Noi, quelli che il pomeriggio, dopo aver terminato i compiti…

Avevamo paura solo delle nonne che ci “sequestravano” il pallone. Erano, quelle vecchie arzille di una volta, il nostro incubo quotidiano. Da un racconto di Angelo Boccanegra

Le nonne di una volta, quelle che ci “sequestravano” il pallone.

Tanti sono i ricordi che mi tornano in mente durante la giornata. Tanti sono i flashback che si intersecano nella mia mente, soprattutto dopo la mia consueta pennichella dopopranzo, una buona e per me sana abitudine, uno spartiacque della giornata tra la frenesia del mattino e il dolce trascorrere delle ore più tranquille del giorno fino alla sera. E’ proprio in questa seconda parte della giornata che riaffiorano, a volte con imprevedibile casualità, i bei ricordi della mia, e penso anche dell’infanzia di molti di voi. E oggi, vi voglio parlare proprio del pomeriggio, quello di noi ragazzi di una volta, in una città completamente diversa da quella che vediamo oggi.

Noi, ragazzi di una volta, il pomeriggio dopo aver terminato i compiti, quasi sempre ci trovavamo dinanzi all’entrata dell’istituto scolastico frequentato, per scambiarci qualche suggerimento e le informazioni su qualche compito non ancora terminato oppure, semplicemente, per trascorrere il pomeriggio giocando fino al far della sera. I giochi più in voga erano a quei tempi, per le ragazze la pallavolo, per noi ragazzi le interminabili partite di pallone.

La nonna del Sud. In pochi ricordano questi momenti. Ma questa era una scena frequente in passato, durante la stagione invernale.

C’era però un ma, che non mancava quasi mai in quei pomeriggi: la nonna di turno che sbraitava pronta a tagliarci il pallone. Erano, quelle vecchie arzille di una volta, il nostro incubo! Ai primi calci al pallone, alle prime nostre urla di gioia, quando segnavamo un gol alla squadra di amichetti avversaria, la figura “minacciosa”compariva all’improvviso per dirci: “Possibile che tutti i pomeriggi non si può riposare?“. Era la premessa di rito, a cui seguiva la più classica vernacolare esternazione di quei momenti, a quei tempi: “Ci vàvvuénde u pallaone vù tàgghìe!”Dopo quel “se vi prendo vi taglio il pallone” rivolto dalla vegliarda a noi “ragazzi di strada di una volta” non accadeva granché. Anzi, per dirla tutta, ci scherzavamo sopra e qualche volta, prima di proseguire la partita, seguiva da parte nostra qualche sberleffo e, non di rado, una sonora pernacchia rivolta all’arzilla vecchietta.

Spesso, però, accadeva l’inevitabile, nonostante tutte le nostre attenzioni: il pallone finiva per davvero tra le grinfie della vecchia. Scattava a quel punto, da parte nostra e quasi in coro, il classico: “e mò?” (che sarebbe, tradotto: “e adesso che facciamo?”). Iniziavamo a quel punto a scongiurare la nonnetta di non fare quello che aveva minacciato; scattavano le promesse di “non belligeranza”, iniziavamo quasi in coro a promettere di non farlo più, di smettere di giocare, di andare da tutt’altra parte a fare schiamazzi. Il problema, però era sempre lo stesso: dove? Visto che i bassi di una volta, brulicavano di nonne e nonnette affatto remissive e molto combattive. Erano davvero “toste” le vecchie di una volta.

A volte quelle promesse funzionavano, altre volte purtroppo no, non sortivano l’effetto sperato: il pallone non veniva restituito. Quasi mai però, veniva davvero tagliato. Il più delle volte era semplicemente “sequestrato” dalla nonna. A volte però veniva restituito il giorno dopo, quando qualcuno di noi si recava con un fare molto remissivo dalla nonna a chiederne la restituzione.

Tutto sommato, quelle nonne di una volta, non erano affatto malvagie, dietro quella rudezza di quei tempi, batteva spesso un buon cuore. Bei ricordi di gioventù.

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