Riccardo Muti, non solo un grande Maestro di Musica, ma anche di vita

Il Maestro Riccardo Muti denuncia la decadenza della nostra civiltà, confermando di essere un protagonista assoluto e un grande patriota della nostra amata Italia

In una intervista al “Corriere della Sera” il maestro, che compirà 80 anni il 28 luglio, si dichiara sconfortato dai nostri tempi. “Come Falstaff: tutto declina”

Cari amici, il Maestro Riccardo Muti, il più grande Direttore d’orchestra italiano vivente e il più illustre rappresentante della musica sinfonica e operistica italiana nel mondo, ha confermato di essere un protagonista assoluto e un grande patriota della nostra amata Italia. In un’intervista rilasciata a Aldo Cazzullo e pubblicata domenica 27 giugno sul Corriere della Sera, il Maestro Muti alla vigilia dei suoi 80 anni denuncia con estrema chiarezza la decadenza della nostra civiltà al punto da confessare di sentirsi rassegnato e persino stanco della vita, anche se in cuor suo coltiva la speranza in un miracolo che possa far rinascere l’Italia valorizzando innanzitutto il suo ineguagliabile e inestimabile patrimonio culturale, tra cui spicca la musica sinfonica e operistica che nascono in Italia, che potrebbe fare dell’Italia la Nazione numero 1 al mondo per la migliore qualità di vita.

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Queste le parole con cui il Maestro Muti rimpiange «un mondo semplice e fantastico».

«Ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero».

«Rimpiango la serietà. Lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: “Intrent securi qui quaerunt vivere puri”; entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente. Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe».

«Da ragazzo andavamo la sera al cimitero a vedere i fuochi fatui. Ho conosciuto l’ultima prefica, Giustina: raccontava i pregi del morto, disteso sul letto nell’unica stanza della casa, la porta aperta sulla strada, alle pareti la foto del fratello bersagliere e dello zio ardito… Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, anche queste cose semplici, che sono di una profonda umanità …».

Queste le parole con cui il Maestro Muti denuncia «l’ignoranza atavica» che genera il decadimento culturale.

«La direzione d’orchestra è spesso diventata una professione di comodo. Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione. Toscanini diceva che le braccia sono l’estensione della mente. Oggi molti direttori d’orchestra usano il podio per gesticolazioni eccessive, da show, cercando di colpire un pubblico più incline a ciò che vede e meno a ciò che sente».

«Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista”: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima … C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro. Posso parlare perché la maggior parte dei “Composers-in-Residence” che abbiamo ospitato in questi dieci anni a Chicago sono donne».

«Credo nei viaggi dell’amicizia e della pace. Non lavori per il successo, la quantità di applausi e articoli; lo fai perché capisci che la nostra professione è una missione. Ho diretto il primo concerto a Sarajevo dopo i bombardamenti, il Va’ pensiero a New York nel buco lasciato dalle Torri Gemelle abbattute. Una sera ho diretto a Erevan, in Armenia, e la sera dopo a Istanbul. Ricordo a Nairobi un coro di bambini meraviglioso: avevano studiato il Va’ pensiero con una pronuncia assolutamente perfetta, mi commuovo ancora se ci penso. Ma a volte mi sembra di parlare ai sordi. Muti che parla ai sordi… Avvilente. Non è mancanza di volontà; è ignoranza atavica. E dire che le radici della musica mondiale sono in Italia: Palestrina, Monteverdi, Frescobaldi, Luca Marenzio, Scarlatti…».

Queste le parole con cui il Maestro Muti denuncia la decadenza della nostra politica.

Il lockdown «è stato orribile. La disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante. Entri al ristorante e vedi al tavolo cinque persone tutte chine sul loro smartphone… Io non lo posseggo e non lo voglio. Me ne hanno dovuto dare uno, per entrare in Giappone, ma non sono riuscito ad accenderlo. La tv avrebbe dovuto approfittare del lockdown per fare trasmissioni educative. Invece, a parte qualche bel documentario, siamo stati invasi da virologi, da sedicenti “scienziati”. Per me scienziato era Guglielmo Marconi!».

«Riesco a seguire un contrappunto in otto parti musicali che si intersecano una con l’altra, ma non riesco a capire due persone che si parlano una sull’altra. Creano disarmonia, cacofonia; mentre otto linee musicali una diversa dall’altra devono concorrere al raggiungimento dell’armonia. La banalità della tv e della Rete, questo divertimento superficiale, la mancanza di colloquio mi preoccupano molto per la formazione dei giovani».

Queste le parole con cui il Maestro Muti confessa di essersi stancato della vita.

«Talvolta, forse esagerando, dico che sono stanco della vita. Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato».

«Mi sono stancato della vita. Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”».

Eppure in queste parole del Maestro Muti si coglie la speranza di un miracolo che faccia rinascere l’Italia, valorizzando un patrimonio culturale che già c’è.

«Non vorrei essere l’uccello del malaugurio; ma il costo esorbitante di scenografie e costumi, accanto alla scarsa competenza e autorevolezza dei direttori d’orchestra che — con le dovute eccezioni — lasciano i cantanti senza guida, mi preoccupano sul futuro dell’opera. L’Italia è piena di teatri del ’700 e dell’800 ancora chiusi. L’ho detto a Franceschini: riapriteli, dateli ai giovani. Formate nuove orchestre: ci sono Regioni che non ne hanno. Aiutate le centinaia di bande che languiscono, ridotte al silenzio da un anno e mezzo, con il disastro economico delle famiglie. Dobbiamo fare molte cose, se vogliamo che il nostro patrimonio operistico, il più eseguito al mondo, non sia considerato occasione di piacevole intrattenimento ma fonte di educazione e cultura, come le opere di Mozart, Wagner, Strauss. Verdi non è zum-pa-pa!».

Cari amici, per me il Maestro Muti è un riferimento certo di amore per la Patria e di dedizione per il bene degli italiani, un faro che illumina e ci incoraggia ad andare avanti nella comune missione. Grazie Maestro Muti. Le auguro lunga vita, sempre nuovi traguardi e successi per condividere il miracolo della rinascita della nostra amata Italia.

Post pubblicato Domenica 27 giugno 2021
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