«U pàgghiare», un monumento rurale da tutelare e preservare

Nati dall’ingegno di semplici contadini, dalla fatica di dover liberare il terreno dalle pietre, di dover trovare un riparo, dall’acqua o dal sole implacabile, sono stati costruiti con una tecnica edilizia antica, forse ereditata da una civiltà scomparsa

Pagghiara in agro di Molfetta. Ph. Maria Cappelluti
Agro di Molfetta, scorcio fiabesco. Ph. Marino Piers. Giovine

Le nostre campagne testimoniano ancora l’abilità di un popolo nelle costruzioni a secco, con conci non squadrati, né sbozzati, ma accuratamente selezionati perché potessero incastrarsi l’uno con l’altro, al fine di formare una struttura relativamente solida.

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“U’ pàgghiare” è l‘esempio più primitivo di architettura rurale costruito in muratura a secco di pietre calcaree recuperate dal dissodamento del terreno operato dai contadini. Ce ne sono tanti, con la loro caratteristica pseudo-cupola a forma conica, nelle nostre campagne che resistono ancora al tempo ma, anche, all’incuria dell’uomo moderno. La tecnica edilizia è antica, bagaglio culturale di una società scomparsa. Queste costruzioni sono tra le più sacre testimonianze della nostra civiltà contadina dei secoli passati. La tecnica costruttiva a secco si è tramandata di padre in figlio per secoli senza avvertire mai il fascino degli stili.

Costruito in pietrame a secco, senza utilizzo di alcuna malta cementizia o pozzolana, «u pàgghiare de péte» si innalza quasi sempre su una pianta circolare, con una singola apertura che contraddistingue il corpo di fabbrica, quasi sempre bassa, coronato da una copertura di pietre disposte a cerchi concentrici di diametro decrescente verso la sommità. Lo spessore delle mura varia da struttura a struttura, sebbene in generale superi i cm. 50, giungendo in alcuni casi anche oltre un metro. Una tecnica costruttiva, semplice ed ingegnosa, che sfruttando esclusivamente la pietra, consentiva di erigere abitazioni che sfidano ancora il passare dei secoli e dei terremoti.

Agro di Molfetta – Tipico “pagghiàr” per deposito degli attrezzi agricoli. Ph. Nicolò Azzollini

Le costruzioni presentano di norma un’unica camera senza finestre verso l’esterno. Hanno un notevole spessore, che assicura un ambiente interno fresco anche nei mesi più caldi. Servivano in passato come semplici ripari dalla pioggia o dalla calura estiva e per depositare gli attrezzi agricoli. Le strutture più grandi erano anche riparo temporaneo estivo per le famiglie che nella bella stagione lasciavano le abitazioni in paese e si trasferivano in campagna per curare e custodire le coltivazioni ed il bestiame che avrebbero garantito la sopravvivenza per l’inverno successivo.

“U’ pàgghiàre” ricorda i “tholos”, che in greco antico significa cupola, le caratteristiche costruzioni circolari del mondo antico, risalenti come tipologia alla tarda età del bronzo, costituiti da un vano circolare, spesso sottostante ad un tumulo di terra e coperto con cerchi concentrici di blocchi lapidei a costituire una sezione più o meno ogivale.

Così come il “trullo” od il sardo “nurago”, “u’ pàgghiare” è un tipo antichissimo di abitazione mediterranea di derivazione protostorica: nacque prima isolatamente e subito dopo, come unità abitativa del primitivo villaggio preistorico o protostorico. Pur se nato per ospitare tutti i membri della famiglia, esso non perse mai la sua caratteristica di monolocale semplice e unitario.

Il nome (gghiare) li fa ritenere originariamente depositi di paglia, ma di fatto sono stati utilizzati per gli usi più diversi, non ultimo come abitazione dei contadini durante il periodo estivo, allorché essi si trasferivano dal centro abitato per ottemperare ai lavori campestri dall’alba al tramonto. Non di rado al loro interno trovano posto rustici caminetti, cisterne e stipi incastonati nei possenti muri.

Una storia scritta per lo più dal sudore e dal sacrificio dei contadini che, per secoli, si ritrovarono a fare i conti con un territorio ostile, arido e sassoso, incapace di fornire lo stretto indispensabile alla loro sussistenza ma che, al tempo stesso, ne provocò ingegno e capacità.

Fotoracconto: “Le Pagghiare”. Autori vari


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