“Facce di pietra”. A cosa servivano questi volti mostruosi?

Perché in passato venivano scolpite praticamente ovunque? Domande, semplici domande, che ogni visitatore si pone passeggiando tra i vicoli dei nostri centri storici. Fotoracconto di Nicolò Azzollini

Molfetta, centro storico: maschera apotropaica. Ph. Nicolò Azzollini

Il culto delle divinità domestiche e l’uso di immagini a scopo scaramantico ed esorcizzante è molto diffuso in epoche storiche anche molto antiche ed assume forme talvolta simili, talvolta molto diverse tra di loro. Ma il desiderio di difesa, protezione e scaramanzia è indubbiamente il minimo comune denominatore. Non a caso, sono moltissimi i palazzi pugliesi impreziositi da figure e maschere dal valore apotropaico, benefico e positivo, a dispetto del loro aspetto per nulla incoraggiante.

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Le maschere apotropaiche, utilizzate e conosciute ad ogni latitudine, sono uno dei rari retaggi pagani che sopravvivono ancora oggi, all’interno dei nostri contesti urbani. Usi e tradizioni che sono rimasti fortemente presenti anche in epoca Medioevale. Basti pensare alle mura medioevali di tante città e di tanti borghi italiani, ancora oggi sormontati da figure mitologiche o fantasiose proprio dal valore difensivo e scaramantico.

In quasi tutta la cultura mediterranea e mediorientale, partendo dai tempi più antichi si è utilizzata una figura scolpita da porre all’ingresso di edifici sacri, dimore, palazzi nobiliari ed anche fuori dalle mura delle città che facesse “la guardia” e allontanasse la negatività sotto forma di spiriti maligni o di energie potenzialmente invasive. La figura poteva essere combinata, ovvero metà umana e metà animale, oppure avere solo un volto scolpito in pietra o nel marmo e ricordava un viso mostruoso che doveva servire da “spauracchio”. Nel nostro territorio sono presenti ovunque, nelle antiche torri o masserie di campagna, nel centro storico e nei palazzi più o meno centrali della città.

Ma perché queste figure sono dette apotropaiche? L’aggettivo apotropaico (dal greco αποτρέπειν, apotrépein = “allontanare”) viene solitamente attribuito ad un oggetto atto a scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni. Questi “guardiani” delle nostre antiche dimore, che l’arte e la bellezza hanno reinventato e modellato con stili sempre diversi, sono imparentati con le Gòrgoni greco romane che dai templi proteggevano le entrate, con le loro boccacce spalancate e le lingue penzoloni. E infatti, molte di queste “facce di pietra” del nostro centro storico, hanno proprio le lingue a penzoloni, come i mostri della mitologia greca, le figlie di Forco e di Ceto, che abitavano nell’estremo occidente del mondo conosciuto dai greci. Famosa è una delle Gòrgoni, Medusa, la cui testa decapitata è stata ritratta da Caravaggio (1595-1596).

Molfetta, portone con maschere apotropaiche. Ph. Nicolò Azzollini

Queste figure mostruose servivano per proteggere l’edificio e quindi i suoi abitanti dalle influenze negative, e a Molfetta, almeno fino ai primi decenni del Novecento, sono state largamente impiegate nelle decorazioni e nelle fantasie architettoniche degli edifici. Per riuscire ad allontanare la malasorte le maschere dovevano essere “abbastanza” mostruose, in grado di spaventare gli spiriti maligni e tenerli distanti dall’abitazione.

L’aspetto orripilante di queste maschere in pietra doveva essere in grado di spaventare gli spiriti del male e di provocarne la fuga, almeno secondo le credenze del tempo; credenze non del tutto scomparse, però, anzi ciò che per noi italiani è ancora oggi lo scongiuro contro la ièlla, o il temere malocchio e invidia, non sono altro che gli echi di questo tipo di credenze e di cui in fondo siamo ancora oggi tutti un po’ vittime.

La funzione di queste maschere, di queste facce, di queste figure mostruose quindi, era tutt’altro che decorativa benché, spesso, frutto di grande abilità scultorea.

“FACCE DI PIETRA”
Fotoracconto di Nicolò Azzollini


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