Molfetta, Chiesa di Sant’Irene: “Qui non si gode asilo”

Consunta dal tempo, l’epigrafe scolpita all’entrata della piccola chiesa di campagna, ha catturato la nostra attenzione e stimolato le nostre ricerche. Un’altra storia che merita di essere raccontata

Molfetta, Chiesa di San Salvatore (in fondo) e Chiesa di Sant’Irene (in primo piano)

Un’epigrafe, scolpita all’entrata di una piccola chiesa nell’agro di Molfetta, che oggi solo ai più attenti non passa inosservata, ha catturato la nostra attenzione. Messa lì in bella mostra, ma ormai quasi illeggibile, perché consunta dal tempo (e mai restaurata), quest’epigrafe, oltre a stimolare la nostra voglia di approfondimento, ci ha trasmesso anche un senso di indicibile tristezza, pensando allo stato in cui versano le importanti testimonianze del nostro passato. Ecco quanto è emerso dalle nostre ricerche.

Lungo via del Pettine, nella zona denominata “Vascarriedde”, prima di arrivare alla Torre Pettine Azzollini, in prossimità di una casina abbandonata (purtroppo anch’essa in balia dei vandali), si trovano due chiesette a breve distanza tra loro. La prima del 1733, dedicata a S. Salvatore, ha un frontale sormontato da un cornicione e da un campaniletto a vela privo di campana. La volta spiovente, a scandole, ricorda le cupole del Duomo romanico di Molfetta. La seconda chiesetta, simile alla prima, dedicata a S. Irene, presenta questa epigrafe sull’architrave: “qui non si gode asilo”. Protagonista di altri tempi, e testimonianza di un conflitto (forse mai sopito?) tra il potere politico e ecclesiastico, questa epigrafe comunicava l’indisponibilità del diritto di asilo. Al di sopra dell’iscrizione è visibile il nome dell’allora proprietario del complesso, tale Nicola Monda, e la data di edificazione della chiesa, 1807. Questa chiesa era dedicata anche a S. Corrado e alla Madonna dei Martiri, i patroni di Molfetta.

Si nota di certo un “buco” piuttosto ampio sulla facciata, al di sopra dell’epigrafe della chiesetta. Ebbene, lì c’era lo stemma nobiliare dei Monda, potente e ricca famiglia napoletana di origine molfettese, purtroppo oggi trafugato. Nel centro storico di Molfetta, in via Amente, al civico 48, si può ancora vedere il palazzo Monda, appartenuto proprio a questa importante e nobile famiglia molfettese. Ma perché i Monda hanno sentito il bisogno di scrivere in bella vista sull’architrave della chiesa “qui non si gode asilo”? Perché hanno voluto segnalare molto chiaramente ai criminali (veri o presunti) in fuga che oltre questa porta avrebbero trovato magari la salvezza eterna, ma non quella terrena? Che ogni guardia di passaggio avrebbe potuto tranquillamente entrare in quella chiesa e ridurli in catene?

Molfetta, Chiesa di Sant’Irene e annesso casale diroccato (da non confondersi con Torre Pettine Azzollini che si trova più distante, proseguendo per il sentiero)

E’ utile premettere che il diritto d’asilo ha radici antichissime, in epoca feudale addirittura si considerarono inviolabili non solo gli edifici di culto, ma anche il terreno che li circondava, spesso tanto vasto che qualche reo (o presunto tale) poteva vivervi con comodità specie se di famiglia ricca.

La Chiesa, tese a trasformare l’Asilo nella facoltà “spettante agli ecclesiastici” di intercedere presso le autorità civili in favore dei condannati rifugiatisi in un edificio consacrato dal Vescovo; benefici esclusi per i colpevoli (o presunti tali) di reati gravissimi quali l’adulterio, l’omicidio e la lesa maestà. Il diritto di asilo scattava nella misura in cui chi lo chiedeva era nella condizione di “pauper” (in latino: inerme, ossia la condizione di chi non ha nessuna possibilità di difendersi). Allora veniva preso sotto la tutela della Chiesa e non poteva essere toccato, pena la scomunica.

In passato i luoghi del culto cattolico, erano “zone franche”, la chiesa era il luogo dove i perseguitati correvano a rifugiarsi, in tempi in cui spesso non era facile dirimere le questioni di giustizia. Ricorrevano un po’ tutti a questo espediente, non solo banditi e tagliaborse, ma anche gli artisti incappati in questioni più grandi di loro, come a Lecce capitò anche al suo più celebre scultore, Giuseppe Zimbalo, detto lo Zingarello. L’architetto più famoso e imitato del barocco leccese, ritenuto responsabile del crollo di una fabbrica che stava erigendo, trovò salvezza nella chiesa della Madonna di Costantinopoli. Qui lo Zimbalo si trattenne il tempo necessario per far calmare le acque. Nel frattempo i monaci gli chiesero, in cambio dell’ospitalità, di ristrutturare la facciata della loro chiesa.

L’epigrafe della chiesetta di S. Irene sul diritto di asilo, rappresenta quindi la testimonianza di una riaffermazione di determinati modi di interpretare leggi,  consuetudini e confini tra potere politico e ordinamenti ecclesiastici; ottemperava ad un accordo del 1741 fra la Santa Sede e il Regno di Napoli impedendo ai ricercati di trovare asilo presso i luoghi di culto privati. Ma come mai regnanti e Chiesa discutevano di tali privilegi nella nostra zona?

Molfetta, Chiesa di Sant’Irene e casale diroccato

Si sa che i sovrani cattolici sollecitavano continuamente ai papi di non concedere – se non in casi veramente particolari – il diritto di asilo, conseguendo risultati positivi solo a seguito di amichevoli accordi. Sembra di particolare importanza il Concordato del 1741 tra Carlo V di Borbone e Benedetto XIV nel cui spirito va interpretato il divieto trascritto sulla facciata della chiesetta dei Monda.

Nel documento si legge, nell’articolo XXVII, che: “…non godranno il beneficio dell’immunità le chiese rurali esistenti fuori della città e luoghi abitati, nelle quali non si conserva il Venerabile…”. il Venerabile…”. La chiesa di S. Irene rispecchiava tutte queste caratteristiche, quindi possiamo immaginare che Nicola Monda, che si insedierà a Torre Pettine a fine 1700, sia stato a conoscenza del concordato e abbia disposto di far incidere sull’architrave le ormai famose parole magari, anche con lo scopo di evitare contestazioni e mettendo in pratica ciò che stabiliva la legge. Le due chiesette menzionate non erano né parrocchie, né filiali, altrimenti non si sarebbe potuto imporre il divieto di asilo.

Il concordato decadde solamente nel 1861, con il regno d’Italia. Esso infatti non riconobbe più l’immunità nei confronti dei perseguitati della giustizia salvo sporadici ed eclatanti casi. Con decreto del 17 febbraio 1861 cessava, da parte del Governo d’Italia, la validità del riconoscimento dell’immunità e si ammetteva solo che “nell’arresto di persone rifugiate in chiesa si avessero i riguardi dovuti alla qualità del luogo e le cautele necessarie affinché l’esercizio del culto non venisse turbato…”.

Molfetta, Chiesa di San Salvatore

Giuridicamente i luoghi sacri non sono al di sopra della legge, tanto in Italia (leggi Siccardi del 1850 e Patti Lateranensi del 1929 il cui l’articolo 5 recita comunque con formula ambigua “Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l’esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica”) quanto in altre nazioni, Germania compresa, dove però per antica prassi, le forze dell’ordine evitano di compiere arresti in chiesa, più che altro per evitare di turbare l’opinione pubblica con immagini di violenza in un luogo di culto. Si tratta in sostanza di una sorta di tacito accordo. Ma ora che i rifugiati nelle chiese cristiane sono divenuti un numero assai elevato il tema è tornato di attualità, tanto che anche il ministro degli Interni tedesco, qualche anno fa, ha chiesto ai leader ecclesiastici di interrompere la pratica, definendola un retaggio del passato e comparandola ad una norma fondamentalista degna della Shari’a, scatenando ovvie polemiche e prese di posizione.

Il diritto d’asilo, da cui il concetto di “immunità”, ha origini antichissime, soprattutto bibliche. E proprio la Bibbia regola tale istituto stabilendo l’asilo anche per gli omicidi involontari designando addirittura sei “città di rifugio”. Dopo i “benefici”  accordati dalla Grecia a schiavi, ambasciatori, partecipanti ai giochi olimpici, molte consuetudini furono assorbite dalla civiltà romana, e poi cristiana, con notevoli, progressive e mutevoli varianti.

Concludiamo questo nostro approfondimento con alcune domande con l’intento di voler alimentare una riflessione, ma anche una discussione tra i nostri lettori: le chiese sono ancora un rifugio invalicabile per le forze dell’ordine? Si possono commettere arresti al loro interno, anche senza flagranza di reato? Il tema è delicato, le norme variano da Stato a Stato, antiche prassi si confondono con nuove leggi, con il risultato che spesso e comunque ai luoghi di culto viene riservato uno status di luogo di accoglienza e di difesa per chi è in cerca di protezione.

Molfetta, Torre Pettine Azzollini
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