Bene comune e buon governo secondo “Donna Prassede”

Il personaggio si presta indubitabilmente alla metafora. Ogni lettore potrà liberamente avventurarsi sul terreno non agevole, ma pur sempre intrigante, delle analogie. Il personaggio, mirabilmente descritto dal Manzoni, le stimola forse in maniera irresistibile.

Lucia e la madre Agnese al cospetto di Donna Prassede, dall’edizione quarantana de I promessi sposi

«Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri. Per fare il bene, bisogna conoscerlo: e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono. Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care». Si tratta del celebre passo del capitolo 25 dei Promessi sposi, dove il Manzoni presenta la nobildonna Prassede. Donna Prassede è dedita al bene comune, ma cosa è bene lo decide sempre lei. Esemplarmente bigotto, nel suo desiderio di bene comune c’è in realtà una smania di dominio. Si cura di detenere il monopolio di tutte le buone azioni esercitando una pseudo-carità balordamente raziocinante. Non crede mai all’innocenza ed ha un’idea meschina della giustizia divina. Come tutti gli archetipi, può essere sia un personaggio reale che metaforico e può essere fuso con altri archetipi.

Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!

Il personaggio, è evidente, si presta indubitabilmente alla metafora. Ogni lettore potrà liberamente avventurarsi sul terreno non agevole, ma pur sempre intrigante, delle analogie. Il personaggio, mirabilmente descritto dal Manzoni, le stimola forse in maniera irresistibile.

Ma chi è Donna Prassede nel romanzo del Manzoni? È la nobildonna milanese moglie di don Ferrante che accoglie nella propria casa Lucia dopo la sua liberazione dal castello dell’innominato, in seguito alla conversione del bandito dopo il suo incontro col cardinal Borromeo: è introdotta nel cap. XXV, quando ci viene detto che lei e il marito soggiornano in un paesetto vicino a quello dove Lucia e la madre Agnese sono ospiti in casa del sarto, proprio nei giorni successivi alla liberazione della ragazza.

Il casato cui appartiene la nobildonna non viene citato (col consueto espediente della reticenza dell’anonimo) e l’autore la presenta come una persona estremamente bigotta, convinta di dover fare del bene al prossimo ma per puntiglio personale e senza una vera inclinazione caritatevole, per cui molto spesso si intestardisce a voler intervenire in faccende che non la riguardano, usa mezzi che non sono opportuni o leciti e talvolta impone le sue decisioni a persone che non lo richiedono e che ne farebbero volentieri a meno (la sua figura risulta a tratti decisamente grottesca).

Il caso di Lucia ha destato molto interesse nei dintorni e donna Prassede esprime il desiderio di conoscere la giovane, per cui un giorno manda una carrozza a casa del sarto per condurla alla propria casa di villeggiatura: Lucia vorrebbe schermirsi, ma il sarto convince lei e la madre ad accettare l’invito e così le due donne fanno la conoscenza della nobildonna, che propone a Lucia di venire ad abitare nella sua casa di Milano dove potrà aiutare la servitù nelle faccende domestiche e sarà al sicuro dalle mire di don Rodrigo, assecondando così i desideri del cardinale che sta cercando un rifugio per la ragazza. Lucia e Agnese decidono a malincuore di accettare e così Lucia si separa dalla madre per trasferirsi a Milano (cap. XXVI), dove resterà sino allo scoppio della peste del 1630 (Renzo andrà a cercarla proprio nella casa della nobildonna, venendo a sapere che la giovane si è ammalata ed è stata condotta al lazzaretto).

La permanenza di Lucia nella casa aristocratica non è tuttavia delle più felici, poiché sin dal loro primo incontro donna Prassede si è convinta che la ragazza si sia incamminata su una brutta strada, dal momento che si è promessa al famigerato Renzo Tramaglino e dunque a un giovane ricercato dalla legge: la nobile non perde dunque occasione per cercare di far dimenticare alla ragazza quel partito così sconveniente (cap. XXVII), ottenendo il risultato paradossale di suscitare ancor più in lei il ricordo e la nostalgia del suo promesso lontano a dispetto del voto pronunciato in precedenza (per fortuna, osserva con amara ironia l’autore, la nobildonna deve fare del “bene” anche ad altre persone, quindi talvolta cessa di tormentare Lucia).

L’autore ci informa che donna Prassede ha cinque figlie, di cui tre sono monache e due sposate, per cui la nobile si sente in dovere di dettar legge e intromettersi nelle faccende di tre monasteri e due famiglie, anche se qui ovviamente trova la ferma opposizione delle rispettive badesse, nonché dei generi e dei loro parenti. La sua autorità si estende illimitata nella propria casa (specie sulla servitù, formata da “cervelli” bisognosi “d’esser raddrizzati e guidati”), anche se qui donna Prassede deve scendere a patti col marito don Ferrante, il quale compiace talvolta la moglie quando si tratta di scrivere a suo nome una lettera indirizzata a un personaggio d’importanza, ma per il resto non vuole comandare né ubbidire ed è spesso tacciato da lei di essere uno “schivafatiche” e un “letterato”, titolo in cui la donna mescola un atteggiamento stizzito e un po’ d’orgoglio per la fama del marito.

Nel Fermo e Lucia (III, 4) il personaggio viene dapprima presentato col nome di donna Margherita, per poi diventare in seguito donna Prassede (III, 9) mentre Margherita (Ghita) sarà la governante della casa di Milano.

La sua morte per la peste ci viene riferita alla fine del cap. XXXVII, con l’osservazione amaramente ironica che “quando si dice ch’era morta, è detto tutto” (l’autore congeda in modo sbrigativo il suo personaggio, intento a fare il bene per capriccio personale e non certo per carità cristiana, quindi la sua scomparsa avviene senza quasi che nessuno provi pena per lei).

/ 5
Grazie per aver votato!

Sharing is caring!