A Molfetta non è Natale senza “La Santa Allegrezza”

E’ il canto per eccellenza della tradizione natalizia molfettese. Quest’anno non si udirà in città come negli anni passati. Lo ascolteremo da casa come se fossimo tutti emigranti perché per ogni molfettese, ovunque abbia scelto di vivere, non è Natale senza “La Santa Allegrezza”

La Magia del Presepe. Molfetta, Chiesa di San Bernardino. By Rosy Tridente

“La Santa Allegrezza” è per i molfettesi il canto popolare natalizio per antonomasia. Ogni anno comincia a risuonare la sera dopo il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, ed è il richiamo del Natale che dà voce agli amici di incontrarsi, alle famiglie di riunirsi, ai lontani di chiamarsi con il suo sottofondo, ai gruppi di riformarsi, alle padrone di pensare per tempo a preparare il canestro delle cose buone e tradizionali.

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Quest’anno non lo udiremo per le strade per i ben noti motivi sui quali non abbiamo intenzione di soffermarci. Non ascolteremo i gruppi di ragazzi, con flauti e voce squillante, intonino nei pressi delle case, per le strade, o nelle parrocchie il lungo canto di preghiera che narra della nascita Cristo e l’immancabile verso finale: “Uè la patròene, uè la patròene, ìess ‘u chénistre de re coese bòene!”. La tradizionale ricompensa finale, per le giovani comitive,  appunto “‘u chénistre de re coese bòene” tanto invocato nell’ultima strofa del brano e offerto dalle “padrone” di casa. Una tradizione unica della nostra città, un pezzo di Natale a cui nessuno vuole rinunciare neanche quest’anno. Lo ascolteremo però tutti da casa, anche noi residenti, come i tanti molfettesi sparsi nel mondo fanno ogni anno perché, per ogni molfettese che si rispetti, ovunque abbia scelto di vivere, la “Santa Allegrezza” è il canto natalizio per antonomasia. Nelle case dei molfettesi nel mondo, infatti, siano essi nel New Jersey, in Argentina, in Canada, in Venezuela, in Australia o in qualunque altra nazione, “La Santa Allegrezza” non può mancare nei giorni del Santo Natale.  

Per eccellenza è il canto che rappresenta la tradizione della nostra terra; sopravvive  annualmente perché eseguito da gruppi di giovani e adulti, di solito facenti parte di associazioni, complessi bandistici o chiese che vogliono condividere le gioie della nascita di Gesù. Viene insegnata nelle scuole elementari, cantata e suonata nelle recite natalizie e in famiglia. Ma quando ha avuto origine la Santa Allegrezza?

La prima testimonianza su questa nenia natalizia della tradizione molfettese, ci viene data dallo scrittore Pasquale Samarelli che nel suo libro titolato “Stella d’amore“, edito da Zanichelli nel 1885, così rievoca la vigilia di Natale nella Molfetta di quei tempi: «Era già sera. Le grida assordanti de’ venditori echeggiavano dalle vie fangose da’ crocicchi, dai vicoli più oscuri; sui pianerottoli delle scale si cantava la Sanata Allegrezza e la ninna-nanna; nella piazza si vendevano ancora i bambini di cera, e i pescivendoli gridavano, sbraitavano a farsi cascar l’ugola, per vendere le alaguste, i capitoni vivi e le anguille che guizzavano de’ mastelli, i pesci e i frutti di mare sulle tavole di pietra, tutte quelle leccornie che, in questo giorno di baldoria, di regali e di auguri più o meno sinceri, non mancano nella mensa del ricco». 

Mauro Altomare, dieci anni più tardi, forniva il primo quadro dettagliato della Santa Allegrezza in un articolo intitolato “Il Natale a Molfetta” e pubblicato nella “Rivista delle tradizioni popolari italiane”:«è antico, qui, l’annuo uso di cantare, nelle ultime nove sere che precedono il giorno solenne di Natale, come dicesi in dialetto la “Santa Allegrezza”, specie d’inno biblico su Gesù bambino. Quest’uso consiste nel recarsi, dopo il tramontar del sole, alle porte dei cittadini, a cantare l’inno suddetto. Dapprima l’uso tradizionale vigeva solo presso i becchini; ora, essi vanno con altri cittadini. I becchini, prima che giunga la prima sera della novena, vanno, nel giorno, per le vie del paese gridando “Chi è devota della Madonna, femmine?”. A questo appello, ogni donnicciuola, come ogni buon popolano, chiama il becchino, il quale dietro compenso di quattro soldi per tutte le nove sere, tinge col rosso di sinopia sullo stipite o sul sommo della porta di chi lo chiama un “S”, segno dell'”abbonamento” del divoto. Giunta quella sera, ognuno dei becchini va in giro presso “gli abbonati”, e con voce lugubre, sì che non sembri voglia solennizzare il tanto giulivo avvenimento, canticchia dietro la porta, la “Santa Allegrizza”. E così di seguito per tutte le sere. Alcun tempo dopo, sorsero allo stesso scopo delle compagnie di circa sei individui. Di questi, due o tre sono forniti di chitarra o di mandolino, gli altri fanno ufficio di cantantori. Si mettono in corona e, con voce alta, cantano e suonano, all’unisono; i curiosi stanno intorno a loro. Coteste compagnie sono per lo più composte da contadini, ma talora anche più numerose». 

Sicuramente quindi, la poesia di autore ignoto, si è tramandata oralmente di padre in figlio già due secoli fa. Musicanti e cantori la eseguivano per le strade senza la necessità di prove prima del debutto o di precisi spartiti musicali perché conosciuta mnemonicamente. A Molfetta si conserva ancora un manoscritto del 1884 il cui testo era quello cantato all’epoca. Ma le origini sarebbero ancora più antiche della fine del XVIII secolo; alcuni ritengono che Sant’Alfonso Maria de Liguori abbia diffuso con le sue predicazioni tale canto, altri che potrebbe derivare da una lauda latina molfettese del XII secolo, altri ancora pensano che la sua origine sia da ricercarsi in quelle canzoni che i giullari componevano ed eseguivano per le strade delle antiche città medioevali.

Il più importante documento che ci attesta la natura del testo e della melodia, è un manoscritto del Maestro Francesco Peruzzi, depositato presso la Biblioteca comunale. In esso l’autore, oltre che sulle tradizioni locali, si sofferma proprio sulla Santa Allegrezza di cui riporta testo e due melodie: una del 1880 composta dal maestro Giuseppe Peruzzi e altra più antica.

Le quindici strofe narrano la verginità di Maria, la nascita di Gesù bambino, la gioia degli angeli e dei pastori, la cattiveria di Erode, la visita dei Tre Magi e infine la crocifissione del Salvatore. Suggestiva per la sua semplicità e per i profondi significati, nel 1963 venne eseguita in Vaticano davanti a Paolo VI e riscosse ammirazione e applausi di migliaia di pellegrini d’ogni paese. Da allora, infatti, viene eseguita anche in territori limitrofi, giungendo addirittura a Napoli.

Fonti: – “Maurizio Campo, La Santa Allegrezza. Canti natalizi molfettesi “di Marco I. de Santis in “Studi Molfettesi” v. 2.

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