Storia della “Torre del Tuono”. Ma perché si chiama così?

Pare che tale toponimo le derivi dall’essere stata in passato colpita da una folgore; oppure, secondo il Roscini, perché in essa si era acquartierato il famoso Cardinale Vitelleschi, in procinto di porre l’assedio a Giovinazzo. L’intero complesso fu completamente ricostruito dai Sagarriga nel 1663

Scorcio della “Torre del Tuono” – Ph. Dario Lazzaro Palombella

Percorrendo la via di Bitonto, dopo circa 7 chilometri, si intravede sulla sinistra una residenza rurale fortificata che si raggiunge attraverso un vialetto.

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L’edificio si mostra imponente per la mole nonostante sia semidiroccato. Comprende un casale, una torre con campaniletto a vela, una chiesetta del 1607, un alto muro di cinta e, nelle vicinanze, tre costruzioni ad archi che ricordano palmenti e stalle.

Il fabbricato è composto da innumerevoli stanze di cui una con focolare e una con pozzo. Bisanzio Lupis, nelle sue Cronache, la chiama “Torre de lo Tuono”. Tale toponimo pare che le derivi per essere stata colpita da una folgore, durante la tempesta del 17 febbraio del 1678 che la distrusse parzialmente; oppure, secondo il Roscini, perché in essa si era acquartierato il cardinale fiorentino Giovanni Vitelleschi, legato pontificio, “feroce prete soldato”, descritto da tutti i cronisti e gli storici come il più efferato dei comandanti dell’epoca, in procinto di porre l’assedio a Giovinazzo tra il 1437 e il 1438.

L’intero complesso fu completamente ricostruito nel 1663 dalla nobile famiglia Sagarriga-Visconti come testimonia una scritta sul portale. Pare che qui si siano riparati gli austriaci durante la guerra contro la Spagna per la successione del regno di Napoli. Sorto nelle vicinanze della strada per Terlizzi, è disposto attorno ad un cortile rettangolare e comprende, oltre all’alloggio padronale, numerosi locali e una torre di difesa, sormontata da un piccolo campanile a vela. Oltre che residenza rurale fortificata, dovette assolvere compiti di coordinamento di attività agricole e sembrano esserne testimoni numerosi ruderi, vasche, stalle e una capace cisterna, disseminati tutt’intorno.

Addossata alla facciata principale, una piccola cappella, dedicata all’Arcangelo Michele. Sull’architrave dell’ingresso, su una lapide trafugata tempo addietro, Michele Sagarriga aveva scolpito: “Mihi, meis et omnibus” (Per me, per i miei e per tutti).

Particolare del portale con la scritta. Ph. Dario Lazzaro Palombella
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