Viaggio dall’Irlanda alla Terra Santa lungo la Linea Sacra di San Michele

Una linea immaginaria lunga quattromila chilometri unisce sette santuari lontanissimi tra loro eppure perfettamente allineati. Sono tutti luoghi sacri dedicati al culto di  San Michele. Solo una casualità?

Andrea di Pietro Ferrucci detto Andrea da Fiesole, San Michele (1497 circa, marmo bianco di Carrara. altezza 125 cm). Monte Sant’Angelo, Santuario di San Michele, Chiesa grotta, “Altare delle Impronte”

Vi sono luoghi dove ogni piccolo frammento di storia, ogni leggenda, ogni operosa attività sorprendentemente coincidono con altri. Capita sovente che soffiando sulla polvere depositata dai secoli,  emergano chiare le stesse identiche origini. Intraprenderemo adesso un lungo “viaggio del bene” (definiamolo un attimo così) che vede coinvolti territori a primo acchito molto differenti tra loro per conformazione geografica e “storia locale”, dove si trovano luoghi di alto simbolismo e spiritualità, sette santuari dedicati all’Arcangelo Michele uniti però, da una linea retta di oltre 4mila chilometri: la Linea Sacra di San Michele.

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Skellig Michael (Repubblica Irlandese), St Michael’s Mount (Cornovaglia – Inghilterra sud-occidentale), Mont Saint Michel (Normandia – Francia), la Sacra di San Michele (Val di Susa – Piemonte), San Michele (Monte Sant’Angelo – Puglia), Monastero di San Michele (Isola di Simi – Grecia, Dodecaneso meridionale). A vederli su una cartina geografica, questi santuari, risultano posizionati su una unica linea retta, la Linea Sacra di San Michele. Le leggende locali di questi luoghi sacri stabiliscono che fu proprio San Michele, vincitore nella lotta contro il Drago, a richiederne l’edificazione ed istituire così il proprio culto. Al di là delle leggende, anche i più scettici, però, potrebbero sorprendersi per il mistero che sembra avvolgere questo allineamento perfetto dei sette templi micaelici. Infatti, se dovessimo vedere “la questione”, sotto il profilo scientifico-geografico, difficilmente potremmo dare delle spiegazioni che trovano nella scienza, un significato plausibile. Ci sono però altri misteri nel mistero, altri aspetti inspiegabili in questa storia. Le sorprese saranno tante durante questo lungo viaggio tra miti, leggende e strane coincidenze rimaste a tutt’oggi ancora inspiegabili.

Ancora più sorprendente è il fatto che tre luoghi importanti di questa linea, ovvero Mont Saint Michel in Francia, la Sacra di San Michele in val di Susa e il santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano, si trovano alla medesima distanza. Questa ulteriore “coincidenza”, per gli scettici ovviamente, è stata interpretata da alcuni come un ammonimento dell’Arcangelo ai fedeli di Cristo a mantenersi nella rettitudine e a non abbandonare mai il rispetto rigoroso delle leggi imposte da Dio. Anche questa è una leggenda, ovviamente. Resta, in ogni caso, un ulteriore fatto inspiegabile. Potrebbe anche essere che quei luoghi di culto siano stati costruiti in punti della terra a forte concentrazione energetica, disposti sulle famose Lay Lines. Ma questa è tutta un’altra storia.

Non è ancora tutto. Un’altra caratteristica sorprendente di questa linea è il suo perfetto allineamento con il tramonto del Sole nel giorno del Solstizio d’Estate, giorno che è sempre stato ritenuto importante per riti e connessioni energetiche con la Natura. Il perfetto allineamento della Linea Sacra con il tramonto del Sole, nel giorno del Solstizio d’Estate, il più lungo dell’anno, quello in cui la luce del sole conta più ore, riducendo di conseguenza il raggio d’azione delle tenebre ha un forte valore simbolico, proprio per il culto micaelico. Lo scetticismo, già adesso, prima di intraprendere questo intrigante viaggio nel mistero, è legittimo; anche questo ulteriore mistero, potrebbe essere considerato una coincidenza. Secondo noi, un’ulteriore incredibile coincidenza.

Adesso, però, è arrivato il momento di intraprendere questo lungo viaggio, dall’Irlanda alla Terra Santa, lungo la Linea Sacra di San Michele. Durante questo “viaggio”, però, faremo qualche “sosta”. Ci soffermeremo su ulteriori storie nella storia, su ulteriori misteri nel mistero del culto dell’Arcangelo Guerriero, simbolo sublime della perenne lotta del male contro il bene.

Skellig Michael in Irlanda

Monastero in Skellig Michael, un sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco nella Contea di Kerry, Irlanda

Esiste un luogo misterioso dedicato all’Arcangelo Michele, posto all’estremo nord di questa linea, ancora più a nord di Saint Michael’s Mount in Cornovaglia, si chiama Skellig Michael «Un incredibile, impossibile, folle posto, che ancora induce devoti a fare “stazioni” ad ogni gradino, a strisciare in antri bui ad altitudini impensabili, e a baciare “pietre di panico” che si gettano a 700 piedi d’altezza sull’Atlantico» (George Bernard Shaw, 18 settembre 1910).

Skellig Michael è un’isola dell’Irlanda, raggiungibile soltanto con il mare calmo, vi sorge uno straordinario quanto poco accessibile monastero di origine cristiana. L’origine esatta del monastero non è chiara, anche se i materiali ritrovati durante gli scavi archeologici fanno ipotizzare la presenza dei monaci almeno dalla metà del VI secolo costruito nel VI secolo.

Skellig Michael (dal gaelico irlandese: Sceilig Mhichíl, che significa “roccia di Michele”), è l’isolotto più grande delle due isole Skellig e deve il suo nome all’Arcangelo Michele. Situato a circa 17 km dalle coste del Kerry, Irlanda, è un luogo di notevole importanza sia a livello paesaggistico e naturalistico, ma soprattutto per la presenza sulla sua sommità di un monastero che sopravvisse ai predoni vichinga nell’823, che razziarono il monastero e uccisero buona parte dei monaci, con una successiva espansione culminata con la costruzione della cappella centrale all’inizio del II millennio. Considerando la posizione isolata, non sorprende che le Skellig, in particolare Skellig Michael, siano state preda degli invasori vichinghi.

Ma non fu tutto negativo: una leggenda racconta di un eremita dell’isola che battezzò un certo Olav Trygvasson nel 993. L’uomo del nord sarebbe successivamente diventato re di Norvegia.

Monastero di Skelling-Irlanda

La storia delle isole affonda le sue origini nelle prime vicende del monachesimo d’Irlanda, il movimento religioso più attivo del Medioevo insulare, che vide la figura mitica di Saint Fionán scegliere lo sperone roccioso di Skellig Michael come un luogo perfetto per creare una comunità eremitica lontano dalle distrazioni del mondo.

Gli storici raccontano che i monaci che costruirono il sito monastico salivano ogni giorno più di 600 scalini per raggiungere l’acqua da cui pescare il cibo per la colazione. I monaci condussero quest’esistenza estrema e ascetica in questo luogo fino al XIII secolo, quando si ritiene che il peggioramento del clima li indusse a trasferirsi sulla terraferma a Ballinskelligs.

La leggenda vuole che l’Arcangelo, sia apparso su quest’isola a San Patrizio patrono del Paese per aiutarlo a liberare l’Irlanda da demoniache presenze. I primi abitanti dell’isola, in cerca di serenità, spiritualità e silenzio, realizzarono il monastero, un grandioso complesso che svetta sulla sommità del luogo.

Il monastero è formato da una serie di edifici dalla caratteristica forma a cupola, costruiti con pietre impilate a secco che evocano in modo perfetto lo stile di vita spartano dei monaci che per secoli vissero in questo luogo. Oltre alle strutture comuni, alle celle dei monaci e alle tracce del monastero quello che più colpisce è la sensazione magica che aleggia in quest’isola, dove la presenza umana si è quasi fusa con lo straordinario ambiente naturale. Non è un caso che proprio qui sono state girate le scende di Star Wars che rapprendano il luogo dove il cavaliere Jedi Luke Skywalker si è rifugiato per ristabilire un rapporto con la Forza, l’energia invisibile che mantiene unita tutta la galassia.

Saint Michael’s Mount in Cornovaglia

St. Michael’s Mount e la “causeway”, la strada rialzata che consente di raggiungere l’isola con la bassa marea.

Proseguendo a sud, per questa straordinaria direttrice, lungo la costa meridionale della Cornovaglia, nel Sud dell’Inghilterra, c’è St. Michael’s Mount (Monte di San Michele), un’isoletta situata davanti al paese di Marazion, a poca distanza da Stonehenge. La sua particolarità sta nel fatto che si tratta di una cosiddetta isola tidale, che durante la bassa marea è collegata alla terraferma, come Mont Saint-Michel, altra celebre isola tidale che si trova in Normandia. In effetti le due località sono storicamente collegate, visto che nel XI secolo l’isola della Cornovaglia fu donata da re Edoardo il Confessore all’ordine monastico dell’isola francese. Con il tempo diventò una delle mete di pellegrinaggi più importanti del medioevo anche in Gran Bretagna. St. Michael’s Mont era una tappa fondamentale lungo il cammino di pellegrinaggio che dall’Irlanda e dalla Scozia portava in Spagna a Santiago di Compostela, dove nel IX secolo sarebbe stata trovata la tomba dell’apostolo Giacomo.

Ancora oggi St. Michael’s Mount è meta di pellegrini che percorrono la causeway, un lastricato in pietra e sabbia che collega l’isola alla terraferma percorribile solo alcune ore al giorno in corrispondenza della bassa marea. Al calar del sole, l’Atlantico riprende possesso dei suoi spazi, l’acqua risale e sommerge il passaggio pedonale.

Anche per St. Michael’s Mount, si tramanda la leggenda, ripetuta per il celebre isolotto francese di Mont Saint Michel, che l’Arcangelo Michele sia apparso (nel 495 pare) a un gruppo di pescatori, chiedendo loro di innalzare una chiesa, a onore del Salvatore e suo. Cosa che venne puntualmente fatta.

Nel Cinquecento, dopo la rottura con la Chiesa cattolica, il re Enrico VIII confiscò i monasteri del paese. Ciò accadde anche per l’abbazia benedettina sull’isola di St. Michael’s Mount trasformata in postazione militare. Durante il regno di sua figlia Elisabetta I la casa regnante inglese, ridotta in serie difficoltà finanziarie dalle guerre con la Spagna, dovette vendere molti ex conventi incamerati, e anche St. Michael’s Mont subì questa sorte. La famosa abbazia benedettina entrò così, nel 1659, in possesso di Jonh St. Aubuyn, e da quel momento venne usata come residenza della famiglia, il cui capo porta il titolo di Lord Saint Levan. Gli Aubuyn fecero del monastero, già trasformato in fortificazione, una dimora signorile, sede della famiglia. Gli ultimi lavori di un certo rilievo ebbero luogo verso la fine dell’Ottocento. Nel 1954 Lord Aubuyn trasferì l’isola a un ente statale, il National Trust, a condizione che alla sua famiglia fosse garantito diritto d’alloggio nell’edificio per mille anni.

Mont Saint-Michel in Normandia

Mont Saint-Michel, nella regione della Bassa Normandia, al confine con la Bretagna, uno dei luoghi più interessanti ed affascinanti al mondo, conosciuto come “la Meraviglia dell’Occidente” per la sua straordinaria bellezza.

Proseguendo per la sacra direttrice mecaelica, dopo Skellig Michael e St Michael’s Mount, in allineamento pressoché perfetto, troviamo nel nordest della Francia, nella regione della Bassa Normandia, al confine con la Bretagna, l’isola incantata di Mont Saint Michel, luogo storico che sfida il tempo tra i più interessanti ed affascinanti al mondo.

Mont Saint-Michel, su cui sorge la celebre abbazia medioevale, uno dei tre maggiori luoghi di culto europei intitolati a San Michele Arcangelo, insieme alla Sacra di San Michele in val di Susa, e al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano,  è un isolotto isolotto tidale. Come Saint Michael’s Mount in Cornovaglia, anche Mont Saint-Michel con l’alta marea, è completamente isolata dalla terraferma e diventa una vera isola.

Una piramide sul mare” lo definì lo scrittore Victor Hugo, il quale descrisse in modo spettacolare il fenomeno delle maree che si può ammirare in determinati momenti della giornata. Con la bassa marea l’acqua si ritira di 25 km e dodici ore dopo il mare ritorna con grande rapidità sotto forma di un’onda alta mezzo metro che, secondo la descrizione di Hugo, “avanza rapida quanto un cavallo al galoppo“. Queste maree della baia hanno molto contribuito nei tempi antichi all’inespugnabilità del monte, rendendolo accessibile solo al minimo della bassa marea (via terra) o al massimo dell’alta marea (via mare).

Il nome originario del santuario costruito in onore di San Michele Arcangelo, era Mons Sancti Michaeli in periculo mari (in latino) o Mont Saint-Michel au péril de la mer (in francese, in italiano, letteralmente, “Monte San Michele al pericolo del mare”).

Mont Saint Michel: Statua di San Michele Arcangelo nella Chiesa

Secondo la leggenda l’Arcangelo Michele apparve tre volte nel 709 al vescovo di Avranches, Sant’Auberto, chiedendo che gli fosse costruita una chiesa sulla roccia. Il vescovo ignorò tuttavia per due volte la richiesta finché San Michele non gli bruciò il cranio con un foro rotondo provocato dal tocco del suo dito, lasciandolo tuttavia in vita. Il cranio di Sant’Auberto con il foro è conservato nella cattedrale di Avranches. Aubert, vescovo di Avranches costruì e consacrò una prima chiesa il 16 ottobre 709. Questa datazione però non è certa.

Secondo il catalogo dei vescovi di Avranches, Auberto avrebbe occupato quella sede prima di Rahentrannus, vissuto verso la fine del sec. VII. Quanto tempo prima allora sarebbe avvenuta l’apparizione ad Auberto dell’Arcangelo? Molti hanno pensato durante il regno di un Childeberto e più precisamente, Childeberto III (695-711). Il Duchesne, invece, per accordare la notizia col posto occupato da Auberto nel catalogo, propende per Childeberto II (m. 595). In tal caso, Auberto sarebbe vissuto nel sec. VI e non VII e a questo secolo sarebbe anche da retrocedere la costruzione della prima chiesa in onore dell’arcangelo sul monte Tomba, detto poi Monte San Michele, che fonti più recenti fissano invece al 16 ottobre 709.

Ulteriori incertezze vi sono per quel che concerne le vicende della vita del santo. Auberto, notissimo per la sua carità, sarebbe stato eletto vescovo di Avranches per acclamazione. Amante della solitudine, egli si recava spesso a pregare sul monte Tomba e qui appunto un giorno, addormentatosi durante la preghiera, si sentì chiamare per tre volte dall’arcangelo Michele che gli chiese l’erezione di una cappella in suo onore lì sulla cima del monte. Venne quindi sistemato un primo oratorio in una grotta e la precedente denominazione di Mont-Tombe fu sostituita con quella già citata di Mont Saint Michel au péril de la Mer.

Auberto inviò messaggeri in Puglia affinché portassero dal Monte Gargano (allora il più celebre santuario dell’arcangelo, sito però in un contesto bizantino per quanto non estraneo ai longobardi italomeridionali) una reliquia micaelica (giunse, in effetti, un frammento del manto dell’arcangelo). È stata notata l’analogia molto stretta fra il testo dell’Apparitio Sancti Michaelis e quello della leggenda di fondazione di Mont-Saint-Michel detto «au péril de la mer»: ancora alla fine del Medioevo il luogo veniva denominato «Mont Gargan».

Mont-Saint-Michel, chiesa pre-romanica di Notre-Dame-sous-Terre, navata sud. In seguito alla creazione del Ducato di Normandia nel 911, l’Abbazia di Mont-Saint-Michel divenne un luogo strategico. Nel 966, il duca di Normandia Riccardo I stabilì lì una comunità di monaci benedettini. Questi ultimi seguono la regola di San Benedetto. Rimarranno sul Monte per più di otto secoli, durante i quali l’abbazia continuerà ad evolversi.

Nell’870 abbiamo la prima voce di testimonianza sicura d’un pellegrinaggio a Mont-Saint-Michel e alla tomba di Sant’Auberto: ce l’ha procurato il monaco Bernardo, celebre autore d’un Itinerarium. All’epoca, il monte era rifugio delle genti circostanti contro le incursioni dei pirati nordeuropei che avrebbero più tardi insediato la regione e le avrebbero conferito il suo nome moderno. Infatti nel 911 il norvegese Rollone, capo d’una banda d’incursori danesi, decise d’insediarsi in quell’area e divenne – per concessione del re di Francia – dux Normannorum e anche protettore del santuario. Da allora Michele divenne santo nazionale dei normanni. A Mont-Saint-Michel il duca Guglielmo il Conquistatore volle che fosse affiliato il monastero di Saint Michael in Cornovaglia.

Nell’XI secolo gli avventurieri normanni che scendevano in Italia per cercarvi la fortuna non avrebbero dimenticato né la Val di Susa (la ‘Sacra’ o ‘Sagra’ di San Michele fu fondata secondo un’incerta tradizione nel 966 o nel 999-1002, mentre oggi si propende piuttosto per il periodo 983-987 collegandola alla volontà di un nobile pellegrino alverniate, Ugo di Motboissier, e di suo figlio Maurizio) né il Monte Gargano: sarebbe nata così una forte tradizione di «pellegrinaggio micaelico», una Via sancti Michaelistra Normandia e Puglia attraverso le Alpi occidentali. Sulla linea dei tre grandi santuari del Monte Gargano, di San Michele «della Chiusa» (la Sacra) e di Mont-Saint-Michel si costituì l’asse portante del pellegrinaggio micaelico di età medievale.Incrociato con i pellegrinaggi romano (e gerosolimitano) e compostelano, e quindi con quelli mariani ed altri «minori», quest’asse ha costituito fra VIII e XIII secolo la colonna vertebrale dell’autocoscienza identitaria dell’Europa cristiana.

La costruzione dell’abbazia inizierà nel 966, per opera dei benedettini, su richiesta del Duca di Normandia. I lavori si protrarranno per quasi otto secoli, con continuo perfezionamento (ed ingrandimento) di quella che venne, già nel XIII secolo, considerata una vera e propria meraviglia, riassumente in sé più stili contemporaneamente, dall’arte romana a quella gotica. La chiesa preromanica di Mont Saint Michel risale all’anno mille, mentre nel XII secolo furono ampliati gli edifici conventuali posti ad ovest e a sud. Infine, sempre nel XII secolo, un’importante donazione del re francese Filippo Augusto diede il via alla costruzione del complesso in stile gotico. La guerra dei Cent’Anni (XIV e XV secolo) rese poi urgente la protezione dell’abbazia. Ciò avvenne attraverso la costruzione di un complesso di edifici militari. Durante la Rivoluzione francese e poi ancora sotto Napoleone, l’abbazia venne convertita a prigione, per essere poi, nel 1874, affidata alla Soprintendenza alla Belle Arti. Nell’occasione del suo millenario, una comunità monastica tornò sull’isola a rinsaldare la sua storia di centro spirituale. Nel 1987 l’ultimo intervento di rilievo: la posa di una gigantesca statua di San Michele sulla guglia del campanile, ennesimo sforzo di costruzione verticale laddove lo spazio è limitato dal mare. La Piramide dell’Arcangelo, come viene chiamata dagli autoctoni, resta in ogni caso, ancora oggi, una meravigliosa fusione tra opera umana e opera della natura.

La Sacra di San Michele in Piemonte

L’abbazia di San Michele della Chiusa, che si eleva fiera e maestosa sul monte Pirchiriano, vetta di quasi mille metri d’altezza che sovrasta la Val di Susa. I suoi mille anni di vita li dimostra tutti, attraverso una carica di irresistibile fascino e di profonda suggestione. I suoi mille anni di vita li dimostra tutti, attraverso una carica di irresistibile fascino e di profonda suggestione.

La Via Michelita o la Via Angelica è un percorso che molti pellegrini percorrevano nel Medioevo. Unisce le Basiliche di Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele in Piemonte e Monte Sant’Angelo in Puglia. La leggenda vuole che questa via fu tracciata dalla spada di San Michele durante la lotta contro il demonio. Si creò così una fenditura ancora presente ma invisibile che collega le tre basiliche dedicate a San Michele. Si dice che la Sacra di San Michele sia esattamente a metà della Via Michelita, a 1000 chilometri da Mont Saint Michel e a 1000 chilometri da Monte Sant’Angelo in Puglia. Secondo alcune teorie, il punto esatto, sarebbe situato su una piccola piastrella del pavimento che si troverebbe sulla sinistra della chiesa, subito dopo l’entrata. Ovviamente sono teorie non verificate che si intersecano, come abbiamo già visto con le leggende che per certi versi accomunano questi santuari dedicati al culto dell’Arcangelo Michele.

Monumento simbolo della Regione Piemonte e luogo che ha ispirato lo scrittore Umberto Eco per il best-seller Il nome della Rosa, la Sacra di San Michele (l’Arcangelo), o più propriamente l’Abbazia di San Michele della Chiusa, chiamata anche Sagra di San Michele nella parlata popolare locale, è un’antichissima abbazia costruita tra il 983 e il 987 sulla cima del monte Pirchiriano, a 40 km da Torino. Dall’alto dei suoi torrioni si possono ammirare il capoluogo piemontese e un  panorama mozzafiato della Val di Susa.  All’interno della Chiesa principale della Sacra, risalente al XII secolo, sono sepolti membri della famiglia reale di Casa Savoia.

Alla sua costruzione contribuirono misteri e episodi inspiegabili secondo le leggende. Anche qui, come abbiamo già visto nelle tappe precedenti del nostro incredibile viaggio e come vedremo per gli altri santuari dedicati al culto micaelico lungo la linea angelica, indipendentemente dalla leggende, e nel pieno rispetto di tutti gli scetticismi, non possiamo però evitare di mettere in risalto alcune incredibili (e inspiegabili) coincidenze: è su dirupi o simili che si trovano tutti i santuari in onore dell’Arcangelo, spesso incastonati nella roccia. E infatti, il santuario garganico di San Michele Arcangelo, meta di pellegrinaggio da oltre quindici secoli, principale centro di culto dell’Arcangelo dell’intero Occidente, è modello tipologico per tutti gli altri: sorge sulla sommità di Monte Sant’Angelo, a 800 metri di altezza, quasi sospeso tra cielo e terra, con vista sul golfo di Manfredonia ed è un sacro complesso rupestre che nasconde la sua maestosità all’interno e nelle parti sotterranee della montagna sacra come la gran parte dei luoghi sacri dedicati al culto dell’Arcangelo anche non attraversati dalla linea sacra. 

Sacra di San Michele. Ripido scalone per raggiungere la chiesa dal piano d’ingresso. In passato lungo questo scalone erano custoditi gli scheletri di alcuni monaci, da cui il nome di Scalone dei Morti.

La Sacra di San Michele nasce e cresce con la sua storia e le sue strutture attorno al culto di San Michele che approdò in Val di Susa nei secoli V o VI.

Le origini di questo santuario sono incerte, anche a causa delle numerose leggende che si raccontano riguardo a questo monastero. Tutte concordano sull’apparizione di uno o più angeli.

A volerne la costruzione fu il vescovo Annuncone. Decise di edificare su questa vetta, che alcuni studiosi ritengono sia stata occupata, per la sua eccezionale posizione strategica, fin dall’epoca romana, un tempietto dedicato a San Michele, l’Arcangelo particolarmente venerato durante il Medioevo, epoca violenta e ricolma di guerre, che vedeva nell’Arcangelo, capo dell’esercito degli angeli – uno dei fautori della sconfitta degli angeli ribelli che rinnegarono Dio – come un punto di riferimento molto apprezzato dalle persone che vissero in un periodo storico particolarmente difficile e incerto. Secondo la leggenda fu lo stesso San Michele a chiedere al vescovo di edificare l’abbazia.

Si racconta anche che San Giovanni Vincenzo, nel X secolo, volesse costruire un’abbazia sul Monte Caprasio. Cominciò così a costruire, ma i lavori non andavano mai avanti: ogni giorno posavano le prime pietre della costruzione e ogni notte queste sparivano. Così San Giovanni decise di rimanere sveglio per svelare il mistero. A sorpresa, scoprì che non si trattava di ladri di materiale, ma di angeli. I messaggeri celesti comparivano con il buio e trasportavano le pietre sul monte Pirchiriano. Fu così che San Giovanni decise di costruire l’abbazia dove sorge ancora adesso. Da quel giorno infatti non ci furono più impedimenti “divini” e il santuario fu ultimato. Secondo un’altra versione, invece, a Giovanni, detto Vincenzo, vescovo di origine ravennate, eremita sul monte detto “Capraio”, situato a fronte del monte “Pirchiriano”, pare sia apparso San Michele che lo sollecitava a erigere una chiesa in suo onore. Giovanni decise di edificarla in legno data la difficoltà di reperire le pietre ma la legna raccolta con molta fatica gli veniva continuamente rubata dai ladroni che infestavano i boschi. La storia continuò finché non gli apparve il Santo che gli indicò il dirupo più alto del monte Pirchiriano, dove avrebbe trovato la legna rubata, per edificare la chiesa.

Alcuni anni dopo il possidente Ugo di Montboissier nobile dell’Alvernia per ottenere perdono dei suoi peccati, trasformò da chiesuccia in un gran tempio in pietra. In periodi seguenti fu ampliata e rinnovata sino a divenire un imponente bastione dalle mura fortificate, erette su di un’enorme rupe dalle pareti scoscese. La sua posizione dominante, in un alternarsi d’epoche e vicende, indicherebbe che sulla sommità del bastione si fosse originato un osservatorio, da cui scrutare i movimenti sulla frequentatissima via detta per l’appunto dai fedeli: Via Michelita, o Via Angelica o comunque degli Angeli, o chissà forse la via Francigena. Nei secoli le mura fortificate della Sacra, conobbero momenti di gloria, di grande splendore, ma anche d’instabilità, di precarietà, sino alla decadenza. Ed è proprio in questo periodo che il Re piemontese Carlo Alberto affidò la direzione della Basilica al sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, il quale, dopo aver riportato il monumento nel suo antico splendore, lo affidò ai suoi discepoli: i Rosminiani.

L’origine del culto micaelico

Gaspar Hovic, Cacciata degli angeli ribelli, 1596. Molfetta, Chiesa di San Bernardino.

L’origine del culto di San Michele è antichissima. Fin nella religione dell’antico Iran che riconosceva come Dio supremo Ahura Mazda si credeva nell’esistenza di Yazata o “Venerabili”: Dei – Angeli che fungevano da tramite tra Dio e gli uomini. Nel Paganesimo (termine che in questo contesto indica tutte le religioni diverse dal cristianesimo) la parola “Angelo” assumeva principalmente il significato di “Messaggero”. Nel Vecchio Testamento, “Mal’ak” è l’angelo-messaggero che prende parte nell’esercito di Jahvè. Nelle Sacre Scritture Michele, in ebraico Mika’el che significa “chi come Dio”, è a difesa dei diritti dell’Eterno e uno dei capi della Schiera Celeste. E’ definito per la prima volta “Arcangelo” nell’epistola di Giuda dove viene descritto in lotta contro il Diavolo per difendere il corpo di Mosè.

Nel Vangelo di Giovanni guarisce gli infermi per mezzo dell’acqua. Agli inizi della diffusione del culto in Oriente, Michele è identificato come patrono di acque curative, medico e psicopompo. Il suo culto si impianta in aree devozionali pagane dedicate ad Asclepio, Calcante e Podalirio.

Inizialmente il culto si diffonde in Frigia ed è interessante sottolineare come esso soppianti il culto di Attis, antica divinità della vegetazione dalle sembianze di giovane pastore legata al culto della Grande Madre. Le qualità e l’iconografia dell’Arcangelo Michele lo avvicinano a Thot, Hermes, Mercurio, Asclepio.

In occidente il suo culto si diffonde tramite la cultura bizantina responsabile del primo grande sito devozionale italiano intitolato a San Michele: Monte Sant Angelo in Puglia, sorto nel V sec. d.C. Il suo nome significa”Chi come Dio” (ebraico מיכאל) : davanti alla rivolta dell’angelo ribelle Satana, pugnò senza paura per sconfiggere lui e tutti quelli che credevano di essere all’altezza del Signore. In perenne lotta con il “fratello decaduto”, secondo la Chiesa la vera battaglia decisiva si avrà alla fine dei tempi, nei giorni dell’Apocalisse.

Nella Bibbia, è ricordato nel Libro di Daniele (12,1) “Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.” Nel libro dell’’Apocalisse, Michele è il principe degli angeli fedeli a Dio, combatte e scaccia il drago (Satana) e gli angeli ribelli. San Michele, il grande Arcangelo, racchiude in sé quelli che erano nel mondo antico i poteri di varie divinità, ovvero appare come l’insieme di diverse funzioni simboliche che sono evidenziate nelle sue rappresentazioni, diffuse dal medioevo fino al diciannovesimo secolo. Viene chiamato nell’offertorio della messa dei defunti; è individuato come il combattente del Dragone, ovvero del demonio, rappresentando la vittoria contro le tenebrose forze del male; e ancora il Signore della giustizia divina che separa il bene dal male (gli attributi della spada e della bilancia); ed è Asse del Mondo (il simbolo della lancia).

San Michele è venerato dalla tradizione cristiana come difensore del popolo cristiano, e, rappresentato come guerriero, è chiamato in difesa contro i nemici della Chiesa. Dall’oriente il culto dell’Arcangelo si diffuse e si sviluppò nelle regioni mediterranee in particolare in Italia, dove giunse assieme all’espansione del cristianesimo. L’imperatore Costantino I, a partire dal 313, gli tributò una particolare devozione, fino a dedicargli il Micheleion, un imponente santuario fatto costruire a Costantinopoli. La prima basilica dedicata all’Arcangelo in Occidente è quella che sorgeva su di un’altura al VII miglio della via Salaria, ritrovata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma nel 1996; il giorno della sua dedica, officiata con ogni probabilità da un Papa prima del 450, ovvero il 29 Settembre, è rimasto fino a oggi quello in cui tutto il mondo cattolico lo festeggia unitamente all’8 di Maggio.

Il Santuario di Monte Sant’Angelo

«Terribilis est locus iste». L’ingresso della “celeste” basilica di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo sul promontorio del Gargano è sovrastato da un’iscrizione che riassume in sé l’enorme valore, non esclusivamente spirituale, dell’antico santuario. “Terribilis est locus iste” cioè «questo luogo suscita deferenza».

Nel V secolo sul promontorio del Gargano, in Puglia, sorse il più antico e più famoso luogo di culto micaelico dell’Occidente, il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo. Molto presto questo Santuario divenne un luogo importante per la diffusione del culto micaelico in Europa e in Italia e rappresentò il modello ideale per tutti i santuari angelici successivi, che furono appunto eretti “ad instar” di quello garganico: le cime dei monti, i colli, i luoghi elevati, le grotte profonde furono dalle origini considerate come la sede più appropriata per il culto degli angeli e di Michele in particolare.

Il santuario di San Michele Arcangelo si trova in Puglia, a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia. Si tratta di un santuario molto antico, costruito intorno al 490, anno della prima apparizione, sul Gargano, dell’arcangelo Michele, in un’area geografica soggetta al dominio dei Longobardi.

La Grotta dell’Arcangelo è una caverna davvero impressionante. La irregolare volta rocciosa riverbera misteriose venature originate nel passato da un costante stillicidio di acque piovane eliminato dai lavori di restauro alle tettoie della grotta. Il visitatore può scoprire da sé gli angoli più caratteristici e avvertire in sé i sentimenti più disparati. Si rimane incantati per l’orrido naturale della grotta e vivamente impressionati per l’arte che vi si può ammirare. Ogni epoca in questo luogo davvero incredibile vi ha lasciato la sua impronta. E’ un succedersi di arte bizantina, romanica, gotica, moresca e ravennate fino alla gaiezza del rinascimento. La grotta perdette in altezza e profondità dopo le costruzioni Angioine (fine sec. XIII) che seppellirono quelle più antiche normanne, longobarde e paleocristiane.

La grotta non fu mai consacrata secondo le leggi della Chiesa perché lo era già stata per ministero angelico (terza apparizione), ma nei secoli dai Pontefici fu dichiarata “Basilica”, “Celeste Basilica”.

Miracolo del toro

I racconti dell’Apparitio

Come pochi altri luoghi nella storia dell’umanità la celebre spelonca garganica è caratterizzata da un continuo e costante utilizzo ai fini liturgici che l’ha resa luogo dalla straordinaria stratificazione storica e culturale. L’iscrizione «Terribilis est locus iste» posta all’ingresso della Celeste Basilica di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo sul promontorio del Gargano (minacciosa solo ad una approssimata traduzione), riassume in sé l’enorme valore, non esclusivamente spirituale, dell’antico santuario; avverte come il santuario garganico sia un luogo che suscita attenzione e riguardo, un riguardo non solo devozionale ma anche civico e storico. Muoversi infatti negli spazi del secolare luogo di culto e scendere nella sacra grotta, secondo la tradizione consacrata direttamente dall’arcangelo, vuol dire immergersi in uno spazio dove la storia si innesta nella fede e nelle credenze per poi manifestarsi nelle più innumerevoli forme.

È impossibile infatti studiare questo insolito santuario senza iniziare districare il lungo filo degli eventi e delle testimonianze storico-artistiche partendo proprio dalle sue complesse origini a metà tra storia e leggenda. Se infatti possiamo affermare che storicamente il culto micaelico dovette approdare sul promontorio pugliese dall’Oriente, e in particolare da Costantinopoli dove era già ampiamente diffuso nel IV secolo, dal punto di vista della tradizione l’inizio della venerazione angelica è da collocarsi tra il 490 e il 493 quando il milite celeste apparve per ben tre volte.

La storia del santuario e la ricostruzione del culto si basano principalmente sul Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano (noto anche con il nome di Apparitio), un singolare testo anonimo redatto tra la fine del sec. VIII e gli inizi del IX. Il fondamentale manoscritto, in parte utilizzato come fonte anche da Jacopo da Varazze nella stesura della successiva Legenda Aurea, suddivide il racconto in tre parti avviando la narrazione dal celebre episodio del toro.

Gli inizi del culto michaelico sul Gargano sono fatti risalire nell’Apparitio, al V-VI secolo, con l’arrivo del culto e la consacrazione della basilica fatta personalmente dall’Angelo, con le guarigioni operate da San Michele per mezzo dell’acqua, “la Stilla”, che veniva raccolta dallo stillicidio nella grotta. Il culto poi si consolida (dalla seconda metà del sec. VII), allorquando i Longobardi di Benevento, sconfitti nel 650 i Bizantini, occuparono il santuario e unificarono le due diocesi di Benevento e di Siponto.

Apparizione di San Michele al Vescovo di Siponto

L’episodio del toro e la prima apparizione dell’Arcangelo

Così narra il Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano (Apparitio): «Vi era in questa città un uomo molto ricco di nome Gargano che, a seguito delle sue vicende, diede il nome al monte. Mentre i suoi armenti pascolavano qua e là per i fianchi di scosceso monte, avvenne che un toro, che disprezzava la vicinanza degli altri animali ed era solito andarsene da solo, al ritorno dal gregge, non era tornato nella stalla. Il padrone, riunito un gran numero di  servi, cercandolo in tutti i luoghi meno accessibili, lo trova, infine, sulla sommità del monte, dinanzi ad una grotta. Mosso dall’ira perché il toro pascolava da solo, prese l’arco, cercò di colpirlo con una freccia avvelenata. Questa ritorta dal soffio del vento, colpì lo stesso che l’aveva lanciata».

Turbato dall’evento, egli si recò dal vescovo di Siponto che, dopo aver ascoltato il racconto della straordinaria avventura, ordinò tre giorni di preghiere e digiuno. Allo scadere del terzo giorno, al vescovo Maiorano apparve l’Arcangelo Michele che così gli parlò: «Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini. Un miracolo ha colpito l’uomo con la sua stessa freccia, affinché fosse chiaro che tutto ciò avviene per mia volontà Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va’, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano».

Gli studiosi si soffermano molto su questo episodio rilevando in sostanza come esso, al di là degli elementi leggendari e di colore, sottolinei il passaggio della regione garganica dal paganesimo, rappresentato dall’irascibile e potente signore chiamato Gargano, al cristianesimo in cui la montagna diventa il luogo privilegiato della presenza di Dio e dei suoi angeli.

Tavola con San Michele Arcangelo e storie della sua leggenda attribuita al pittore Coppo di Marcovaldo, databile agli anni che vanno dal 1250 al 1260 circa. È una delle opere di spicco della collezione permanente del Museo di San Casciano Val di Pesa, in provincia di Firenze, nonché una delle pietre miliari della pittura fiorentina del Duecento prima dell’avvento di Cimabue. Nel dossale è raffigurato San Michele Arcangelo in quanto è il santo titolare della chiesa dalla quale l’opera proviene: si tratta della chiesa di Sant’Angelo a Vico l’Abate, nel comune di San Casciano. L’arcangelo è rappresentato al centro del dossale, seduto in trono, con una lunga tunica secondo il rito orientale. Nelle mani tiene il globo crocifero e la croce. Le storie, tratte dalla Legenda Aurea, sono disposte ai lati (3 per ciascuno); altro segno della tradizione orientale è la lettura di tipo bustrofedico, partendo da destra a sinistra: – Investitura di Dio a san Michele (in alto a destra); – Costituzione dell’Ordine di Dio in paradiso (in alto a sinistra); – Vittoria su Lucifero (scena centrale, a sinistra): Miracolo del toro (scena centrale a destra); – Apparizione dell’Arcangelo al Vescovo di Siponto (in basso a destra); – San Gregorio Papa ordina la costruzione di una chiesa dedicata agli angeli nel mausoleo di Adriano (in basso a sinistra).

La battaglia contro i pagani e la seconda apparizione

La seconda apparizione di San Michele, detta “della Vittoria”, viene tradizionalmente datata nell’anno 492. Gli studiosi, tuttavia, riferiscono l’episodio alla battaglia tra Bizantini e Longobardi del 662 – 663: i greci attaccarono il Santuario garganico, in difesa del quale accorse Grimoaldo I, duca di Benevento. «[…] Ed ecco che la stessa notte, che precedeva il giorno della battaglia, apparve in visione al vescovo (Lorenzo Maiorano) san Michele, dice che le preghiere sono state esaudite, promette di essere presente e ammonisce di dare battaglia ai nemici all’ora quarta del giorno». (Apparitio)

La battaglia, accompagnata da terremoti, folgori e saette, si concluse con il successo di Grimoaldo. La vittoria riportata fu descritta come voluta proprio da San Michele: essa sarebbe avvenuta l’8 maggio, divenuto in seguito il dies festus dell’Angelo sul Gargano. Inoltre, sancì ufficialmente il legame tra il culto dell’Angelo e il popolo longobardo. Gli scampati dal ferro dei sipontini e dalle saette infuocate del monte Gargano, si convertirono al cristianesimo. Quando i vincitori, tornati al loro paese, vollero salire alla grotta dell’Arcangelo per ringraziarlo, notarono stupefatti un’orma umana, piccola, come di giovinetto, impressa sulla pietra presso la porta settentrionale della grotta.

L’episodio della Vittoria, narrato dall’Apparitio, diventa più chiaro se raffrontato con altre fonti storiche. Siamo alla metà del sec. VII, intorno al 650. A quell’epoca la Puglia e buona parte dell’Italia Meridionale erano ancora amministrate dai Bizantini. I Longobardi, attestati saldamente nel ducato di Benevento, compivano frequenti scorrerie nei territori bizantini e miravano decisamente alla conquista della Puglia settentrionale. Questa situazione non poteva essere chiaramente tollerata dai Bizantini, allarmati dalla crescente attività espansionistica longobarda. Con una punta di malignità lo storico longobardo Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, afferma che i Bizantini assalirono il Santuario dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo attirati dai tesori che custodiva. In effetti i Bizantini volevano riaffermare con forza la loro autorità sulle fertili pianure della Puglia settentrionale a cui i Longobardi, stretti fra la alture del Sannio, guardavano con grande interesse. Non ci riuscirono e da questo momento la storia del santuario di San Michele sul Gargano s’intrecciò strettamente con quella dei Longobardi delle regioni meridionali, ma anche con la storia delle popolazioni longobarde dell’Italia settentrionale e centrale.

A cominciare dalla vittoria dei Longobardi sui Bizantini, si affievolì il particolare orientamento della devozione popolare a S. Michele, venerato come l’angelo della sanità. La figura di S. Michele venne caratterizzata principalmente nel senso che più chiaramente emerge dalla Bibbia e soprattutto dal libro dell’Apocalisse, quella del Principe delle milizie celesti, difensore dei diritti di Dio. San Michele divenne, insieme a San Giovanni Battista, il santo nazionale dei Longobardi. La sua immagine fu spesso impressa sulle monete.

Cuniperto quando nel 671 ascese al trono di Pavia fece dipingere l’immagine di San Michele sugli scudi dei guerrieri. Paolo Diacono riferisce che il duca del Friuli Alahis si rifiutò di affrontare in duello personale Cuniperto perché sullo scudo di questi era raffigurata l’immagine di San Michele su cui aveva giurato fedeltà al re.

Piccola statua di San Michele situata nel luogo dellapparizione, dietro l’altare della grotta.

La Dedicazione e la terza apparizione

La terza apparizione viene denominata anche “episodio della Dedicazione”. «Intanto i Sipontini rimanevano in dubbio su cosa fare del luogo e se si dovesse entrare nella chiesa e consacrarla». (Apparitio).

Tuttavia, nell’anno 493, dopo la vittoria, il vescovo Maiorano decise di obbedire al Celeste Protettore e di consacrare al culto la Spelonca in segno di riconoscenza, confortato anche dal parere positivo espresso da papa Gelasio I. «Ma la notte, l’angelo del Signore, Michele, apparve al vescovo di Siponto in visione e disse: “Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io che l’ho fondata, io stesso l’ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo, posto sotto la mia protezione”». (Apparitio)

Allora il vescovo Lorenzo, insieme ad altri sette vescovi pugliesi, in processione con il popolo ed il clero Sipontino, si avviò verso il luogo sacro. Durante il cammino si verificò un prodigio: alcune aquile, con le loro ali spiegate, ripararono i vescovi dai raggi del sole. Giunti alla Grotta, vi trovarono eretto un rozzo altare, coperto di un pallio vermiglio e sormontato da una Croce. Inoltre, come racconta la leggenda, nella roccia trovarono impressa l’orma del piede di San Michele. Il Santo Vescovo Maiorano vi offrì con immensa gioia il primo Divin Sacramento. Era il 29 settembre. La Grotta stessa, come unico luogo non consacrato da mani d’uomo, ha ricevuto nei secoli il titolo di “Celeste Basilica”.

Da questo momento il santuario garganico fu uno dei centri religiosi più frequentati di tutta Europa. La costruzione della primitiva galleria di ingresso del Santuario è da attribuire all’interesse che i Longobardi subito ebbero per San Michele. Fino al sec. VII il santuario era costituito dalla semplice grotta che si apriva ben alta, in cima a un’aspra salita, immediatamente sotto vetta della montagna. I pellegrini che arrivavano dalla valle Carbonara dovevano percorrere gli ultimi 200 metri arrampicandosi sulle rocce per arrivare alla Grotta. I Longobardi, già nel secolo VII addolcirono la salita costruendo alla base del tratto finale una galleria che serviva come vestibolo da cui si saliva al piano superiore dove un porticato chiudeva la Grotta a settentrione.

Il culto, tanto al sud che al nord della penisola italica, promosso dai duchi e dai principi della dinastia longobarda, favorì le visite dei pellegrini al santuario, la cui presenza tra la fine del VI e la metà del IX secolo è attestata da circa duecento iscrizioni. Incise o tracciate a sgraffio sulle strutture all’interno della grotta, tra le iscrizioni, caso unico ed eccezionale, sono presenti diversi nomi di donne longobarde. Tre in particolare sono le iscrizioni monumentali di apparato longobarde: la più importante è quella attribuita al duca Romualdo I che, dopo l’ascesa al trono di Pavia del padre Grimoaldo I, resse il ducato beneventano fino al 687

Quello fra i Longobardi e San Michele fu da subito un rapporto privilegiato, nell’Arcangelo i longobardi identificarono l’eroe di Dio, capo delle schiere angeliche, difensore dei diritti di Dio. Essi contribuirono come nessun altro popolo alla diffusione del culto di San Michele. La loro devozione a San Michele favorì in maniera determinante il passaggio dei Longobardi dall’arianesimo al cattolicesimo. Il santuario garganico fu assunto ben presto dai Longobardi a loro santuario nazionale. In una iscrizione, Romualdo I, che resse il ducato beneventano fino al 687, dopo l’ascesa al trono di Pavia del padre Grimoaldo I, attesta che “Spinto dalla devozione, per ringraziamento a Dio e al Santo Arcangelo, il duca Romualdo volle che si realizzasse (la costruzione del santuario) e ne fornì i mezzi. Gaidemari fece”.

Un’altra iscrizione ricorda la visita al santuario di Romualdo II e di sua moglie Gunperga avvenuta nei primi anni del sec. VIII. con cui il duca Romualdo invoca Dio perché assista nell’esercizio del potere il figlio, il futuro Gisulfo II che regnò dal 742 al 751.

Il culto di San Michele, contribuì a far si che il processo di integrazione dei Longobardi con la gente latina fosse più facilmente attuato. Infatti è chiaro come il culto michaelico, di origine orientale, si affermò sul Gargano, proprio alla vigilia della caduta dell’impero romano (476), creando così una nuova civiltà sorta fra l’incontro di popolazioni italiche, germaniche, celtiche, galliche e longobarde. Il culto micaelico ha quindi contribuito ad accelerare il processo di cristianizzazione e a far diventare il Regno Longobardo un’entità nazionale. In questo quadro di ricerca delle nostre radici storiche, religiose e culturali una parte non secondaria, nella formazione della civiltà occidentale, spetta, quindi, al Gargano, con il santuario micaelico e la nascita e lo sviluppo del suo pellegrinaggio. In questi ultimi anni, infatti, le indagini storico-religiose, oltre che agiografiche, archeologiche ed epigrafiche, hanno messo in evidenza il fatto che grazie ai Longobardi, esista una vasta rete di insediamenti micaelici in Italia e in Europa, con relativi itinerari e “vie sacre” legate al culto micaelico. L’importanza del santo viene evidenziata anche da Dante nella Divina Commedia, nel girone dell’Inferno, quando insieme a Virgilio, sentono un vento impetuoso “per gli avversi ardori”… Era proprio San Michele, che dal Paradiso scende all’Inferno per redarguire i dannati.

Lo studioso protestante tedesco Ferdinand Gregorovius (1821-1891) definì il santuario micaelico di Monte Sant’Angelo, sul Gargano, “la metropoli del culto dell’Arcangelo in Occidente”: tale definizione trova puntale riscontro in una storia che dura da più di quindici secoli e ha contribuito e creare un ricco patrimonio di fede, arte e cultura e a fare del promontorio garganico uno dei luoghi privilegiati della religiosità e della devozione popolare dell’Europa medievale. Il primo percorso dall’Oriente verso il santuario garganico fu quello fatto, durante la guerra greco-gotica (535-553). Durante i secoli si sono poi create delle linee, o vie di pellegrinaggio, da parte dei popoli nordici e non solo franchi, come erroneamente potrebbe sembrare dal nome della strada Franchigena. Una di queste linee energetiche è la “Linea di San Michele”; si tratta di una linea coincidente con la Via Langobardorum e che collega St. Michael’s Mount (Cornovaglia) con Mont Saint Michel (Francia), la Sacra di San Michele in Val di Susa e il Santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano. Infatti, congiungendo questo punti sulla carta geografica “magicamente” appare una linea retta che congiunge i santuari dall’Inghilterra alla Puglia, arrivando esattamente a Monte Sant’Angelo.

I primi pellegrini solevano incidere, oltre a brevi frasi di invocazione, piccole croci, dalle cui forme oggi gli studiosi possono risalire alla nazionalità e alla professione di chi le ha incise. Dall’anno 1000 invalse l’uso di incidere il contorno della mano e del piede.

Accanto alle iscrizioni riguardanti personaggi famosi, si leggono nel Santuario di Monte Sant’Angelo molte centinaia di iscrizioni che ricordano il passaggio di pellegrini di ogni stirpe e ceto sociale. L’analisi dei nomi, denota una netta prevalenza di popolazioni longobarde. Vi sono tuttavia anche iscrizioni incise nell’antico alfabeto runico che tramandano nomi dell’area britannica. Si moltiplicarono nei secoli successivi i santuari dedicati all’Arcangelo, soprattutto lungo le grandi vie di comunicazione battute dai pellegrini. Molto spesso, nella costruzione di questi santuari veniva murata, tra le opere di fondazione, una pietra proveniente dalla Grotta di Monte Sant’Angelo, ed elargita, come speciale segno di benevolenza, dagli stessi Papi. La pratica, tuttora in uso, è antichissima essendo stata regolata addirittura in una disposizione di papa Gregorio II (715-731). Tra i personaggi più importanti che visitarono il santuario si annoverano diversi Papi. L’ultimo Papa pellegrino alla Grotta dell’Arcangelo è stato Giovanni Paolo II, nel maggio del 1987. La tradizione assegna a Gelasio I, sotto il cui pontificato, alla fine del sec. V, si ebbero le apparizioni di San Michele sul Gargano, l’inizio della serie dei papi pellegrini. Certamente pellegrino è stato Leone IX nel 1049, nello stesso anno della sua elevazione al soglio pontificio.

Nel 1093 era pellegrino sul Gargano Urbano II, il banditore della prima Crociata. Con molta probabilità anche il pontefice Callisto II fu pellegrino alla Grotta di San Michele in occasione del concilio di Troia dell’anno 1120. Il papa Alessandro III, l’intrepido oppositore di Federico Barbarossa e protettore dei Comuni Lombardi, fu pellegrino nel gennaio 1177 quando consacrò la chiesa dell’Abbazia di Pulsano, nei pressi di Monte Sant’Angelo. Anche Gregorio X, proveniente dalla Palestina, dove era stato sorpreso dalla elezione a papa, salì all’inizio del 1272 alla sacra Grotta, prima di recarsi a Roma dove fu consacrato.

Richard de Saint-Non, Vue de Monte Sant-Angelo. Prise de l’entrée de l’Eglise et le jour de la fête du Saint (1781-1786; acquaforte in rame, 200 x 260 mm; Varie sedi)

Il 24 maggio maggio del 1987 anche San Giovanni Paolo II si recò in pellegrinaggio alla grotta dell’apparizione. “A questo luogo, come già fecero in passato tanti miei Predecessori nella cattedra di Pietro, sono venuto anch’io per godere un istante dell’atmosfera propria di questo Santuario, fatta di silenzio, di preghiera e di penitenza – disse rivolgendosi ai tanti cittadini che lo salutavano -; sono venuto per venerare ed invocare l’Arcangelo Michele, perché protegga e difenda la Santa Chiesa, in un momento in cui è difficile rendere un’autentica testimonianza cristiana senza compromessi e senza accomodamenti”.

“Quis ut Deus?”. Papa Wojtyla, in quell’occasione, descrisse così la figura dell’Arcangelo: “Per quanto frammentarie, le notizie della Rivelazione sulla personalità ed il ruolo di San Michele sono molto eloquenti. Egli è l’Arcangelo che rivendica i diritti inalienabili di Dio. È uno dei principi del Cielo, eletto alla custodia del Popolo di Dio, da cui uscirà il Salvatore. Ora il nuovo popolo di Dio è la Chiesa. Ecco la ragione per cui Essa lo considera come proprio protettore e sostenitore in tutte le sue lotte per la difesa e la diffusione del regno di Dio sulla terra. È vero che ‘le porte degli inferi non prevarranno’, secondo l’assicurazione del Signore, ma questo non significa che siamo esenti dalle prove e dalle battaglie contro le insidie del maligno”.

Molti altri sono i papi che la tradizione dice essere stati pellegrini alla Grotta dell’Arcangelo. Anche molti regnanti si recarono pellegrini alla Basilica Angelica.

Nella oscura Grotta del Santuario garganico di San Michele Arcangelo, da cinquecento anni signoreggia, all’interno di un’urna d’argento e di cristallo di Boemia, una statua in marmo di Carrara di grande bellezza, che appare al visitatore nel suo sfavillante contrasto con l’ambiente circostante, poggiata sopra un masso roccioso coperto di lastre di marmo, il cosiddetto «altare delle Impronte». Michele vi è raffigurato in vesti da guerriero, così come vuole la tradizione iconografica occidentale delineatasi a partire almeno dal periodo longobardo. Impugna nella destra il brando da cavaliere e nella sinistra tiene in catene l’eterno nemico dell’umanità. Benché non realizzata di nobile metallo, la statua fu subito apprezzata sia dalla committenza sia dal popolo devoto.

Sopra si accennava ai molti personaggi delle case regnanti longobarde. Il più importante e noto imperatore pellegrino fu Ottone III di Sassonia. Costui il 29 aprile 998 aveva fatto decapitare sugli spalti di Castel S. Angelo a Roma Giovanni, detto Nomentano, della celebre famiglia romana dei Crescenzi, che si fregiava del titolo di Senator omnium romanorum, nel tentativo di porre fine allo stato di endemica confusione in cui erano cadute Roma e la sede Apostolica per la presenza ingombrante e sovvertitrice di alcune grandi famiglie, tra cui i Crescenzi. Il saeculum obscurum, in cui gli accadimenti ebbero luogo, era fecondo di vicende tenebrose e confuse, di tradimenti, di ricatti per cui niente era quel che sembrava. Ma Ottone III era troppo buon cristiano per non sentire il peso del suo delitto. Dopo lunghi colloqui con i suoi direttori spirituali, San Romualdo fondatore dell’eremo di Camaldoli e San Nilo fondatore del monastero di Grottaferrata, su imposizione di San Romualdo, nel 999 iniziò il suo viaggio penitenziale verso la Grotta dell’Arcangelo per espiare il suo peccato. Il viaggio da Roma al Gargano fu come un bagno ristoratore per le contrade attraversate. Dovunque l’imperatore penitente suscitò un rinnovamento spirituale; tutti i cronisti dell’epoca sottolinearono il ritorno alle fresche sorgenti della spiritualità che il viaggio imperiale aveva suscitato non solo fra le classi aristocratiche, ma anche fra il popolo. L’imperatore restò diversi giorni a Monte Sant’Angelo, e di ritorno, trascorse altri quaranta giorni in stretta penitenza nel monastero di Sant’Apollinare in Classe, presso Ravenna, dove il suo amico San Romualdo era Abate.

Anche Enrico II, detto il Santo e venerato come tale dalla Chiesa Cattolica, successore di Ottone III, si recò come pellegrino a Monte Sant’Angelo. Il piissimo Imperatore era molto devoto dell’Arcangelo Michele, a lui aveva dedicato una grande Badia benedettina fondata presso Bamberga; l’incoronazione a Imperatore era avvenuta, inoltre, nella chiesa di San Michele a Pavia. Il pellegrinaggio di Enrico II avvenne nella primavera del 1022 e fu tramandato alla storia da un episodio straordinario. L’imperatore volle trascorrere una notte nella Mistica Grotta. Durante la preghiera ebbe la visione di innumerevoli schiere angeliche, che cantavano attorno all’altare e vi celebravano il culto mentre Dio stesso, per mezzo di un angelo, gli faceva baciare la Bibbia. Tra i pellegrini illustri dobbiamo annoverare anche la contessa Matilde di Canossa, e poi una moltitudine di re e regine di tutte le case regnanti che si sono succedute a Napoli, in Italia e in tutta Europa fino ai Borboni di Napoli e ai principi di Casa Savoia.

Tra gli ospiti illustri che passarono per il Santuario non mancano Santi e Papi. Fra i Santi pellegrini sono da ricordare, oltre ai Santi Guglielmo e Pellegrino, Guglielmo da Vercelli, Giovanni da Matera, anche una innumerevole schiera di Santi attirati non solo dalla figura dell’Arcangelo ma anche dal misticismo dei luoghi, dalla loro solitudine raffinata e piena di presenze.

Si ricorda che San Tommaso d’Aquino, prima di trasferirsi a Parigi, mentre era professore di Teologia a Napoli, avendo accettato dal Re Carlo I d’Angiò di tenere pubbliche lezioni a Foggia in cambio di un’oncia d’oro, tra una lezione e l’altra si recò al santuario dell’Arcangelo. Un altro santo domenicano pellegrino fu San Vincenzo Ferreri invitato dalla lontana Spagna a predicare in Puglia per ricondurre alla fede cattolica gli eretici Valdesi. Furono pellegrini anche Sant’Antonino da Firenze, San Camillo De Lellis e tanti altri.

Nel 1216 vi si recò San Francesco d’Assisi, in viaggio verso la Terra Santa. Nel Medio Evo, infatti, Monte Sant’Angelo era una tappa obbligatoria per i cavalieri e i pellegrini che partivano alla volta di Gerusalemme per le crociate. Ma il poverello d’Assisi, giunto sul Gargano per cercare “il perdono angelico“, ovvero l’indulgenza plenaria, non osò entrarvi sentendosi indegno di accedervi; si fermò in preghiera all’ingresso. Baciò la terra e su di una pietra incise un segno di croce a forma di Tau. Nella Bibbia, questo è il sigillo impresso sulla fronte delle persone destinate al paradiso. Un gesto simbolico, con il quale Francesco intendeva dire che questo tempio è stato prescelto dagli Angeli per la salvezza di tutti coloro che lo avrebbero visitato.

Padre Pio, che viveva nel convento di San Giovanni Rotondo, altro paese del Gargano, era solito dire: “Prima di venire qui da me andate a Monte Sant’Angelo e invocate la protezione dell’Arcangelo Michele”.

Non tutti i visitatori del santuario furono pellegrini. Come tutte le strade, anche quelle dei pellegrini spesso sono battute da briganti e grassatori. Greci, Longobardi e Saraceni spesse volte considerarono il Santuario come una sorta di cassaforte ove attingere risorse e ricchezze. Fra gli episodi più truci sono da ricordare la spoliazione del normanno Guglielmo I il Malo accaduta nel 1160. Altro episodio degno di memoria fu la pesante imposizione di consegnare i vasi sacri fatta da Federico II di Svevia nel 1229. Ma anche sovrani di confessata fede cattolica non esitarono a raccogliere preziosi frutti nella vigna del Signore. Così Alfonso I di Aragona, nel 1442 asportò dalla Celeste Basilica la statua d’oro per farne monete, dal suo nome chiamate Alfonsine. Gesto analogo fu quello di Ferdinando I d’Aragona il quale nel 1461 fece man bassa di tutti gli oggetti preziosi della Basilica e della stessa statua d’argento. utto fu trasformato in monete sonanti le quali, ornate dell’effigie dell’Arcangelo, furono chiamate Coronati dell’Angelo.

Colonna di San Michele Arcangelo

L’ultima grande ruberia fu fatta il 2 marzo 1799 dai soldati francesi del generale Duhesme. Misero a sacco l’intera città; il solo santuario fruttò tanta roba preziosa da caricarne 24 muli. Nulla sfuggì all’accurata caccia della soldataglia. Fu ripetuto così, nel 1799, il gesto sacrilego già compiuto nel 1528 da altri francesi non meno rapaci appartenenti alle soldatesche di Francesco I.

La quarta apparizione

Era l’anno 1656 ed in tutta l’Italia meridionale infieriva una terribile pestilenza. L’Arcivescovo Alfonso Puccinelli, non trovando alcun ostacolo umano da contrapporre all’avanzata dell’epidemia, si rivolse all’Arcangelo Michele con preghiere e digiuni.

Il Pastore pensò addirittura di forzare la volontà divina lasciando nelle mani della statua di San Michele una supplica scritta a nome di tutta la Città. Ed ecco, sul far dell’alba del 22 Settembre, mentre pregava in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant’Angelo, sentì come un terremoto e poi San Michele gli apparve in uno splendore abbagliante e gli ordinò di benedire i sassi della sua grotta scolpendo su di essi il segno della croce e le lettere M.A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste. Il vescovo fece come gli era stato detto.

Ben presto non solo la Città fu liberata dalla peste, secondo la promessa dell’Arcangelo, ma tutti coloro che tali pietre richiedevano, dovunque si trovassero.

A perpetuo ricordo del prodigio e per eterna gratitudine, l’Arcivescovo fece innalzare un monumento a San Michele nella piazza della Città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone di quella stanza nella quale si vuole che avvenne l’apparizione, con la seguente iscrizione in latino: “Al Principe degli Angeli Vincitore della Peste Patrono e Custode monumento di eterna gratitudine Alfonso Puccinelli 1656”.

Il Monastero di San Michele Arcangelo di Panormitis

Monastero sull’Isola di Simi. La santa icona di San Michele Arcangelo è del 1792. Unica nel suo genere. A grandezza d’uomo ricoperta da un’armatura d’argento. I pellegrini e i turisti si mettono in fila per porgere il proprio rispetto a San Michele Arcangelo. Nella tradizione popolare si usa portare con sé una scopa e pulire lo spazio davanti l’icona come metafora per cancellare i propri peccati.

L’incredibile linea retta che ha unito tutti i santuari sino al suo punto più importante, il Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, certamente non si conclude nel punto dove tutto si è originato, cioè su una spelonca del Gargano.

Posto sulla Linea Sacra di San Michele che passa da Saint Michael’s Mount, Mont Saint Michel, Sacra di San Michele e Monte sant’Angelo, c’è anche il Monastero sull’Isola di Simi. Si trova nella parte meridionale dell’isola di Simi, attaccata quasi alla Turchia, nel Dodecaneso meridionale, in un’insenatura stupenda del mare ed è, anche questo, dedicato a Michele Arcangelo. Fu fondato nel secolo XII e ricostruito nelle attuali forme nel XVIII secolo, meta di pellegrinaggi di tutte le popolazioni dell’Egeo.

Nella chiesa vi è la famosa icona dell’Arcangelo Michele di Panormitis, che non è solo considerato il santo patrono dell’isola, ma anche il protettore dei marinai dell’intero Dodecanneso.

Una delle leggende sull’icona dice che questa apparve miracolosamente, fu rimossa e riapparve miracolosamente sempre allo stesso posto.

Secondo un’altra leggenda locale, quando si dorme per la prima volta in questa isola, l’Arcangelo viene di certo in sogno e ti parla; al mattino non devi far altro che raccontare il sogno al pope che con pazienza ti ascolta in riva al mare e ti spiega l’invito che ti ha rivolto l’Arcangelo nella notte.

Ma è bene fare un po’ di storia dei santuari michaelici d’Oriente. Dopo la distruzione di Chonae in Turchia – luogo vicinissimo a Colossi, oggi Ak Su, ove risiedeva un’antica comunità cristiana che ebbe le cure dirette dell’apostolo Paolo il quale ebbe la sollecitudine pastorale di scrivere un’apposita Lettera apostolica per dimostrare la supremazia di Cristo sugli Angeli, il cui culto com’è noto pervenne all’Ebraismo dalla cultura siro-babilonese – la devozione popolare michaelica orientale fu trasferita nell’isola di Simi. Nel IV secolo la città di Colossi fu sede vescovile, ma nell’VIII gli abitanti si trasferirono a Chonae oggi Honat e le pietre di Colossi servirono per la costruzione del nuovo villaggio di Chonae ove nell’alto Medioevo vi fu il fiorente santuario dedicato all’Arcangelo Michele il quale proprio qui fece un grande miracolo, deviando il corso di un fiume che divenne una cisterna: la somiglianza alla “stilla” garganica è evidentissima.

La festa del miracolo di Chonae è ancora oggi nel calendario della Chiesa Orientale fissata al 6 settembre mentre la Sinassi dei santi Arcangeli guidati da Michele è celebrata nel calendario liturgico l’8 novembre.

In un graffito dei resti dell’antica chiesa di Chonae in modo chiaro è riportata la preghiera di un devoto che si rivolge all’Arcangelo; è infatti scritto in greco “o Archistratega, abbi pietà del tuo servo e anche della madre sua”. La scritta è posta intorno a una Croce con calotta e triangoli all’estremità, poggiante su un globo, il mondo, che a sua volta appoggia su scale: lapalissiana anche in questo caso è la similitudine con i graffiti giudeo-cristiani del santuario micaelico.

Veduta del monastero di San Michele di Panormitis

Ma ritorniamo al santuario micaelico di Simi: qui, in questo estremo lembo greco dell’Egeo, l’orgoglio della tradizione orientale ed ortodossa è vivissimo, anzi si palpa e si percepisce un po’ ovunque. Si legge in una iscrizione greca posta ben visivamente all’interno del santuario e fattaci ben notare dal pope Demosthènes che “il culto di san Michele da questo lembo d’Oriente è partito, dopo essere qui giunto da Chonae, verso l’Occidente, giungendo in special modo al monte Gargano, al mont saint Michel di Normandia, al st Michael’s Mount di Cornovaglia”. Interessante molto è l’iconografia singolarissima di san Michele di Panormìtis: l’Archistratega celeste con la destra impugna la spada-scimitarra ma con la sinistra ben elevata tiene ben stretta l’anima in fasce di un fedele defunto che ha strappato dalle fauci di satana che è sconfitto ai suoi piedi, proprio come Cristo tiene ben alzata in mano l’anima della santa Madre nell’icona della Koimesis, dormizione della Vergine.

Dunque, la rappresentazione iconografica di Panormitis così come le tante altre immagini dell’Arcangelo Michele, a grandi dimensioni, poste sulle pareti delle chiese di tutto il mondo cristiano è una vera gigantografia che occupa quasi tutta l’altezza del piano iconografico. Si tratta di una grandiosa icona, misura circa tre metri di altezza, rispondente all’antico canone iconografico in risposta agli insegnamenti del presbitero Xeniàias che sottolineava: Questo canone grandioso e solenne sottolinea molto bene l’intenzione esistente nei secoli passati di rispondere al detto contrario degli iconomachi, dipingendo un Arcangelo dalle dimensioni imponenti.

Affreschi dell’Arcangelo di dimensioni notevoli si trovano anche in Italia, come quello dipinto da Pietro Cavallini nel 1200 nella basilica di santa Cecilia in Trastevere a Roma, e poi quelli bizantini della basilica monastica di sant’Angelo in Formis a Capua e della chiesa romanica di santa Maria Maggiore in Monte Sant’Angelo, in cui l’iconografia intende ben richiamare e sottolineare la validità dell’iconografia attraverso la dimensione notevole degli affreschi.

La bellezza del sito ove è posto il santuario dell’Arcangelo è davvero unica: il mare e la vicina costa turca costituiscono un impareggiabile panorama che aiuta ad elevare lo spirito alle altezze celesti. Le fabbriche del santuario sono coloratissime, com’è costumanza del resto in tutte le isole dell’Egeo riservata ai fabbricati destinati al culto e agli edifici pubblici.

Il Monte Carmelo, la tappa conclusiva di un incredibile viaggio

Linea Sacra di San Michele

Il nostro incredibile viaggio, lungo l’antica via di pellegrinaggio dei santuari disposti in un’unica direttrice misteriosa e alla ricerca di storie, racconti, miti e leggende sulla la figura di un Arcangelo protettore e guerriero, sta per concludersi. La Via Michaelica, l’antichissima rotta di pellegrinaggio che toccò i principali paesi dell’Europa antica, si è rivelata qualcosa di più di un semplice viaggio che, seguendo la linea micaelica, ha raggiunto tutti i santuari dedicati al culto dell’Arcangelo Michele; si è rivelata un viaggio interiore nel mistero che affascina e stimola interrogativi.

Oggi quasi del tutto dimenticata se non per i tre importanti e monumentali monasteri che ancora raccontano le antiche gesta e peregrinazioni di migliaia di fedeli, la Via Michaelica resta un enigma storico unico nel suo genere per la precisione, non tanto geometrica, quanto spaziale, che ha consentito di costruire questi eremi del divino in luoghi suggestivi, in certi casi inaccessibili, ma pur sempre in perfetto allineamento.

Suggestione e mistero sembrano pervadere le chiese e le abbazie che portano il suo nome, non solo per il fascino e la bellezza che sembrano promanare, ma anche perché collegate da una linea ideale che prese il nome di Via Sancti Michaelis, una via di pellegrinaggio tra le più antiche e battute nel passato. A fianco dei tre santuari noti dedicati all’Arcangelo e costituenti i tre centri fondanti della Via Michaelica, sono stati identificati altri punti posti in asse con la stessa immaginaria diagonale di San Michele. Una strana correlazione con i tre principali santuari europei in cui viene venerata la figura dell’Arcangelo; una curiosa linea che sembrava tagliare in due l’Europa.

Altri santuari ampliano però tale diagonale. Siamo in direzione di Haifa, nell’alta Galilea. Quella stessa città, Haifa, che viene citata nel Talmud, come una piccola città contadina. Stiamo completando il viaggio tra le località della “Linea di San Michele”. Il Monte Carmelo, è la tappa finale di questo lungo viaggio. Se i sassi del Carmelo potessero parlare, racconterebbero storie di miracoli, vittorie e sconfitte, descriverebbero il passaggio di profeti e pagani, principi e mendicanti.

All’estremo nord del monte Carmelo, si trova l’attuale monastero e Santuario Stella Maris

Il Carmelo – che significa “giardino di Dio” – s’innalza in Samaria, a trenta chilometri da Nazareth ed è uno dei luoghi più affascinanti della Palestina.  Ad esempio, quando lo sposo del Cantico dei Cantici vuole esprimere la bellezza della sua sposa,  le parla in questo modo: “Caput tuum ut Carmelus”, “la tua testa è bella come il Carmelo”. E per approfondire questo sito, prendiamo spunto dalla Parola. Già nel libro dei Re, nel Vecchio Testamento, capiamo subito che ci troviamo di fronte a un luogo sicuramente assai “particolare”. E’ proprio qui, assieme ad altri importanti nomi di siti religiosi, che la storia dell’Uomo si è da sempre intrecciata con quella di Dio, in maniera tangibile. “Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo.  Elia si accostò a tutto il popolo e disse: «Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!». Il popolo non gli rispose nulla. Elia aggiunse al popolo: «Sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Dateci due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Io preparerò l’altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Voi invocherete il nome del vostro dio e io invocherò quello del Signore. La divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio!” (1Re 20-23).

Ma non possiamo citare solo questo episodio. Sempre al profeta Elia, è legato questo monte. Primo profeta d’Israele, proprio dimorando qui, e più precisamente in una grotta, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando la pioggia e salvando Israele dalla siccità. Tutti i mistici cristiani e gli esegeti, hanno visto in questa “poetica” immagine, la Vergine Maria, recante in sé il Verbo divino. Su questa montagna, ci “parla” Maria. E ci “parla” anche quel segno legato a lei, “metafora” di fiorente fecondità per il mondo. Ed è sulla grotta del profeta Elia che si erge il “Monastero carmelitano della Stella Maris”.

La chiesa di Stella Maris è l’edificio più importante del monastero i cui interni sono rivestiti di un marmo bianco molto brillante e ben disposto, al punto che i visitatori a volte pensano che le pareti siano dipinte. Nella cupola sono rappresentati episodi biblici, tra i quali spicca il profeta Elia che sale al cielo in un carro di fuoco. La statua della Vergine Maria collocata al centro dell’altare maggiore, che poggia su una base realizzata in cedro del Libano, è molto venerata dai cristiani del luogo. Sotto l’altare si apre la grotta di Elia nella quale, secondo l’Antico Testamento, il profeta visse per qualche tempo. Al suo interno si trova un altare tagliato nella roccia, sul quale è collocata una piccola statua in bronzo del profeta.

La prima fondazione del monastero risale all’epoca bizantina, quando divenne luogo di culto per l’Arcangelo Michele da parte di alcuni eremiti che avevano trovato dimora su questa imponente altura. Col trascorrere del tempo, quegli, assunsero il nome di “Frati della Beata Vergine del Monte Carmelo”. Da questo momento in poi, la storia di questo luogo, s’intreccerà con la storia di quello che diverrà ufficialmente l’“Ordine carmelitano”. Infatti, tra il 1206 e il 1214, il priore, di cui si conosce solo l’iniziale del nome, chiede ad Alberto, il patriarca latino di Gerusalemme, di approvare per gli eremiti, una regola di vita. Sarà proprio grazie a lui, che otterranno di essere accolti ufficialmente come comunità nell’ambito della chiesa locale.

Sarà il preludio al riconoscimento come ordine religioso, che avverrà solo nel XIII secolo. Un libro di pellegrini, scritto verso sempre il 1220, testimonia così la loro presenza: “Sul monte Carmelo vi è un luogo delizioso, in cui vivono eremiti latini, che si chiamano frati del Carmelo. Vi è una piccola chiesa dedicata alla Beata Vergine”.  Era il 1220 circa. Dieci anni dopo, nel 1230, il superiore dei carmelitani, San Simone Stock, testimoniò di aver avuto una visione della Madonna con il famoso Scapolare del Carmelo.

Un posto che, certamente, abbiamo compreso, non passa – certo – inosservato. Ed è davvero significativo che questo luogo così “mariano”, per i diversi motivi che abbiamo sopracitato, sia lo stesso che chiude la sequela di luoghi legati alla figura dell’Arcangelo Michele. Quasi come fosse a conferma dello stretto legame fra le due “importanti figure”. Unite, loro, da sempre – a partire da quella stessa immagine dell’Apocalisse da cui questo “immaginario viaggio” ha preso vita – per la lotta contro il male.

Il Monte Carmelo, ritenuto sacro dagli ebrei, dai cristiani, dai musulmani e dai bahá’í (fedeli del bahaismo, religione monoteistica che sottolinea l’unità spirituale di tutta l’umanità, nata in Iran durante la metà del XIX secolo, i cui membri seguono gli insegnamenti di Bahá’u’lláh, profeta e fondatore), si trova al crocevia della storia dell’umanità sin da quando se ne ha la memoria. Scheletri di Cromagnon sono stati rinvenuti in caverne scavate nella pietra calcarea. Pitagora si fermò in queste colline durante il viaggio verso l’Egitto; Il profeta Elia ebbe la sua dimora in due caverne del Carmelo; si dice che la famiglia di Gesù abbia sostato qui durante il ritorno dall’Egitto e che i crociati fecero un pellegrinaggio a questo sacro monte nel 1150 d.C. I Drusi si stabilirono qui nel sedicesimo secolo, provenienti dal Libano; nel 1868 i Templari Tedeschi costruirono ai piedi del monte una colonia con case in mattoni massicci, e nel 1891 Bahá’u’lláh piantò la sua tenda alla base della montagna, facendone un luogo sacro per i bahá’í del mondo.

La natura sacra del Carmelo viene annotata fin dalla metà del secondo millennio a.C. in un elenco di luoghi conquistati dal Re Egiziano Thothmes III. La montagna viene indicata come “il sacro promontorio”. Nel quarto secolo a.C. il filosofo neo-platonico Jamblicus descrisse il Carmelo come “sacro al di sopra di tutti i monti con l’accesso vietato ai volgari”. Infatti, tutte le campagne militari della storia della Siria e dell’Egitto hanno considerato questa montagna un luogo da evitare e da oltrepassare rapidamente oltre, sia andando che tornando dalle battaglie.

Il Monte Carmelo, è la tappa finale di questo affascinate viaggio ideale percorso seguendo la Linea Sacra di San Michele, ma forse l’inizio di tutta la storia… E’ proprio qui, assieme ad altri importanti nomi di siti religiosi, che la storia dell’Uomo si è da sempre intrecciata con quella di Dio, in maniera tangibile.

“Celeste” basilica di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo sul promontorio del Gargano. Grotta dell’Arcangelo. La grotta di San Michele Arcangelo, una delle più famose della città, fu dapprima luogo di culto dei Longobardi, poi della chiesa latina, quindi destinazione di pellegrini e crociati. La sua importanza accrebbe poi grazie a Federico II di Svevia, che ne determinò una ancora più intensa affluenza di sovrani e credenti. E’ proprio questa grotta una delle principali ragioni per cui Monte Sant’Angelo è stata definita città sacra del Gargano, rivelandosi come uno dei più remoti luoghi della cristianità. La tradizione religiosa di questi spazi ci racconta che proprio in questa famosa grotta apparve l’Arcangelo Michele per proteggere la città dagli assalti barbarici, da cui, appunto, la sua denominazione. Presso questa grotta il vescovo di Siponto nel 493 fece costruire una chiesa; sarà poi con i Longobardi che tale santuario diverrà la meta finale di un pellegrinaggio religioso di valenza nazionale che, da Benevento, si estendeva lungo la cosiddetta Via Sacra Longobardorum. Tale sito religioso assunse un’importanza tale che Federico II di Svevia, di ritorno dalla crociata del 1228, vi donò un frammento della “Vera Croce”, incastonata in una croce di cristallo.
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