Attualmente la torre non presenta alcuna testimonianza della sua primaria funzione di torre-vedetta. Della costruzione risalente al X secolo restano solo pochi ruderi. Foto di Dario Lazzaro Palombella


Il fabbricato che si vede attualmente, chiamato impropriamente “Torre Gavetone”, situato nella fascia del Demanio dello Stato, non presenta testimonianze di originaria funzione di torre vedetta. Le vicende di quest’ultimo sono ben note: durante il secondo conflitto mondiale fu usato come deposito bellico. Questa costruzione, quindi, non è l’originaria torre vedetta, ma solo una sua ricostruzione. Probabilmente la vera torre è quella costruzione del X Sec. quasi del tutto crollata a base circolare che è situata a pochi metri di distanza. Tra i suoi ruderi è ancora possibile riconoscere tre ingressi, una scala in pietra e quattro arcate interne.
Sul nome della contrada Gavetone sono state avanzate diverse ipotesi. E’ stato sostenuto che il nome si sarebbe diffuso a seguito di un episodio risalente al XV Sec. quando durante la guerra fra Angioini e Aragonesi un’imbarcazione si arenò sui bassi fondali nei pressi della torre fu sistemato una gavitello di segnalazione detto “gavitone”.
L’ipotesi ad oggi più accreditata, però, farebbe derivare il nome da una restituzione arbitraria su base fonica del cognome di una “famiglia del popolo” di Molfetta, ossia quella dei de Taldone e non dalla presenza nelle vicine acque di gavitelli da cui i sostenitori di questa tesi farebbero derivare anche il termine dialettale “gavetà” (guardarsi, fare attenzione).
Più probabile quindi, in base alle ricerche effettuate dagli storici locali che il nome della contrada derivi dalla famiglia de Taldone, nel 1574 registrata con la dicitura “de Taldono alias di Bernardino” (in realtà la scrittura completa rilevata nelle Delibere Decurionali dell’epoca è “de Taldone alias de Benardino di Thomaso di Trani”). Esponenti di questa famiglia, a partire dal 1535 (e per tutto il XVI secolo), furono proprietari di terreni in questa zona che all’epoca si chiamava pecza de ruczulo o pecia de ruczula, delimitata dalle località Savorreti (1509) e Pizzicocca, in prossimità del confine con il territorio di Giovinazzo.
Diversi secoli dopo, nel 1892, l’allora Capitano di porto, Enrico Biagini, descrivendo proprio il tratto di costa che va dalla Terza Cala a Punta Gavitone precisa «Questa costa prende il nome di Savorita». Nel 1544 (21 luglio), all’interno della zona in esame compare la località chiamata «la Ponta di lo Altone» vicino «litus maris». Da allora, prese avvio un processo di trascrizione ad orecchio di questo cognome (la famiglia de Taldone si estinguerà alla fine del XVII secolo), difficile da intendere, e che ebbe come conseguenza una serie continua di variazioni del toponimo. Nel secolo successivo si passerà da «la ponta di Gavidone» (1704) a «il Gavitone alla via di Giovinazzo» (1750).


Nel biennio 1721-1722 il sito fu sede di un posto di guardia (baracca in legno), con uomini armati, necessario al cosiddetto “cordone sanitario” che serviva ad evitare l’ingresso in città di forestieri provenienti da zone colpite da epidemie. Questo accadde anche in epoca successiva. Infatti, tra il dicembre del 1815 e il mese di ottobre del 1816, periodo durante il quale nella città di Noja (Casamassima) si verificò un’epidemia di peste, il Gavitone era iscritto nell’elenco dei “posti e torri di guardia” (dotato di una forza di quattro uomini) del XII Circondario di Molfetta, inserito nel “Cordone marittimo della Provincia di Bari”.
Il fabbricato rurale vero e proprio, chiamato in gergo molfettese “torre”, che prese il nome della contrada, fu edificato agli inizi dell’Ottocento.
Il 18 maggio 1806 Angelo Sigismondo dichiarò di possedere in questo “luogo detto il Gavitone” una vigna di terreno con «diverse stanze ivi fabricate abbellite e fornite di diversi membri per comodo uso di abitazione nel villeggiare…».
Il 1° marzo 1828 Agata Nisio vendette (per interposta persona) a Giovanni Fontana, per 1.200 ducati, il casino ed il terreno limitrofo «confinante… [con] il lido del mare, e colla strada consolare…». Il 5 aprile 1884 morì il cavaliere Sergio Fontana. Eredi i suoi dodici figli (Giovanni, Giacomo, Vitangelo, avvocato Pietro, avvocato Giuseppe, dottor fisico Italo, Nicola, Francesco, Raffaele, Michele, Caterina e Cecilia), nati dal matrimonio con Ippolita Lioy Lupis. Nel periodo compreso tra il 18 dicembre 1887 ed il 2 gennaio 1888, gli eredi del Cav. Sergio Fontana divisero i beni ereditati. I pianterreni al Gavetone che formavano «un casino di cinque stanze, non adatto per la villeggiatura» e che veniva usato «come casa colonica» del valore di 1.000 lire restò assegnato a Raffaele Fontana.
Nel 1979, la torre, quasi scomparsa, era di proprietà della signora Titina Fontana. Oggi del casino di Sigismondo ossia della vera torre del Gavetone non resta praticamente più nulla.
Tratto dall’Articolo: “La torre della punta del Gavetone” di Corrado Pisani, pubblicato il 29 ottobre 2017 sulla rivista “l’Altra Molfetta”.
