La Cappella della Madonna della Rosa tra storia e tradizioni secolari

La tradizione vuole che un ricco signore di Bitonto, assalito in quel luogo da briganti, ebbe salva la vita per il miracoloso intervento della Madonna che gli apparve in un roseto; ed egli in segno di riconoscimento fece erigere la chiesetta obbligandosi anche alle spese del culto. Foto di Dario Lazzaro Palombella

Molfetta, affresco della “Madonna della Rosa”. Ph. Dario Lazzaro Palombella

La chiesa-torre della Madonna della Rosa, situata sulla via del Mino a circa un chilometro da Molfetta, ha un’antichità di tutto rispetto: la sua edificazione risale almeno ai primi decenni del Cinquecento.  Lo si deduce da una notizia riportata da Francesco Samarelli nell’opuscolo “Chiese e cappelle esistenti a Molfetta” (1941), dove si legge che nel biennio 1549-1550 le entrate e le uscite per l’amministrazione della chiesetta erano sottoposte al visto di un “razionale” (oggi diremmo contabile o revisore dei conti). Chi s’incaricava di rappresentare un ente o un ordine, di trattarne gli affari e provvedere alle necessità dei beni posseduti, erano i procuratori.

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Per conto del Capitolo della Cattedrale nel 1581 i procuratori di S. Maria della Rosa erano i canonici Cesare Monno e Giovan Battista Schifosa, che il 30 marzo di quell’anno dichiararono di aver ricevuto dal “sacristano” don Giovanni di Pinto un calice, sul cui pomo c’era il nome di don Renzo Volpicella, un camice di tela con l’amitto e una pianeta di “ormesino verde” per officiare nella cappella rurale. È quanto si ricava da una ricevuta dell’Archivio Diocesano, rinvenuta nell’aprile 1982 dall’insegnante Elena Altomare e passata a don Leonardo Minervini, che la pubblicò sul settimanale “Luce e Vita” con una breve premessa.

La chiesetta, al piano terra, presenta sull’altare un’immagine della Madonna affrescata sul muro, mentre sulle altre pareti ci sono cinque quadri ad olio che rappresentano i Misteri. L’ingresso della chiesetta è quello principale, facilmente riconoscibile per la nicchia sovrastante con l’immagine della Madonna della Rosa e l’iscrizione: “ROSA MISTICA ORA PRO NOBIS”. Sul lato di levante c’è la porta d’ingresso della torre, che è sormontato da una saettiera sporgente in fuori e sorretta da due gattoni. Il primo piano ha una volta a botte e sei vani, mentre sul tetto, sul lato sinistro della torre, c’è un campaniletto a vela.

Perché la chiesetta ha quell’intitolazione? La tradizione vuole che un ricco signore di Bitonto, assalito in quel luogo da briganti, ebbe salva la vita per il miracoloso intervento della Madonna che gli apparve in un roseto; ed egli in segno di riconoscimento fece erigere la chiesetta obbligandosi anche alle spese del culto. Antonio Salvemini nel suo “Saggio storico della città di Molfetta” (1878) rileva invece che: “Vien detta della Rosa per ragione delle rose che la Madre ed il Figlio [ritratti sul muro dell’altare] hanno nelle mani e che simboleggiano quella rosa dell’ardente carità materna che Maria dimostra continuamente di avere verso dei suoi figli, come la saluta la Chiesa tuttodì nei divini ufficii col titolo di Rosa mistica”.

La meditazione e l’ascesi possibili nel raccoglimento della cappella immersa nel silenzio dei campi (a quei tempi scarsamente abitati) spiegano la richiesta di concessione della chiesa-torre, per la fondazione e l’uso di una grancia gerolamina, avanzata nel XVII secolo al Capitolo molfettese da parte di eremiti di S. Girolamo forestieri. Addirittura – ci fanno sapere Corrado Pappagallo e Corrado Pisani – nel 1649 un genovese, Giovanni Sambuceto, volle per testamento essere sepolto nella chiesetta di S. Maria della Rosa, lasciando un’elemosina di quattro ducati e mezzo e fra Giovan Lonardo Sciancalepore, che serviva nella cappella. E le sue volontà testamentarie furono rigorosamente rispettate, visto che nel primo “Registro dei morti” della Cattedrale, sotto lo stesso anno, risulta un’inumazione in “Sancta Maria Rosarum”, come si desume da un libro di don Luigi de Palma sulla Confraternita della Morte.

È la prima volta che il titolo della chiesa riporta il plurale “delle rose”, perché di solito si riscontra, come s’è visto, il singolare. E il dato è confermato dal dialetto, che ammette soltanto Mêdónne de la Róse (Madonna della Rosa), appunto. Il dialetto, a sua volta, richiama la tradizione popolare della gita fuori porta a la Mêdónne de la Róse, di cui abbiamo notizie certe dal primo Ottocento. Nel 1842 l’usanza era già consolidata, come documenta Michele Romano nel suoSaggio sulla storia di Molfetta dall’epoca dell’antica Respa”: “Nel terzo giorno dopo la Pasqua si accorre alla Madonna della Rosa, senza intervento del Clero, ma del popolo”. Infatti, il martedì di Pasqua, posto fra le ricorrenze religiose come “Aqua Sapientiae”, col bel tempo era d’obbligo la scampagnata a Santa Maria della Rosa, per divertirsi e mangiare il calzone, l’agnello al forno e la frutta secca.

In seguito alle innovazioni liturgiche introdotte da Pio XII alla fine del 1955 per la celebrazione della Settimana Santa, la tradizionale passeggiata campestre è stata anticipata alla Pasquetta, venendo a coincidere, anche per motivi legati alla ridistribuzione delle ferie lavorative, col Lunedì dell’Angelo. Questa è la prima delle cosiddette “feste de re neceidde o de re scarceidde” (feste delle nocelle o delle scarselle), che vanno pure sotto il nome di “feiste chênnêràute” (feste goderecce), dove le nocciole, le novelline americane e le scarselle la fanno da padrone.

L’antica cappella della Madonna della Rosa di proprietà del Capitolo Cattedrale di Molfetta, posta nell’agro cittadino sulla via per Bitonto e cara all’affetto e alla devozione dei molfettesi, continua tutt’oggi a svolgere la sua funzione di centro spirituale-mariano.

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