, elementi caratteristici delle fortificazioni difensive costruite a partire dal XV-XVI secolo. I baluardi si distinguevano dalle torri medievali per essere della stessa altezza delle mura. Si trovavano generalmente agli angoli della fortificazione e potevano avere diverse forme planimetriche (prima circolare, poi poligonale). Il loro scopo era proteggere le cortine (tratti di mura rettilinei), che erano le parti della fortificazione più esposte al tiro e all’attacco dell’assediante, col tiro radente ed incrociato delle artiglierie che erano ospitate al suo interno.

Il Torrione Passari è l’unico bastione ancora visibile, gli altri due, abbattuti nei secoli passati, erano il Torrione dell’Arcello e il Torrione Rondella. Secondo il Romano, quindi, ci sarebbero stati dei collegamenti sotterranei fra i “bastioni” e il Castello Angioino di Molfetta. L’ubicazione di questo castello, era laddove è presente l’attuale Piazza Municipio, un tempo non a caso chiamata Piazza Castello. Sotto i nostri piedi esiste allora una città sotterranea che conserva una storia ancora quasi tutta da raccontare. C’è quindi un’altra Molfetta nascosta sotto quella che noi tutti conosciamo; esistono chilometri di cunicoli medievali, snodi, percorsi sotterranei, diversi metri sotto il piano stradale.

Di storia a Molfetta ce n’è davvero tanta sopra, ma anche sotto, sebbene quest’ultima sia ancora sconosciuta. Non del tutto però e non solo per la conferma (autorevole) dello storico (ma anche fisico) Michele Romano. Fino a qualche decennio fa, infatti, qualcuno parlava ancora dell’esistenza di corridoi e cancelli a pochi metri dal suolo urbano. Non erano affatto favole. Molte di quelle gallerie utilizzate dagli armigeri tra Trecento e Quattrocento per spostarsi con più facilità da una parte all’altra dell’antico borgo, e di cui non ci sono ancora ben noti gli accessi, esistono ancora. La loro esistenza in passato non era eccezionale, anzi in molti casi era essenziale in molte città come la nostra in quanto consentiva di difendersi dagli attacchi invasori. Non solo i punti strategici della città erano tutti collegati, ma anche le abitazioni civili lo erano. Alcuni di questi cunicoli che servivano per difendersi dagli invasori nei secoli passati, sarebbero stati utilizzati anche durante l’ultimo conflitto mondiale per difendersi da eventuali bombardamenti del nemico.

Molfetta 1586, Biblioteca Angelica, Roma

Attenzione! Abbiamo detto: “non ci sono ancora ben noti gli accessi”. Non è proprio così. Di alcuni di essi non si è persa del tutto la memoria dalla loro scoperta, in fase di costruzione di edifici moderni, nonostante il loro occultamento; alcuni ingressi di camminamenti, scoperti casualmente in fase di ristrutturazione di edifici antichi, oltre che di costruzione di nuovi palazzi nel secondo dopoguerra, sono stati murati. E siamo del parere che non siano stati occultati solo gli accessi ai cunicoli, ma anche chissà cos’altro.

Non dobbiamo infatti dimenticare che spesso, a Molfetta, sono stati edificati fino agli anni Settanta, edifici moderni dopo l’abbattimento di edifici o complessi architettonici più antichi. Molfetta è ricca (purtroppo) anche di questi posti, di questi veri e propri scempi urbanistici. Non sempre, anzi, ad essere obiettivi, occorrerebbe dire mai, a partire dagli anni Cinquanta (quando iniziarono scavi o demolizioni su larga scala), questi ritrovamenti venivano comunicati alle autorità preposte. C’è da dire poi che anche le autorità preposte, all’epoca, non erano poi così tanto predisposte alla adeguata vigilanza (e quindi conservazione) di ciò che veniva scoperto; non c’erano tutte le leggi di tutela che ci sono oggi quando dopo uno scavo affiorano resti del nostro passato.

Qualche operaio, però, quando “qualcosa scopriva” (e ciò accadeva non di rado anche se poi aveva l’ordine di murare), “qualcosa raccontava” sempre, prima o poi, in famiglia o agli amici. Per questo motivo, qualche racconto, non solo sulla “città sotterranea” (ma anche su altro, di cui vi parleremo in un altro nostro approfondimento) è arrivato sino ai giorni nostri e della “città sotterranea” non si è persa del tutto la memoria. Indizi sulla presenza, ancora quasi intatta, di una città sotterranea dimenticata, ci sono stati tramandati dalle cronache d’epoca e alcune testimonianze orali; in qualche caso vere e proprie conferme (altro che leggende!) sull’esistenza di quel groviglio di camminamenti sotterranei e ciò a prescindere dall’unica (ad oggi) fonte storica rappresentata dal libro di Romano.

Si racconta che negli anni Sessanta, un signore che abitava in uno degli antichi palazzi del Borgo antico, un giorno trovò nel sottano di sua proprietà, una lastra di pietra con anello. Era quella, evidentemente, un’apertura sul pavimento, di dimensioni ridotte; una chiusura che ristabiliva la continuità del pavimento delle fondamenta del suo stabile. Nel sollevarla si accorse che quella lastra era a tutti gli effetti una botola che metteva in comunicazione, per mezzo di uno scalone di pietra, a un altro vano sotterraneo di cui non aveva mai sospettato l’esistenza. Non ci sarebbe ancora nulla strano in questo racconto se non fosse che dopo aver aperto quella botola e aver disceso quelle scale fino a questo vano, il nostro inconsapevole esploratore non avesse poi visto anche un lungo corridoio pieno di detriti del tempo. Nessuno infatti, era più passato da lì da secoli.

Si racconta ancora che l’uomo, evidentemente armato di non poco coraggio, percorse quel cunicolo fino ad arrivare all’altezza della chiesa di San Pietro dove si dovette fermare, perché un cancello in ferro arrugginito gli impediva di proseguire oltre. Siamo del parere che questa sua esplorazione avvenne forse in un momento successivo alla scoperta della botola, magari con una torcia, visto che non avrebbe potuto percorrere il lungo cunicolo completamente al buio. Siamo del parere inoltre che questo racconto non sia affatto inventato. In questa storia c’è sicuramente un fondo di verità: la direzione del camminamento, infatti, era rivolta verso Piazza Municipio, dove un tempo sorgeva il primo castello di Molfetta, definito Angioino.

G.B. Pacichelli, Molfetta nel 1703.

La storia della nostra città, a cavallo tra Trecento e Quattrocento, è intricatissima, tra feudi, signori e antagonismi, tutto sotto l’egida degli Angioini del Regno di Napoli, di cui eravamo provincia. La costruzione difensiva degli Angioini era imperiosa e alta circa 22 metri, a base cilindrica, caratterizzata da torri di vedetta, cunicoli sotterranei di difesa e un grande fossato.

Nelle sue adiacenze esisteva un forno che durante i primi anni del 1500 sarà chiamato forno del castello, proprio a ricordo di quella zona caratterizzata dalla presenza del castello. Nel 2009, durante una serie di lavori in corso Dante angolo piazza Municipio, fu rinvenuta ad una profondità di circa 2 metri e mezzo una muratura, forse l’antica fortificazione del Castello Angioino del Trecento.

Col trascorrere degli anni, dopo la scoperta del cunicolo, negli anni Sessanta, altri cunicoli vennero scoperti, come quelli rinvenuti durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca Cattolica (l’attuale Banca Monte Dei Paschi di Siena), dove un tempo sorgeva il secondo castello di Molfetta, il castello dei Gonzaga. Furono trovati due cunicoli: uno che proseguiva verso l’attuale piazza Garibaldi e l’altro verso il centro storico, per l’esattezza l’ungo via Sen. Natale Palummo. In effetti, in prossimità dell’ingresso del castello, erano presenti delle botole a cui si accedeva a cunicoli sotterranei che conducevano a vari punti della città, costruiti per finalità difensive, rinvenuti durante i lavori di costruzione dell’attuale stabile in via Respa.

Questo castello o bastione venne costruito dal feudatario Ferrante Gonzaga signore di Mantova e Guastalla, poco dopo il sacco di Molfetta che avvenne tra il 18 e il 20 luglio 1529 da parte di truppe francesi e veneziane, insieme alla seconda cinta muraria per la difesa della città da attacchi nemici. Sotto il governo di questi furono anche costruite nuove case al posto di quelle distrutte durante il sacco del 1529. Le nuove mura fatte costruire dai Gonzaga partivano nei pressi dell’attuale piazza Municipio, passavano per l’attuale via Sergio Pansini e terminavano alla chiesa di San Domenico, a ovest con Bisceglie, a sud con Terlizzi, a sud-est con Bitonto e ad est con Giovinazzo. A quei tempi si entrava in città da quattro porte che chiudevano al tramonto: Porta Annunziata, che si trovava nei pressi dell’attuale incrocio tra via Annunziata, Via Ten. Ragno, Via S. Pansini e via D. Picca, toponimo popolarmente noto come “Sott a la port”, proprio perché lì si trovava quella che forse era la porta principale della città; Sant’Angelo, dove oggi si trova piazza Vittorio Emanuele; San Domenico vicino alla Chiesa omonima in via San Carlo; Porticella nei pressi della Chiesa del Purgatorio.

I lavori della seconda cinta muraria furono interrotti per vari motivi, tra cui il terremoto del 1560. Nel 1785 si attuò la demolizione della seconda cinta muraria. Il castello dei Gonzaga, edificato nel 1589, fu definitivamente abbattuto nel 1932. Fu un vero e proprio sacrilegio distruggere ciò che rimaneva dopo gli abbattimenti iniziati quasi tre secoli prima. La facciata della chiesa di Santa Maria degli afflitti (Purgatorio), edificata a partire dal 1643, sarà infatti costruita con parte del castello dei Gonzaga, abbandonato già da tempo.

Ciò che rimane oggi del Castello dei Gonzaga è un pezzo di muro sulla scalinata che va verso via Resa presso l’edifico della banca. Riteniamo che oltre alla costruzione delle nuove mura, si sia provveduto inoltre all’ampliamento delle gallerie sotterranee difensive in corrispondenza delle stesse. Altri camminamenti infatti furono scoperti durante lavori di manutenzione nei pressi di via Sergio Pansini, vicino all’antica chiesa di Santa Teresa, o in via Fiume, nei pressi di piazza Effrem, dove sorgeva la torre esploratoria che ha dato il nome alla piazza.

Ferrante I Gonzaga, primo principe di Molfetta

La funzione di questi corridoi, era come detto, difensiva. I soldati infatti potevano spostarsi più velocemente senza essere visti, da un luogo strategico ad un altro. Era un sistema difensivo anche per i civili, che utilizzavano il camminamento per rifugiarsi nel Borgo antico e trincerarsi tra le sue mura. Non solo quindi tutti i punti strategici della città erano collegati tra loro, ma anche le abitazioni civili lo erano.

Agli inizi degli anni Settanta, dopo l’abbattimento (l’ennesimo) del palazzo che si trovava all’angolo tra via Vittorio Emanuele e via Ugo Bassi, in fase di scavo delle fondamenta del nuovo edificio, “venne fuori”, secondo i racconti dell’epoca, una galleria che proveniva dal castello dei Gonzaga e “proseguiva sotto via Vittorio Emanuele verso il Seminario Regionale”.

Sembrerebbe confermata da alcuni appassionati locali, interessati e molto alla riscoperta della città sotterranea, la presenza di “alcuni accessi” a questi camminamenti sotterranei “che univano il centro storico con i nuovi casali fuori dalle mura”. Uno si troverebbe in un Pub, nel quartiere Catacombe, dove effettivamente è confermata da molti la presenza di “una botola in pietra che si trova subito a sinistra sotto le scale” (il caratteristico locale è stato allestito in una antica cantina che si trova molto al di sotto del piano strada). Un altro accesso sarebbe presente all’interno di un noto bar del Borgo antico e più precisamente, all’interno del deposito posteriore. Un terzo accesso si troverebbe in un palazzo nobiliare di Via Amente. Un quarto in un locale di corso Dante di fronte al palazzo dei Tributi.

Si racconta inoltre che ci sarebbe un tunnel che collegherebbe piazza Cappuccini con la città vecchia all’interno del quale ci sarebbero scheletri umani ammassati lì molto probabilmente durante le epidemie di peste o di colera che hanno interessato frequentemente la nostra città nei secoli passati. L’ultimo accesso a questo cunicolo risalirebbe agli anni Settanta. Sappiamo, con certezza, che esiste un tunnel, non del tutto murato, ma bensì ostruito negli anni Ottanta del secolo scorso, tra la Sala dei Templari, situata in piazza Municipio, dove un tempo vi era la chiesa di San Nicola, attigua allo scomparso Castello Angioino di Molfetta e Palazzo Giovene. In effetti, al piano inferiore del palazzo sede del Consiglio comunale, si trova un arco portante in pietra, che effettivamente univa un tempo la sala dei Templari al palazzo; da quest’ultimo poi altri corridoi avrebbero collegato palazzi adiacenti fino ad arrivare al Duomo. Non solo ci sarebbero accessi di questi camminamenti individuabili, ma alcuni di questi, effettivamente, sono stati già individuati e alcuni tunnel possono essere esplorati.

Forse esisteva anche una mappa di tutti questi camminamenti sotterranei di Molfetta, andata perduta per sempre, o forse no. Forse da qualche parte la mappa esiste ancora. A tal proposito si racconta che sempre negli Sessanta, fosse stata trovata una mappa di cuoio di tutti questi cunicoli, che sarebbe poi andata persa. Non sappiamo quanto ci sia di vero in questo racconto. Di una cosa però siamo certi: era impossibile che non vi fosse secoli or sono una mappatura di tutti questi cunicoli sotterranei, soprattutto di quelli utilizzati per la difesa della città. Forse da qualche parte potrebbe esistere ancora, non è possibile escluderlo. Certo è, mappa o non mappa, oggi ci sono strumenti moderni (sondaggi geo-radar) che possono svelarci del tutto la Molfetta sotterranea e tutti i suoi segreti ancora nascosti da secoli. Un’altra cosa è certa: la “città sotterranea” esiste! Ed è tutt’altro che una leggenda.

Molfetta Piazza Municipio. Cartolina databile ai primi anni del Novecento
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