Anche a Molfetta c’è la “Triplice Cinta”. Un mistero ancora irrisolto

Questo simbolo lo troviamo scolpito in molte parti d’Italia e d’Europa su rocce rupestri, muri di antiche chiese, ma anche sui gradini di vecchi palazzi. Perché?

Giovinazzo, “Triplice Cinta” presso la Chiesa dello Spirito Santo
Molfetta, “Triplice Cinta” presso Palazzo de Luca. Foto scattata il 13 maggio 2017.

Girovagando tra i borghi medievali del nostro paese, può capitare a volte di notare uno strano simbolo inciso sulla pietra, caratterizzato da tre quadrati concentrici. E’ quello che gli epigrafisti, gli iconologi e gli studiosi di esoterismo conoscono come “Quadrato Magico” o “Triplice Cinta”.

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I tre quadrati, in effetti, sembrano rappresentare tre recinti, inseriti l’uno all’interno dell’altro. Caratteristica dei tre recinti è quella di essere attraversati da quattro linee, disposte a forma di croce, che sembrano collegare le tre cinte fino a raggiungere al centro il perimetro del quadrato più interno.

Questo enigmatico simbolo si trova inciso quasi sempre in prossimità di luoghi sacri. In Puglia lo troviamo per esempio a Giovinazzo, presso la Chiesa dello Spirito Santo, a Barletta, presso la Basilica del Santo Sepolcro, a Trani, presso la Cattedrale di San Nicola Pellegrino, a Terlizzi, presso la Chiesa di Santa Maria di Sovereto.

A Sovereto, forse a sottolineare la particolare valenza simbolica del luogo, se ne possono individuare due all’esterno del complesso, una si trova nella piazzetta antistante la chiesa, su una panca posta a fianco di una cisterna per l’acqua, mentre l’altra, forse la più importante, si trova all’interno della chiesa, su una delle lastre di pietra che ricoprono il pavimento che ancora si conserva originale, davanti l’altare.

Abbiamo citato solo alcune Chiese di città vicine alla nostra, ma tanti sono i luoghi sacri in Puglia dove è possibile verificare la presenza di questo misterioso simbolo scolpito sulla viva pietra. Non è raro trovare il simbolo in questione anche presso luoghi di pellegrinaggio medievali e non solo in Italia. La triplice cinta molto spesso è un graffito lasciato su un affresco votivo da un pellegrino di passaggio. Lo si può anche trovare inciso accanto a croci, stemmi o firme di devoti. Ma una semplice domanda a questo punto s’impone: perché per secoli la triplice cinta è stata incisa su colonne, stipiti o architravi di chiese e santuari medievali? La troviamo incisa, per esempio, anche ad Assisi, presso la Basilica di San Francesco, lungo il fusto di una colonna all’entrata della chiesa inferiore.

Quasi casualmente, qualche anno fa, ci è capitato di trovarla incisa anche su una delle lastre in pietra dello scalone di Palazzo de Luca, la grande dimora nobiliare risalente al XVIII secolo che sorge nel borgo antico di Molfetta. Tanti sono i perché rimasti senza risposta, dopo la scoperta, con somma sorpresa, di quel misterioso simbolo inciso su una lastra delle scale del palazzo nobiliare. Quel che sappiamo è che questo simbolo lo troviamo inciso in molte parti d’Italia e d’Europa anche su rocce rupestri e sui gradini di antichi palazzi. Pur tuttavia, tanti sono gli interrogativi che suscita la scoperta, anche a Molfetta, in un palazzo nobiliare, della triplice cinta.

Il ritrovamento di questo misterioso schema tra i graffiti del Torrione di Chinon, il famoso luogo in cui i Cavalieri Templari sarebbero stati imprigionati per volere del re di Francia Filippo il Bello, con l’ingiusta accusa di eresia, ha stimolato nuove ipotesi sul suo possibile significato. E se dietro la triplice cinta fosse racchiusa una conoscenza più antica, una valenza simbolica ed esoterica legata alle caratteristiche dei luoghi e della storia che li ha interessati? Non lo sappiamo.

Venosa, “Triplice Cinta” alla base del Campanile della Cattedrale

La scoperta del Torrione di Chinon, in Francia, collega evidentemente questo simbolo in una qualche maniera all’Ordine Templare e la scoperta della triplice cinta a Molfetta, farebbe pensare alla presenza di una chiesa dei Templari nella zona del ritrovamento o limitrofa.

Quella lastra forse apparteneva ad un altro edificio ancora più antico, probabilmente sacro, prima di essere riutilizzata come gradino di una scala di un palazzo.

Quella lastra di pietra è stata recuperata da chissà dove e l’esempio ci viene offerto visivamente dalla lastra di pietra che si trova alla base del campanile della Cattedrale di Venosa. Due lastre recuperate da edifici precedentemente demoliti e la prova è data proprio dalla lastra incastonata alla base del campanile della Cattedrale di Venosa. Infatti questa, come si vede chiaramente nella terza foto pubblicata, è evidentemente mozzata. Non avrebbe avuto nessun senso incidere quel simbolo praticamente a metà. Come non avrebbe avuto nessun senso scolpirlo sulla lastra di un palazzo nobiliare soggetta al calpestio quotidiano della gente che ci abitava.

Da dove proviene, allora, quella pietra con quel simbolo? La risposta, non la conosciamo, ma qualcosa ci fa pensare ad una demolizione operata secoli or sono di un edificio sacro, non un edificio qualunque, comunque.

Ci siamo resi conto, nelle corso delle nostre ricerche, che quello che sappiamo oggi, sulla presenza dei Cavalieri del Tempio a Molfetta a cavallo tra il XII e XII secolo, non è ancora tutto. Altro ancora c’è da scoprire. Sappiamo che esisteva un itinerario medievale che attraversava Molfetta e Barletta, le città che costituivano il naturale punto d’imbarco per la Terra Santa. Sappiamo che tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. i Templari si erano stanziati permanentemente in città con l’apertura di una propria casa, sia per usufruire del porto per imbarcare scorte, provviste e persone per la Terra Santa e probabilmente anche per meglio amministrare le proprietà che possedevano nel territorio molfettese. Si può affermare con certezza che una domus Templare a Molfetta esisteva già nel 1216 ed era ubicata presso la chiesa di San Nicola, già domus precettoria dei Templari, ricevuta dai Benedettini prima del 1204.

Il fatto che incuriosisce molto è che la triplice cinta si trova molto spesso in alcuni edifici, chiese, ospedali, appartenuti all’Ordine Monastico Militare dei Poveri Cavalieri di Cristo, altrimenti detti Templari.

Triplice Cinta interna presso la Chiesa di Santa Maria di Sovereto a Terlizzi.

Ha scritto lo studioso italiano Aldo Tavolaro (Bari, 2 aprile 1923 – Bari, 19 dicembre 2012), astronomo italiano, specializzato in archeoastronomia, noto per le sue scoperte e le sue tesi sulle implicazioni matematico-astronomiche e simboliche presenti in Castel del Monte [1] ed in altre architetture oggetto dei suoi studi, che la presenza di una Triplice Cinta indica «che ci si trova in un luogo che rappresenta l’omphalos della zona, ossia il centro di energie fisiche (correnti telluriche, magnetiche e cosmiche) che possono venire esaltate da un raggruppamento di persone legate da alta spiritualità. Di contro il luogo contrassegnato da quel simbolo è l’ombelico, il punto centrale di un territorio in cui esistono le premesse fisiche perché possano moltiplicarsi le energie psichiche emesse, per esempio, da uomini in preghiera. D’altronde anche il disegno è chiaro. La Terra, nel simbolismo sacro, è rappresentata da un quadrato che, nel caso in esame, racchiude un quadrato più piccolo e poi ancora un terzo ancora più piccolo quasi a concentrare l’attenzione, come una messa a fuoco, in uno spazio minimo centrale del disegno: l’omphalos, l’ombelico. I tratti mediani convergono anch’essi verso il centro».

Platone, descrivendo Atlantide, affermava che la pianta della sua capitale aveva questa forma; in questo caso, però, le cinte erano circolari. Lo studioso ed esoterista francese Paul Le Cour in un articolo intitolato “La Triple Enceinte” [2] attirò l’attenzione su uno strano simbolo tracciato su una pietra druidica, scoperta nel 1800 a Suevres (Loir-et-Cher). Tale simbolo era stato precedentemente studiato da C. Florance, presidente della Società di Storia Naturale e di Antropologia del Loir-et-Cher, che riteneva che il posto del ritrovamento fosse in passato il luogo della riunione annuale dei Druidi, secondo quanto tramandato da Giulio Cesare nel suo “De Bello Gallico”. La sua attenzione era stata tratta dal fatto che lo stesso simbolo era stato ritrovato sul sigillo di un oculista romano-gallico, scoperto intorno al 1870 a Villefranche-sur-Cher (Loir-et-Cher), e ne aveva dedotto che si trattasse del simbolo della triplice cinta sacra druidica. Nel momento in cui l’articolo veniva scritto per Atlantis, Florance scoprì un’altro esemplare dello stesso simbolo su una grossa pietra che costituiva le fondamenta della chiesa di Sainte-Gemme (Loir-et-Cher). La pietra sembrava avere origini antecedenti la costruzione della chiesa e poteva risalire al tempo dei Druidi. A parte ciò, comunque, come molti altri simboli di origine celtica, quello della triplice cinta rimase in uso durante il Medioevo: lo studioso Charbonneau-Lassay lo segnala tra i simboli ritrovati graffiti nella torre della prigione di Chinon, insieme ad un altro simbolo non meno antico: otto segmenti radiali circondati da un quadrato. Le Cour segnalò che il simbolo del triplice quadrato era stato già trovato nel chiostro della Basilica di San Paolo fuori le Mura, a Roma, risalente al XIII secolo, e che era anticamente conosciuto anche al di fuori dei Celti. Egli stesso lo aveva più volte visto nell’Acropoli di Atene, sulle lastre del Partenone e dell’Eretteo. Le Cour, pertanto, stabilisce che l’origine del simbolo è ancora più antica ed è dovuta alla civiltà atlantiana che seguendo quello schema aveva costruito la propria capitale, Poseidonia.

Renè Guenon ha spiegato [3] il simbolismo ricordando che esso è la rappresentazione dei tre gradi di iniziazione presenti in ogni scuola esoterica. Si tratterebbe, cioè, di una rappresentazione della gerarchia, ed anche la scuola Druidica non faceva eccezione. Questa interpretazione si ricollega quindi alla tradizione celtica secondo cui si tratterebbe dei tre cerchi che indicano la vita e l’esistenza, analoga ai “tre mondi” della tradizione Hindu. Anzi, in questa tradizione all’interno dei tre cerchi è spesso rappresentato il Meru, la “Montagna Sacra”, che indica il Polo o l’Asse del Mondo. Le due interpretazioni, secondo Guenon, non sono in contrasto tra loro, ma anzi si completano e si armonizzano l’un l’altra, giacché nel caso di una vera iniziazione ciascun grado corrisponde ad uno stato dell’essere, e questi stati, in tutte le tradizioni, vengono raffigurati come “mondi” differenti. Da questa interpretazione, il significato delle quattro linee arrangiate in forma di croce che connettono le tre cinte appare chiaro: essi sono i canali attraverso i quali l’insegnamento della dottrina tradizionale viene impartita a livelli successivi di approfondimento, fino a giungere nella parte centrale, che rappresenta il sapere supremo, la fonte stessa dell’insegnamento.

Facciata di transetto in pietra della chiesa di San Severino Abate, realizzata (immediatamente dopo il 1295) impiegandosi materiali edilizi di risulta provenienti con ogni probabilità dall’abbandonato palatium Bellumvidere di Federico II. In alto a destra, verticalmente, è presente una Triplice Cinta al cui fianco si può scorgere un’altra incisione (una griglia di 4 x 3 caselle). La chiesa di San Severino Abate, monumento nazionale, è il più antico edificio sacro di San Severo. Attestata per la prima volta nel 1059, rappresenta il cuore storico e religioso della città, della quale è prima parrocchia, chiesa matrice, arcipretale nonché tempio civico. Si precisa che nel 1295 Bonifacio VIII cedette San Severo ai Cavalieri Templari.

C’è una certa differenza, fa notare ancora Guenon, tra la forma circolare e quella quadrata delle triplici cinte, collegate rispettivamente al Paradiso terrestre ed alla Gerusalemme Celeste. In effetti c’è sempre una corrispondenza tra l’inizio e la fine di ogni ciclo, ed in questo caso la fine del ciclo è rappresentata dal quadrato. È la realizzazione di ciò che la Scienza Ermetica ha sempre indicato come “quadratura del cerchio”: la sfera, che rappresenta lo sviluppo delle possibilità attraverso l’espansione del punto centrale primordiale, si trasforma in un cubo quando lo sviluppo si è completato ed è stato raggiunto un punto di equilibrio per il ciclo considerato. Nel contesto più specifico della triplice cinta, la forma circolare rappresenta il punto di partenza della tradizione (e qui si ricollega il mito di Atlantide), mentre il quadrato è il punto di arrivo, corrispondente ad una forma tradizionale secondaria. Nel primo caso, quindi, il centro della figura rappresenta la sorgente della dottrina, nel secondo, il centro rappresenta il contenitore, il serbatoio ove il sapere viene conservato. Per questo in molte delle rappresentazioni simboliche della triplice cinta compare al centro della figura un punto ben marcato.

Il già citato Louis Charbonneau-Lassay (fig. 5), nel suo studio dell’esoterismo cristiano, a proposito del simbolo della Triplice Cinta afferma [4]: «Ciascuno sa che, nell’ermetismo generale dell’Occidente e nella simbolica cristiana delle figure geometriche, il Quadrato rappresenta il Mondo, che è letteralmente la Mappa Mundi, la tovaglia del mondo, il nostro “mappamondo”, il planisfero terrestre e celeste. Detto questo, tre quadrati inscritti l’uno dentro l’altro, con centro unico, ovvero formanti un solo e medesimo insieme, rappresentano i tre Mondi dell’Enciclopedia del Medioevo, il Mondo terrestre in cui viviamo, il Mondo del firmamento in cui gli astri muovono i loro globi radiosi in immutabili itinerari di gloria, infine il Mondo celeste e divino in cui Dio risiede insieme ai puri Spiriti». Si tratta quindi di una spiegazione di carattere cosmologico, che potrebbe giustificare il fatto che spesso troviamo questo simbolo tracciato alla base di molte chiese medievali: in tal caso il simbolo della Triplice Cinta rappresenterebbe, su diversi piani simbolici, il “percorso” del Pellegrino. Al di là di quello effettuato nello spazio (e nel tempo), questo percorso era principalmente percorso interiore, ed infatti la stessa immagine labirintica indica che la meta del viaggiatore è il “centro”, inteso come simbolo di ciò che di “centrale esiste nell’esistenza di ognuno”. Sempre secondo Charbonneau-Lassay, questo simbolo sarebbe interpretabile anche, sul piano umano, come indicazione della triplice dimensione “carnale”, “intellettuale” e “morale”.

Dal punto di vista numerologico, va notato che la combinazione delle tre cinte quadrate da origine al duodenario. Il simbolismo numerico è ancora più evidente nella forma alternativa riprodotta in fig. 6. Le otto linee inscritte nel quadrato formano lo schema nel quale gli antichi astrologi inscrivevano lo Zodiaco. Inoltre, questa figura è stata più volte accostata a quella della “Gerusalemme Celeste”, con le sue dodici porte, tre per ciascun lato.

Per concludere il discorso sulla Triplice Cinta, va infine notato che, come spesso è accaduto con altri simboli esoterici, lo stesso simbolo è stato ampiamente utilizzato nei secoli come schema di gioco, e come tale e presente sul retro di molte scacchiere. Il nome più comune di questo gioco, in italiano, è “filetto”, ma è conosciuto anche come Mulino, Mulinello, Smerello (dal latino merellus, pedina) oppure (dal numero tre) Tris, Trex, Tria, ecc. In Inghilterra è noto come Morris, Mill, Merels o Tic Tac Toe; Mérelles in Francia, Morels in Spagna, Mühle in Germania, Mølle in Norvegia, Luk Tsut Ki in Cina, e così via. L’origine di questo gioco sembra essere molto antica, databile addirittura attorno al 1400 a.C. Esemplari di tavole per il gioco del filetto sono stati ritrovati in tutto il mondo: nelle rovine della città di Troia, siti sepolcrali dell’Età del Bronzo, inciso sulle tavole delle navi vichinghe, nell’Acropoli di Atene, a Mihintale nello Sri Lanka ed anche in Cina. Si ritrova anche menzionato nella prima Enciclopedia dei Giochi della letteratura Europea, commissionata dal re Alfonso X di Castiglia (1221- 1284).

La maggior parte degli studiosi e degli archeologi che non vogliono ammettere la sua presenza simbolica sulle pietre delle chiese e di altri edifici ricorrono alla spiegazione del gioco: il simbolo era stato tracciato dagli operai, dai frati o dai guardiani (a seconda dei casi) per alleviare la noia durante le loro attività. Ed inventano veri e propri arzigogoli mentali per mantenere la spiegazione quando il simbolo è tracciato troppo piccolo o in posizione verticale o comunque scomoda per giocare… [5].

Note:
[1] Aldo Tavolaro, “Castel del Monte. Scrigno esoterico”, ed. Fratelli Laterza, Bari, 1991.
[2] Paul LeCour, “L’emblème symbolique des Trois-Enceintes”, in «Atlantis», n° 10, Luglio-Agosto 1928.
[3] René Guénon, “La Triple-Enceinte druidique”, in «Le Voile d’Isis», Giugno 1929.
[4] Louis Charbonneau-Lassay, “La Triple Enceinte dans l’emblématique chrétienne”, in «Atlantis», 3° anno, n° 1 (n° 21), Settembre-Ottobre 1929.
[5] Il Centro Sacro, L’Angolo di Hermes, sito che si occupa di simbolismo.

Molfetta, Triplice Cinta presso Palazzo de Luca. Foto scattata il 13 maggio 2017.
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